Si dice che i bambini siano la “bocca della verità”: non è così secondo la Cassazione Penale, almeno a leggere la recente pronuncia, numero 5935, datata 15 febbraio 2012.
Dalla lettura della sentenza emessa dalla Suprema Corte si evince, infatti, come l’unica similitudine tra i fanciulli ed il celebre oracolo stia nel mettere seriamente a repentaglio l’incolumità (quantomeno patrimoniale) di chi si affidi loro senza troppo indugiare alla ricerca del vero.
La vicenda processuale origina dal comportamento di due genitori, G.M. e M.T., i quali, a seguito di un provvedimento disciplinare assunto dalla maestra nei confronti del proprio figlio, M.M., colpevole di non aver portato a termine i compiti assegnatigli per il fine settimana, ritenendo tale episodio l’ultimo atto di un ingiustificato atteggiamento persecutorio assunto dall’insegnante nei confronti dello scolaro, così come già in precedenza lamentato dallo stesso, e assertivamente culminato in episodi di violenza fisica e morale, procedevano ad informare del fatto il dirigente scolastico ed il provveditorato agli studi.
Non paghi, portavano altresì la notizia all’attenzione della stampa, tanto che il quotidiano “Il Resto del Carlino”, ritenendo l’episodio di indubbio interesse, dedicava alla vicenda un articolo in cui, pur non essendo indicato il nome dell’insegnante, la stessa veniva descritta in maniera tale da renderne quanto mai agevole l’identificazione.
Venuta a conoscenza di quanto sopra, la maestra, ritenendo compromessa la propria reputazione, provvedeva a sporgere denuncia nei confronti dei genitori del minore, per i reati di diffamazione e calunnia.
Seguivano due gradi di giudizio, all’esito dei quali, la Corte d’Appello, pur accertando l’intervenuta prescrizione dei reati ascritti ai due genitori, condannava tuttavia gli stessi al risarcimento dei danni nei confronti della parte lesa.
Il Giudice di merito, infatti, ritenuta l’assoluta infondatezza delle accuse rivolte nei confronti dell’insegnante riteneva che i due genitori, mossi da una volontà di ritorsione verso la medesima, “rea” di aver punito il loro figlio per il mancato espletamento dei compiti, avessero deliberatamente dato pubblicità alla versione dei fatti narrata da quest’ultimo, senza minimamente accertarsi della rispondenza al vero delle predette affermazioni, incorrendo, così, nel reato di diffamazione.
I due genitori ricorrevano, pertanto, in Cassazione, rimarcando, oltre alla carenza di motivazione circa l’intento ritorsivo loro attribuito – da escludersi in considerazione dell’intima convinzione degli imputati circa la veridicità dei racconti del loro figliolo – la mancata valutazione, da parte della Corte Territoriale, dell’esimente costituita dal generale dovere, gravante sui genitori, di proteggere l’integrità psico-fisica dei propri figli, in virtù di cui gli stessi si sarebbero risolti ad agire, in maniera tanto decisa, nei confronti dell’insegnante.
La Suprema Corte, tuttavia, respingeva in toto l’impianto difensivo della coppia genitoriale, proprio in considerazione dei limiti di applicazione dell’esimente dagli stessi invocata.
Gli Ermellini hanno, infatti, ritenuto che il comportamento dei ricorrenti, atto a gettare discredito sulla persona della docente, non possa trovare giustificazione in ragione della convinzione della rispondenza al vero dei racconti riportati dal proprio figlio e, così pure, per quanto riguarda l’esercizio del dovere di protezione, dovendosi, pertanto, confermare la sentenza di merito.
A parere del Giudice di legittimità, pur non potendosi contestare la sussistenza di un obbligo di protezione e di assistenza nei confronti dei minori, non soltanto sotto il profilo materiale ma anche morale, lo stesso non esimerebbe i genitori dall’onere di verificare la veridicità dei fatti di cui siano venuti a conoscenza, prima di valutare l’opportunità di intraprendere iniziative di sorta, non potendosi, al contrario, invocare la giustificazione dell’affidamento incolpevole, qualora tale accertamento sia mancato.
