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Il bambino e l’ascolto in Tribunale

bambini-tribunaleIl tema dell’ascolto del minore, nelle procedure giudiziarie che lo riguardano, è materia che meriterebbe una trattazione ben più diffusa di quella che può essere consentita a questo breve spazio, nel quale mi limiterò a fornire qualche modesta indicazione.

In verità, la questione dell’ascolto del minore è dibattuta da quasi un ventennio e molti sono stati i contributi della dottrina e della giurisprudenza sul tema.

La questione è, però, diventata di grande attualità nel nostro ordinamento solo dopo l’entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006 n. 54 sull’affido condiviso, che ha introdotto ex novo l’art. 155 sexies del codice civile (intitolato poteri del giudice e ascolto del minore) prevedendo che: “anche prima dell’emanazione in via provvisoria dei provvedimenti di cui all’art. 155, “il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio mezzi di prova e, ancora che “il giudice dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.

La norma è inserita nel Libro I, Titolo VI, Capo V del codice civile, che disciplina “dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi” e si applica, dunque, ai procedimenti contenziosi di separazione e divorzio, ma è norma estensibile anche alla separazione dei conviventi di fatto.

Il legislatore del 2006 ha così codificato il principio, affermato prima fra tutte dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, del diritto del minore ad essere ascoltato e del conseguente obbligo del giudice di disporre la sua audizione, prima che siano assunte decisioni che lo riguardano.

E se il Giudice ha solo la facoltà di sentire il minore infradodicenne, ove lo ritenga dotato di adeguato e sufficiente discernimento, ha invece l’obbligo di procedere al suo ascolto se il minore ha già compiuto i dodici anni di età, perché in tale caso vale la presunzione di adeguata maturità e di capacità del minore ad esprimere il suo parere nelle procedure giudiziarie che lo coinvolgono.

Non viene difficile comprendere quale sia la difficoltà, per un Giudice – che pur con tutta la sua preparazione, esperienza e sensibilità non ha, propriamente, una formazione nelle discipline pedagogiche e psicologiche – l’approccio al tema dell’ascolto di un minore, tanto più se si consideri la responsabilità che deriva da un provvedimento volto ad incidere sul suo affidamento o sulla sua collocazione presso l’uno o l’altro genitore.

Non pare esistere, allo stato, nelle prassi dei Tribunali italiani, un protocollo esplicativo delle metodologie e delle prassi da seguire per procedersi all’ascolto dei minori, anche se alcune isolate esperienze – cito ad esempio quella del Tribunale di Genova – già da molti anni hanno codificato un protocollo contenente linee guida e prescrizioni in tema di ascolto e audizione del minore.

Parlando di ascolto del minore occorre, poi, considerare che diversa è la valenza a seconda dell’ambito in cui viene svolto e del soggetto che si pone ad ascoltare il minore; una cosa è l’ascolto del minore da parte del giudice della procedura, altra è l’ascolto in ambito di CTU (consulenza tecnica d’ufficio), altra è l’ascolto indiretto da parte di un ausiliario-psicologo incaricato dal Giudice e altro ancora l’ascolto da parte di un rappresentante del minore stesso, quale, ad esempio, il curatore speciale.

Credo però valga la pena, in tutti i casi, intendersi sul significato da attribuire alla parola “ascolto” del minore, posto che, come evidenziato da luminari della materia, ascoltare un bambino significa non tanto interessarsi a quello che può essere il suo parere rispetto ad una questione sulla quale configgono gli adulti, quanto piuttosto sintonizzarsi su quelli che sono i bisogni emotivi più intimi del bambino, cercando anche di capire quanto vi sia in lui di autentico e quanto, eventualmente, sia indotto dagli adulti di riferimento.

L’ascolto implica che siano poste, da parte di chi questa attività compie, domande al minore non suggestive e non tendenziose, rispettose dell’età anagrafica, adeguate alle competenze del bambino e al suo sviluppo di apprendimento, il più possibile tese a raccogliere informazioni utili alla decisione ma soprattutto a cogliere tutto ciò che il minore intende, percepisce e rappresenta circa la situazione che vive o che subisce.

Il dott. Piercarlo Pazè, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta, oggi a riposo per anzianità nonché Direttore della rivista “Minorigiustizia”, ha dedicato moltissimi studi al tema dell’ascolto del minore e, in generale, ai diritti della persona bambina, sposando punti di vista ai quali mi sento molto legata, perché ascolto non può esserci se non nella misura in cui l’uditore si sforza di cogliere i bisogni psicologici più profondi e più intimi del minore che ha di fronte, prestando attenzione anche ai silenzi e ai comportamenti non verbali o paraverbali che contribuiscono ad esprimere emozioni.

Il dottor Pazè scrive che: “l’ascolto è prestare orecchie e attenzione a ciò che il minore vuole esprimere; la testimonianza è invece il racconto indotto su fatti che interessano al giudice per decidere. L’ascolto ha come soggetto attivo il minore; la testimonianza vede come protagonista il giudice. L’ascolto costituisce manifestazione specialmente di emozioni e di bisogni; la testimonianza ha come contenuto il racconto di fatti . Qualche volta la testimonianza può essere traumatica, l’ascolto invece è, in qualche modo liberatorio. Nella testimonianza non è rilevante ciò che il testimone vuole o desidera; l’ascolto invece è uno strumento per raccogliere le opinioni del minore, con l’obbligo di prenderle debitamente in considerazione nel momento della decisione (….)”.

Dare, dunque, voce ai più piccoli è un indubbio diritto del minore ad essere un po’ più protagonista attivo delle decisioni giudiziarie che lo riguardano e che, in alcuni casi sono destinate a stravolgere, in maniera anche irreversibile, la sua giovane esistenza.

L’importante è, come sempre, l’equilibrio e il giusto mezzo, perché se è vero che è diritto del minore essere sentito nelle aule giudiziarie, mi sento però di dire che molta attenzione deve essere prestata dagli operatori del diritto nel riconoscere le situazioni in cui l’ascolto del minore è strumento al servizio e a tutela dell’essere bambino, dalle troppe situazioni in cui l’ascolto viene invocato ad uso e consumo delle rivendicazioni degli adulti, che pretendono di delegare ai figli la responsabilità di decisioni scomode e particolarmente sofferenti.

Avv. Paola Carrera
Avvocato in Torino

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