L’art. 2048 del codice civile fa discendere in capo ai genitori una presunzione di responsabilità verso i terzi per i comportamenti illeciti commessi dai figli, fondata sulla omessa vigilanza (culpa in vigilando) e sulle carenze educative (culpa in educando): in buona sostanza il genitore è ritenuto responsabile per i danni prodotti dal proprio figlio ai terzi perché si presume che, se egli avesse curato adeguatamente l’eduzione del figlio o avesse vigilato e monitorato più attentamente sul suo comportamento quel danno non si sarebbe verificato. Il genitore si libera della responsabilità solo se prova di non aver potuto impedire il fatto ed è questo un onere probatorio particolarmente gravoso e quasi diabolico.
Una recentissima pronuncia del Tribunale di Milano (Sezione 10° civile, Giudice Unico dott.ssa Bianca LA MONICA) ha ritenuto responsabili e condannato ad un risarcimento di 450 mila euro, i genitori di un gruppo di ragazzi adolescenti responsabili di ripetuti atti di violenza sessuale, commessi a danno di una compagna di scuola dodicenne, negli anni 2001-2003.
Il giudice milanese enuncia un chiaro rafforzamento della responsabilità genitoriale e si spinge a censurare la relazione pedagogica instaurata dai genitori con i figli, tale da non avere fornito “un’educazione di sentimenti e di emozioni che consente di entrare in relazione non solo corporea con l’altro e non avere fornito gli strumenti indispensabili da utilizzare nelle relazioni , anche di sentimento e di sesso, con l’altro o con l’altra”.
Secondo il giudice di merito i genitori avrebbero mancato non tanto di vigilare sulle attività dei loro ragazzi quanto di curare adeguatamente la relazione e di educarli ai sentimenti, alle emozioni, all’attenzione e al rispetto verso il prossimo.
Inutile dimostrare che i figli hanno tenuto un corretto comportamento nei contesti scolastici e amicali, che hanno conseguito buoni profitti scolastici, che sono stati educati ai valori della cristianità, che hanno frequentato corsi di educazione sessuale organizzati dalla scuola, che hanno intrattenuto precedenti relazioni sentimentali sane, che sono soliti rispettare gli orari di rientro a casa imposti dalla famiglia e che prima dei fatti di causa non hanno mostrato particolare interesse al genere femminile: ad avviso del giudice milanese si tratta di circostanze del tutto inidonee a contrastare la evidente carenza educativa di sentimenti e di emozioni emersa dai gravi fatti commessi.
Viene valorizzato e arricchito il significato di educare – dal latino e-ducere “condurre fuori, far venire alla luce qualcosa che è nascosto” – di talchè il genitore non avrà adempiuto al suo ruolo se si limita a fornire al figlio solo un insieme di regole, di conoscenze, di modelli comportamentali e di imposizioni, dovendo piuttosto favorire e monitorare la realizzazione della sua personalità, nel rispetto dei valori fondamentali della persona umana.
Si tratta di un punto di vista del tutto nuovo nel panorama giurisprudenziale (a onor del vero già sondato dalla Cassazione civile con le sentenze n. 18804 del 28 agosto 2005 e n. 9556 del 22 aprile 2009) perché il giudice si spinge ad una introspezione in chiave psicologica e pedagogica all’interno dell’universo famiglia, giungendo ad estendere il compito educativo del genitore anche all’area dei sentimenti, delle emozioni, delle relazioni umane, dell’affettività e del rispetto delle buone regole dello stare insieme e del rispettare l’altro.
E’ una importante conquista di civiltà, che risente dell’influenza della Convenzioni Internazionali sui diritti dei fanciulli laddove da tempo, al termine ormai desueto di “potestà genitoriale” – ancora purtroppo in uso nel nostro ordinamento – si è sostituito il più moderno e adeguato concetto di “responsabilità genitoriale”.
E badate che non si tratta del solito sofismo linguistico ma di una rivoluzione copernicana perché sostituire al vecchio concetto di “potestà genitoriale” quello di “responsabilità genitoriale” significa superare l’impostazione del rapporto genitore-figlio come relazione adultocentrica di potere, per valorizzare invece i contenuti della responsabilità connessi al ruolo della genitorialità.
Sensibilizzare i genitori alla tematica della responsabilità verso i figli significa ricordare che alla base dell’educazione, più che regole e imposizioni c’è soprattutto la relazione umana tra il genitore e il figlio, la presenza e la continuità di affetti; e significa spronare i genitori a coltivare giorno dopo giorno questa relazione attraverso l’empatia, l’ascolto, l’accoglienza, l’affettività, la rassicurazione, la condivisione di valori etici e morali, l’accettazione delle debolezze e lo spirito del sacrificio. Come dice il giudice milanese citando un noto filosofo occorre mettere in gioco connessioni emotive “ossia mettere in contatto il cuore con la mente e la mente e con il comportamento”.
Non basta prendersi cura del corpo dei nostri figli, dobbiamo prenderci cura soprattutto della loro anima se vogliamo che diventino, in futuro, adulti equilibrati, responsabili e perché no, anche un po’ felici!
Avv. Paola Carrera
(membro del direttivo A.I.A.F. Piemonte e Valle d’Aosta – Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori)..