Siamo noi genitori a decidere, perlomeno nei primi anni di vita dei nostri bambini quel che metteremo dentro al carrello della spesa, e che utilizzeremo per preparare i pasti da portare in tavola.
Di conseguenza l’educazione alimentare dei nostri figli ed il soddisfacimento dei loro fabbisogni nutritivi è qualcosa di cui dobbiamo farci carico in prima persona. Ma anche il fatto di insegnare loro a stare a tavola, mostrar loro attraverso l’esempio il modo in cui ci aspettiamo si comportino, il rispetto del cibo, la consapevolezza del suo valore, la buona educazione, il livello e la qualità della comunicazione tra noi ed i nostri piccoli commensali dipenderanno interamente da quel che sapremo trasmettere noi genitori.
I risultati possono variare considerevolmente da famiglia a famiglia, a seconda dei valori in cui crediamo e che desideriamo trasmettere ai nostri figli perché riteniamo importante condividerli e vorremmo che fossero interiorizzati e fatti propri.
I valori sono espressione di una scelta assolutamente soggettiva e personale, che dipende dalla cultura, dai sentimenti e dalle finalità della famiglia, e sono in gran parte determinati dal modo in cui gli stessi genitori sono stati a loro volta educati. Ci saranno famiglie che attribuiscono particolare importanza alla qualità dell’alimentazione, privilegiando cibi naturali e non manipolati, così come famiglie che se ne disinteressano del tutto.
D’altro canto, accanto a famiglie che riconoscono grande valore ai pasti come momento di condivisione familiare, ne troveremo altre cui invece non importerà poi molto se il pasto viene consumato seduti sul divano davanti alla tv.
A prescindere dagli orientamenti personali, se noi genitori sapremo trasmettere i principi per noi importanti con autentica gioia e convinzione, i nostri figli non avranno nessun problema ad accoglierli e farli loro con altrettanto entusiasmo e naturalezza. Se tali valori dovessero essere invece frutto di un’imposizione, e vissuti da noi genitori con fanatismo ed estremismo, i bambini lo percepiranno. Non importa quanto piccoli siano, lo avvertiranno ugualmente, ed è probabile in questo caso che decidano. prima o poi, di non seguire la nostra strada.
L’atmosfera si guasterebbe, satura di tensioni provocate dai nodi irrisolti nel rapporto tra noi e loro, e la relazione ne soffrirebbe e ne risulterebbe compromessa, così come il piacere di stare assieme. Starà a noi genitori stabilire se la coerenza cieca ed assoluta con i nostri principi valga questo sacrificio o se sia il caso di fare qualche passo indietro e qualche rinuncia, perdendo solo apparentemente terreno.
D’altro canto stabilire una linea di condotta coerente non significa negare il peso che i figli hanno nelle nostre risoluzioni. Anch’essi, fin da piccolissimi, hanno i loro gusti in fatto di cibo, possiedono la chiara percezione del senso dell’appetito e della sazietà, e non mancano di farcelo presente. I bambini, oltre a essere piccoli barometri che con straordinaria sensibilità captano le emozioni e gli stati d’animo di chi li circonda, contribuiscono a loro volta, con i propri umori, a determinare la qualità dell’aria che si respira in casa.
Riconoscere ai nostri figli pari dignità e peso, soprattutto nelle decisioni che li riguardano personalmente, significa che quando scegliamo cosa preparare o decidiamo quanto dar loro da mangiare da piccoli, dobbiamo rispettare i segnali che c’inviano senza forzarli, anche se a volte e assaidifficile.
Il fatto che i nostri figli mangino o meno quanto da noi tanto amorevolmente preparato si carica di molte aspettative, dalle quali facciamo spesso (soprattutto noi madri) dipendere il nostro sentirci buone mamme all’altezza del ruolo che ricopriamo.
Che nostro figlio mangi con appetito, o rifiuti con disgusto quel che abbiamo messo nel suo piatto, viene – purtroppo e spesso – letto e interpretato come una conferma, o al contrario una smentita, delle nostre capacità materne.