Sia ben chiaro, la Cassazione non giunge ad imporre sui genitori un onere di ricerca della verità in termini assoluti, il che apparirebbe sinceramente eccessivo a fronte della necessità di proteggere un minore da un potenziale abuso di autorità, quanto, piuttosto, a richiamare gli stessi ad un atteggiamento maturo e responsabile, tale da estrinsecarsi in un’attenta valutazione, a monte, dei fatti, così come riportati dai propri figli e, quindi, nell’adozione di quelle sole misure effettivamente necessarie a porre in essere un’efficace tutela.
Applicandosi tali principi al caso di specie, i due genitori, per non incorrere nelle maglie della responsabilità penale, avrebbero quindi dovuto procedere con maggior prudenza, verificando anzitutto, sia pure con indagine sommaria ed informale, la verità dei fatti lamentati dal loro figliolo, ricercando, auspicabilmente, un preliminare incontro chiarificatore con l’insegnante e, solo successivamente, ove insoddisfacenti i riscontri ottenuti, procedere ad una denuncia nei confronti del Dirigente Scolastico rivolgendosi, solo in ultima istanza, falliti tutti i precedenti tentativi, al Provveditore agli Studi.
E’ apparso poi, nel caso di specie – ma la cronaca ci fornisce quotidianamente esempi assimilabili – del tutto inopportuna e strumentale la divulgazione dei fatti alla stampa, atteso che, al di là dell’oggettivo eccesso costituto da un simile comportamento, risulterebbe del tutto improbo ricondurre una simile misura all’effettivo interesse del minore.
Bisogna, infatti, tenere conto come, nel novero dei diritti fondamentali della persona, oggetto di tutela Costituzionale, rientri il diritto alla riservatezza, cui si dovrebbe derogare solo quando la pubblicità della notizia sia davvero necessaria a realizzare una finalità di tutela e non anche quando la divulgazione dei dati risponda meramente ad una smania mediatica, con il rischio di esporre un innocente al pubblico dominio.
Mi è capitato, qualche anno addietro, di assistere gli insegnanti di una Scuola di una piccola comunità del Piemonte, accusati dalla famiglia di un ragazzino di non avere diligentemente vigilato durante le lezioni, allorché, a loro dire, il figlio sarebbe stato costretto da un altro compagno ad ingurgitare uno starlight (luci chimiche a forma di cilindri, impiegati come accessori nella pesca sportiva).
La famiglia, ritenendo fondata la versione dei fatti, offerta nell’immediatezza dell’evento dal bambino, aveva subito portato la notizia all’attenzione dei media, tanto che, in poche ore, tutti i giornali, a diffusione locale e nazionale, avevano speso fiumi di parole per screditare la Scuola e il personale docente, ingenerando paura tra i genitori degli scolari e compromettendo il clima di serenità che, fino a quel momento aveva caratterizzato l’ambiente scolastico.
Qualche tempo più tardi, dopo che l’Istituto e tutto il personale docente, a seguito della tempesta mediatica scatenatasi erano stati esposti alla pubblica gogna, il ragazzino vittima del presunto episodio di bullismo aveva ritrattato completamente la versione dei fatti, ammettendo di aver volontariamente ingerito lo starlight, senza alcuna induzione o concorso da parte dei compagni, avendo quindi inscenato (tutta quel) la “commedia” per timore della reazione dei genitori a fronte della sciocchezza compiuta.
La prudenza, dunque, non è mai troppa e la tutela non dovrebbe mai sconfinare nella “mania di protagonismo mediatico”, il cui fascino è tanto contagioso quanto pericoloso.
