«Jeans o hot pants?». «Tennis o piscina?». «Liceo artistico o scientifico?». Il dodicenne in dubbio, questi quesiti, effimeri o pietre miliari che siano, oggi non ci pensa per niente a sottoporli a mamma o papà. Già, proprio così.
Solo poco più di un terzo dei genitori di ragazzi dai 12 ai 14 anni (i dati provengono da un sondaggio recente su un campione nazionale selezionato dalla Società italiana di pediatria) influenza la volontà della prole sul modo di vestire, le amicizie da frequentare, la scuola superiore a cui iscriversi, lo sport da praticare.
I dodici-tredicenni sempre più spesso rifiutano supporti e suggerimenti: quando hanno un dubbio o un problema non si rifugiano, come un tempo, nelle braccia materne (questa scelta è solo del 34% degli intervistati), o in quelle del papà (eletto a interlocutore solo dal 14%) o degli insegnanti (2) ma assai più spesso vanno dagli amici (50%).
Soddisfatti, dunque, i nostri adolescenti di aver tagliato il cordone ombelicale? Per nulla: il 40% dei ragazzi vorrebbe, al contrario, papà e mamma molto più vicini e presenti, in grado di condizionarli con i loro interventi. Sono questi alcuni dei singolari e solo apparentemente contraddittori dati discussi in questi giorni a Torino al convegno «Adulti e adolescenti oggi», promosso dai Gruppi di psicoterapia psicoanalitica dell’adolescenza.
Paradossalmente proprio l’autogoverno e l’indipendenza degli adolescenti sono considerati all’origine di crisi e disturbi che stanno emergendo oggi prepotenti: «Siamo di fronte a un fenomeno nuovissimo, la “precocizzazione dell’esperienza”», osserva lo psicoterapeuta Matteo Lancini, animatore del meeting sabaudo, autore di «Cent’anni di adolescenza» (in uscita da FrancoAngeli editore).
«Viviamo in una cultura che teorizza i bambini come “personcine” autosufficienti, simili ai “grandi”. A questo contribuiscono le moderne tecnologie, da Facebook a YouTube, che incrementano la socializzazione incontrollata, e la tivù che propone, sempre più di frequente, modelli di teenagers simili a trentenni in miniatura».
E i genitori? Che ruolo hanno per questi bambini portatori di crescita accelerata? «Fondamentale. Qualche esempio? Li hanno dotati fin da piccolini del “primofonino” per renderli autonomi e intraprendenti; hanno affidato loro a nove-dieci anni il potere di decisione, non solo sulle merendine ma anche sul rimmel, la mini, le scarpine. Poi si sono trovati all’improvviso di fronte alla prima sbornia, magari a 12 anni (il 40% beve vino, il 50 birra, il 22,4 liquori e il 14% si è ubriacato almeno una volta), o a soprassedere quando i quattordicenni finiscono sotto le lenzuola. Tutte tranches de vie molto anticipate».
Cosa accade a questi adolescenti-lepri, divoratori di esperienze? «Credono di essere indipendenti ma poi si trovano a verificare quanto sia difficile darsi dei limiti. Un ragazzino mi ha detto: “non capisco mia madre, quando ero piccolo volevo star sempre con lei che mi esortava a stare con i miei amici! Adesso invece mi rimprovera perché ci sto troppo”».
Parafrasando lo scrittore Paul Nizan – che affermava «avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita» -, oggi l’età peggiore sono i 13 anni. «I ragazzini sono veloci anche nell’appropriarsi dei disagi dei 20-30 enni, quelli legati alla “mentalizzazione del corpo”, che vanno da un’ossessiva concentrazione sull’aspetto fisico (il 61,1% dei ragazzi vorrebbe essere più bello) ad ansie, bulimia, anoressia, comportamenti autopunitivi», afferma Eugenia Pelanda, psicoanalista dell’adolescenza.
«La responsabilità è della cosiddetta famiglia “non prescrittiva” che ha eliminato ogni tipo di conflitto, con gli adulti pronti all’empatia e non alla contrapposizione. Sembra una conquista ma c’è un risvolto negativo. I ragazzi sono molto più fragili perché non si misurano con nessun divieto e sono “sregolati” in quanto nessuno ha più un ruolo per imporre le regole. Un tempo attaccavano gli altri: oggi se stessi».