Tenere in debita considerazione i desideri, i gusti e le esigenze dei figli, riconoscendo loro pari dignità rispetto a quelli degli adulti, significa ammettere il loro diritto a esprimere liberamente le proprie necessità e desideri; significa accogliere tra i nostri valori quello per cui la famiglia è la culla della democrazia, che tuttavia non vuol dire automaticamente permettere a tutti di far quel che pare e piace.
I desideri e i bisogni individuali si scontrano con le equivalenti necessità degli altri. Esistono infatti limiti dettati dalle altui esigenze, cui va riconosciuto lo stesso valore; ammettere le necessità o le preferenze di ciascuno non implica necessariamente il loro automatico soddisfacimento a svantaggio degli altri.
Sappiamo che il naturale egocentrismo dei bambini li porta ad anteporre i propri desideri a tutto il resto e ci vuole molto tempo prima che imparino a rispettare i confini dettati da interessi che non siano i loro e a esprimere i propri nel giusto modo. Nel frattempo il compito di imprimere una direzione, facendo da punto di riferimento, spetta a noi genitori.
Chiedere ad esempio al bambino che cosa desidera mangiare per cena, e tener conto della sua indicazione, non significa affatto lasciar decidere a lui, né necessariamente che le sue preferenze si traducano in un immediato soddisfacimento, o che i genitori, in modo particolare le madri, debbano sentirsi obbligati ad adeguarsi alle sue richieste; piuttosto, dimostrare interesse e considerazione per i suoi gusti, di cui tener conto questa volta o la volta successiva: magari il puré di patate che nostro figlio tanto gradirebbe stasera – ma che non c’è il tempo di preparare – costituirà il menù della cena di domani o di un altro giorno, non appena sarà possibile.
Soddisfare le richieste dei bambini quando ne abbiamo la possibilità non significa trasformarli in piccoli despoti, né necessariamente viziarli. Se a noi in quel momento non costa alcuno sforzo, o se lo facciamo con piacere, non dobbiamo evitare di farlo per timore di trasformare i nostri piccoli in tiranni viziati. Se i nostri e i loro desideri coincidono tanto meglio, ma se così non è niente sensi di colpa: ciò non determina il venir meno della dignità dei nostri figli, né che non venga riconosciuto loro il giusto peso, purché tutto questo avvenga nella coerenza e nel rispetto di una linea di condotta e di valori precedentemente stabiliti come validi e vincolanti per l’intera famiglia (che, come visto in precedenza, è unica e distinta da qualsiasi altra famiglia).
Quel che conta, in definitiva, è che i bambini avvertano in modo chiaro che i desideri possono essere sempre espressi liberamente, senza timore, che essi sono accolti e tenuti da conto anche se non sempre possono essere soddisfatti. Certo, le proteste non mancheranno, ma non è detto che debbano per forza tradursi in vere e proprie lotte di potere in famiglia, né che noi genitori dobbiamo ricorrere alla forza ed alla costrizione per far rispettare le regole.
Quando siamo costretti a dire di no a nostro figlio, quello di cui ci dobbiamo preoccupare non è il no in sé, ma il fatto che il bambino senta che siamo dalla sua parte e facciamo il tifo per lui anche se in quel momento non possiamo esaudire il suo desiderio. Questo è il tipo di atteggiamento di ascolto detto empatico.
Non è affatto semplice per un genitore, soprattutto una madre, rifiutare una richiesta e dire di no. Noi genitori siamo naturalmente portati ad assecondare i desideri dei nostri figli, ma se vogliamo che essi rispettino anche gli altri oltre che sé stessi, a volte sarà necessario farlo, senza che per questo la nostra relazione con loro ne debba risentire.
I nostri bambini, anzi, avranno un’opportunità in più di imparare a discernere una vera e propria necessità da un temporaneo capriccio: che si tratti di alimentazione o giocattoli, poco importa.
Michela Boscaro