Se è nell’indole dell’essere genitore proteggere i figli dalle situazioni di pericolo, l’iperprotettività, al pari di ogni altro eccesso, rischia di essere non solo insana, perché fa crescere i bambini nella paura e nel sospetto, ma anche diseducativa perché, anziché stimolare i più piccoli ad affrontare l’esistenza con determinazione e con “fiducia”, li spinge ad adagiarsi sui propri limiti, trovando nel prossimo un facile capro espiatorio dei propri insuccessi .
Non credo che insegnare ai nostri bambini a vivere nella paura e nella diffidenza, insinuando in loro la convinzione che gli “altri” siano pronti a penalizzarli, nella Scuola come nel lavoro, nei rapporti affettivi ed interpersonali, sia davvero sinonimo di protezione e di “voler bene”.
Sono più propensa a credere che “rischiare di dare fiducia” agli altri sia il messaggio che dobbiamo trasmettere ai nostri bambini se vogliamo abituarli al coraggio e alla forza necessari ad affrontare l’esistenza con un minimo di indipendenza e di soddisfazione.
Avv. Paola Carrera
Avvocato in Torino, componente del Direttivo A.I.A.F. Piemonte e Valle d’Aosta – Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia ed i Minori.
Alexandra
Poveri bambini che vivono nel “timore della reazione dei genitori”, con il bisogno di accusare “altri” di penalizzarli, e che brutto esempio quello della prontezza dei genitori ad accettare qualsiasi fandonia purché il proprio pargolo non sia “in torto”.
Condivido appieno il pensiero di Paola, e (da avvocato anch’io), rammento con una certa malinconia che la FIDUCIA, basata sulla ragionevole certezza dell’onestà e della buona fede reciproca, è il fondamento essenziale di qualsiasi relazione giuridica, senza il quale anche il “gretto” mondo degli affari va in asfissia sotto montagne e montagne di carte e clausole sempre più demenziali.
Ormai sembra quasi che si dia per scontato che gli altri, se non tenuti a bada con regole solenni e clamorose sanzioni, si comporteranno male.
Ma c’è anche un’altra cosa: che genitori siamo se non siamo capaci di insegnare al nostro bambino che sbagliare, trovarsi in torto, non è la fine del mondo? Che si rimane comunque persone validi e degne d’amore?
Siamo talmente terrorizzati all’idea di non essere nella norma o sopra la norma, che qualsiasi cosa possa lasciare intendere che noi, o il nostro bambino, dalla cui conformità dipende la nostra identità sociale, non siamo “bravi”, diventa tanto inaccettabile da scatenare reazioni completamente irrazionali. O una rabbia tremenda contro il povero bambino, non per il fatto in sé, ma per l'”essere” sbagliato, stupido, cattivo, traditore del buon nome familiare (esempi agghiaccianti li dà Jesper Juul). Oppure, chi è latore del potenziale giudizio negativo nei nostri confronti deve essere condannato, vilipeso, il mondo intero deve sapere che costui è quello è in torto. E visto che il mondo mediatico è oramai più reale del mondo vero, vai con i media.
I bimbi faranno sempre marachelle o sciocchezze, fa parte dell’apprendimento della vita, ed è anche normale che qualche volta abbiano paura di farlo sapere ai genitori, perché anche davanti al genitore più amorevole non è bello fare la figura dello sciocco. Anzi, qualche volta nascondendoci le cose del loro mondo di bambini,imparano a fare un pò “senza” di noi, e crescono. Ma se vengono da noi e diamo ai nostri bambini un ascolto vero, paziente, profondo, senza fermarci alle apparenze e andare in escandescenze, come prima cosa sarà più difficile per loro ingannarci. E come seconda cosa, se non scatta subito un giudizio, ma si affronta insieme la “storia”, anche come occasione di imparare ecc., si consola quando c’è da consolare, si mantiene la certezza dell’amore come una fortezza, allora educhiamo persone forti che sapranno affrontare anche i loro errori e non cercheranno di scaricare la propria responsabilità su altri.