Meglio allora i teenagers ribelli, il giovane Holden, le fughe dalla famiglia? «Assolutamente no, ma le richieste di intervento dei genitori da parte dei giovanissimi sono un segnale importante. Non il perenne braccio di ferro di una volta, ma saper dire “no”. Un tempo il mestiere di padre lo si faceva con l’elmetto; oggi il nuovo genitore sta sempre seduto al tavolo per rinegoziare continuamente trattati di pace».
Fonte: La Stampa.it
Il fenomeno descritto nell’articolo è ben analizzato ne I vostri figli hanno bisogno di voi di Gordon Neufeld e Gabor Maté.
rossella
gli adolescenti di oggi, sono i bambini di ieri, gli stessi che passano piu ore , le piu fruttuose e importanti della giornata con dade al nido e maestre alla scuola dell”infanzia, dove la loro individualità di perde dietro altri 10 bambini tutti con le stesse esigenze ed un solo “genitore putativo” la dada. chi li ascolta in quel momento? la dimensione individuale quando si è piccoli si esprime nel rapporto di coppia con la madre e dopo con il padre e la madre quindi il bimbo cerca di ricostruire questi rapporti legandosi ad un amichetto, che come lui cerca qualcuno sempre presente con cui vivere le esperienze. E si parla di anni e non di mesi, cosa pretendiamo da questi bimbi che abbiamo abbandonato a loro stessi a volte da quando avevano sei mesi?
tiziana
penso che ogni tanto bisognerebbe andare più in là dei soliti luoghi comuni, anche se l”analisi del “fenomeno” adolescenza fatto è ,in parte, condivisibile. Comodo dare sempre la “colpa” ai genitori di ogni cosa. La scuola, la società, i “modelli culturali” che questa società ci impone, inclusi proprio i giochi dei bambini proposti per genere, e molto altro dove li mettiamo?
E poi su, ma dove stanno tutta ”sta grande maggioranza di adolescenti che si rivolgono ai coetanei e basta, senza contrapporsi e/o rifugiarsi tra le braccia dei genitori? Ma perfavore…facciamo una inchiesta seria sui genitori reali di adolescenti reali, in Italia, invece di farci dire tutto dagli americani che la cultura non si cambia solo con il libri!
Anita
Desidero commentare le osservazioni di Tiziana. Se capisco bene sono tre gli elementi su cui si appunta la sua critica: da un lato i contenuti dell”articolo che riporta un convegno di psicologi, poi la scelta di pubblicare, tra gli altri, studi americani sull”argomento “adolescenti” e infine la possibilità di cambiare la cultura attraverso i libri.
Io vivo in una grande città e ho occasione di confrontarmi con moltissime persone appartenenti agli ambienti più disparati. In più cerco di osservare la realtà che mi circonda. Tutto ciò ovviamente non rende affatto scientifico o autorevole quello che dico, ma la mia impressione è che le risultanze del convegno siano proprio condivisibili. Certo non è un fenomeno che riguarda il 100% delle famiglie, e sono felice di sentire che molti genitori ne sono lontani, ma nondimeno etichettarlo come “luogo comune” mi sembra eccessivo.
I genitori non sono totalmente responsabili perché bisogna considerare la società e i suoi modelli culturali? Nessuno mette in dubbio queste cose. Solo che non serve dare la colpa anche a qualcun altro. Se possiamo fare qualcosa, lo possiamo fare in casa nostra (e secondo me non è poco). La società metterà tutti i bastoni possibili tra le ruote, ma sta anche alla famiglia difendersi, rifiutare i modelli sbagliati, cambiare stile di vita, avere il coraggio di passare valori forti ai figli, sforzarsi di dare il buon esempio.
Non basterà? Può darsi, ma almeno potremo dire di aver fatto il nostro dovere.
Infine la faccenda dei libri. Gli angloamericani sono più avanti di noi (in questa strada di disfacimento sociale) e qualche anticorpo lo stanno sviluppando: secondo noi il libro che abbiamo consigliato è assolutamente mirabile per l”originalità dei contenuti e l”intelligenza degli approfondimenti. Non pubblicarlo a nostro avviso sarebbe stato un errore.
Voglio anche sbilanciarmi: secondo noi il testo di Neufeld è talmente importante che lo riteniamo una lettura indispensabile per chiunque, avendo figli, è sensibile alla relazione con loro.
E poi è vero, i libri possono non essere sufficienti, ma da che mondo è mondo cosa altro abbiamo (realisticamente) per diffondere idee, modelli, confrontarci con altre realtà e sviluppare consapevolezza?
Anita Molino