Truccate all’eccesso, messe sui tacchi e cotonate, per poi essere mandate su un palco a sculettare davanti ad una giuria.
Ecco un – esplicito e crudo – esempio:
“Sheila ha i capelli biondi e gli occhi blu. Indossa un bikini rosa con lustrini e quando arriva in passerella gli occhi sono tutti per lei. Boccoli d’oro, sguardo sicuro, movenze sexy e decise, un filo di mascara e gloss per le labbra. Non le manca davvero nulla per raggiungere fama e popolarità.
Forse solo una quindicina di anni in più, visto che lei non ne ha neanche 6. Abituata ai concorsi di bellezza sin dal primo anno di età, Sheila é una delle tante Little Miss Qualcosa d’America.
Figlia di una madre vissuta nella mediocrità e nel bisogno di riscatto, la piccola Sheila cresce a comando seguendo lo stile di vita di una vera modella. Zero tempo libero, zero amici, niente scuola, nessun gioco.
Sport per tonificare, dieta rigida senza gelato e patatine (la madre é una delle tipiche donne oversize americane), orari allucinanti, corsi di portamento e recitazione, estenuanti sedute fotografiche, lezioni di sensualità e occhiolino strizzato.
Tutto per una fascia e una coroncina di qualche grammo sulla testa, tutto per mettere le mani su un bel gruzzolo di dollari. Le serviranno per gli studi, dicono i suoi, o forse no, ma intanto é meglio averli.”
Di storie come questa se ne sentono tante negli Stati Uniti, dove la mania dei baby concorsi di bellezza ha contagiato programmi tv dei bambini – Little Miss Perfect è il titolo di un reality di successo dedicato alle baby modelle – ha spopolato al cinema – assolutamente da vedere il delizioso Little Miss Sunshine, che prende in giro quel mondo – e ha invaso la cronaca – alcuni ricorderanno il caso di Jon Benet Ramsey, “reginetta di bellezza” di sei anni, violentata, uccisa e ritrovata nella cantina della villa dei suoi genitori.
Eppure non c’è bisogno di scendere nel dramma, né di andare così lontano.
Era il 1951 quando usciva nelle sale italiane Bellissima di Luchino Visconti, storia di una madre (Anna Magnani) che voleva a ogni costo un avvenire radioso per la sua piccola. Farle vincere un provino per il cinema era come darle la vita, di nuovo.
La sensazione di regalare ai propri figli un’esistenza migliore di quella vissuta é una delle prime cause che fa scattare in un genitore il bisogno di allevare un piccolo genio o una piccola stella.
Bambini, spesso primogeniti, iscritti a corsi di musica classica – solo perchè magari in casa giocano a suonare sulle scatole di latta – provinati per squadre di calcio famose o partecipazioni in tv, sottoposti a ritmi di vita assurdi perchè in loro si è intravisto (o immaginato) un qualsiasi talento artistico, sportivo o intellettuale.
Figli privati del loro tempo libero, del sacrosanto diritto al gioco, degli amici, della spensieratezza, in nome di un potenziale successo in una qualche disciplina. Ma qual è il prezzo che pagheranno?
Fonte: Pianetamamma.it