Sembra che molti genitori di bambini piccoli, nell’ansia di non voler essere negligenti né irrispettosi,abbiano esagerato nel verso opposto.
(Jean Liedloff, Apparso per la prima volta su Mothering magazine, Inverno 1994)
Ci è voluto del tempo prima che il senso di ciò che osservavo si facesse strada nella mia mente “civilizzata”. Avevo trascorso più di due anni nella giungla del Sud America vivendo a contatto con Indiani dell’età della pietra.
I maschietti viaggiavano con noi quando ingaggiavamo i padri come equipaggio e guide, inoltre restavamo spesso giorni o settimane nei villaggi degli indiani Yequana, dove i bambini giocavano tutto il giorno senza la supervisione di adulti o adolescenti.
Solo dopo la quarta delle mie cinque spedizioni mi colpì il fatto che non avessi mai assistito a un conflitto fra bambini o fra adulti e bambini. Non solo i bambini non si colpivano a vicenda, ma neppure litigavano. Obbedivano agli adulti all’istante e con gioia, e spesso tenevano in braccio i più piccoli mentre giocavano o aiutavano nel lavoro.
Dov’erano le intemperanze dei “terribili due anni”? I capricci, i pianti, le lotte per “fare a modo loro”, l’egoismo, la distruttività e lo sprezzo per la propria incolumità che riteniamo la norma? Che fine avevano fatto le lamentele continue, la disciplina, i “confini” necessari ad arginare gli atteggiamenti oppositivi? Dov’era finita la relazione conflittuale che diamo per scontata fra un genitore e un figlio? E il biasimo, le punizioni o, ancora, perché non c’era traccia di permissivismo?
La Maniera degli Yequana
Esiste un’espressione Yequana che sta più o meno per “Sono ragazzi!”; ha però una connotazione positiva e si riferisce agli entusiasmi dei ragazzi maschi quando corrono, gridano eccitati, nuotano nel fiume o giocano a una sorta di badminton Yequana (un gioco non competitivo in cui tutti i giocatori cercano di tenere in aria il più possibile un volano fatto di foglie di granturco colpendolo con le mani aperte).
Ho sentito molte grida e risate quando i ragazzi giocavano all’aperto, tuttavia, quando erano all’interno delle capanne abbassavano la voce per mantenere la quiete che vi regnava. Non interrompevano mai la conversazione degli adulti e in genere parlavano pochissimo in loro presenza, limitandosi ad ascoltare e a svolgere piccoli servizi come distribuire il cibo o le bevande.
Ben lontani dall’essere disciplinati o repressi in comportamenti compiacenti, questi piccoli angeli erano rilassati e gioiosi. E crescendo diventavano adulti felici, sicuri di sé e collaborativi!
Come ci riuscivano? Cosa sapevano gli Yequana a proposito della natura umana che a noi sfugge? Cosa possiamo fare per ottenere relazioni non oppositive con i nostri figli durante la prima infanzia, o in seguito se sono stati sviati da un inizio infelice?
L’esperienza “civilizzata”
Nella mia pratica professionale le persone mi consultano per superare gli effetti deleteri di credenze su se stessi che si sono formate nell’infanzia(1). Molte di queste persone sono genitori desiderosi di non far subire ai figli il genere di alienazione che loro stessi hanno sofferto per mano dei genitori, di norma ben intenzionati. Vorrebbero sapere come poter crescere dei bambini felici e senza traumi.
Molti di loro hanno accolto i miei consigli e, seguendo l’esempio degli Yequana, hanno tenuto i figli a stretto contatto fisico, giorno e notte, finché non hanno iniziato a gattonare (2). Eppure, alcuni restano sorpresi e sconcertati nello scoprire che i loro piccoli diventano “esigenti” o rabbiosi, spesso proprio nei confronti dei genitori tanto premurosi. Profondersi in dedizione e sacrifici non migliora la disposizione dei bambini. Sforzi sempre maggiori per placarli non fanno altro che amplificare la frustrazione sia nel genitore, sia nel bambino. Perché allora gli Yequana non avevano gli stessi problemi?
La differenza cruciale è che gli Yequana non sono bambino-centrici. Possono di tanto in tanto strofinarsi col naso sui piccoli con affetto, giocare a bubu settete, cantare per loro, tuttavia la maggior parte del tempo chi si occupa del bambino presta attenzione ad altro… Non al bambino! Anche i grandicelli che accudiscono i più piccoli la ritengono una non-attività e, sebbene li portino ovunque con sé, di rado prestano loro attenzione in modo diretto.
Così facendo, i bambini Yequana sono sempre al centro di tutte le attività alle quali si uniranno col procedere della crescita nei vari stadi dello strisciare, gattonare, camminare e parlare. La visione panoramica delle esperienze future che li attendono, comportamenti, ritmi, linguaggio, offre una base ricca alla loro partecipazione in divenire.
Giocare col bambino, parlargli, ammirarlo tutto il giorno, lo priva della fase in braccio in cui è un semplice spettatore, che lo fa sentire bene. Incapace di dire ciò di cui ha bisogno, si esprimerà attraverso il malumore. Cerca di attirare l’attenzione dell’adulto, ed ecco la causa della comprensibile confusione, il suo proposito è di modificare l’esperienza di insoddisfazione facendo sì che l’adulto si occupi delle proprie attività con sicurezza, senza mostrare di dover chiedere il permesso al bambino.
Una volta risolta e corretta la situazione, il comportamento che attira attenzione, e che scambiamo per un impulso permanente, sparirà. Lo stesso principio si applica agli stadi di crescita che seguono la fase in braccio.
Una madre devota della costa orientale, all’inizio delle sessioni telefoniche con me si sentiva al limite della pazienza. Era in guerra con l’adorato figlio di tre anni, che spesso si intrometteva, a volte la picchiava e le gridava “stai zitta!” insieme ad altre espressioni di rabbia e mancato rispetto. Aveva tentato di ragionare con lui, chiedendogli cosa voleva che facesse, allettandolo, parlando con dolcezza finché poteva prima di perdere la pazienza e urlargli contro.
Dopo si sentiva consumare dal senso di colpa e cercava di “rimediare” con scuse, spiegazioni, abbracci, o doni speciali che dimostrassero il suo amore – a quel punto il suo prezioso bambino avrebbe risposto inscenando nuove pretese a suon di capricci e sfuriate.
A volte interrompeva i tentativi di compiacerlo e in silenzio si dedicava alle sue attività, nonostante le urla e le proteste. Se, infine, riusciva a tener duro abbastanza perché lui cedesse al tentativo di controllarla e si calmava, quando poi la fissava coi suoi begli occhi dolci e le diceva: “ti voglio bene mamma!”, lei, quasi sottomessa dalla gratitudine per questo momentaneo sollievo dal fardello della colpa che nutriva in petto, sarebbe presto tornata a mangiare di nuovo dalla sua manina paffuta e sporca di marmellata. Lui avrebbe ripreso il piglio pretenzioso di comando, poi sarebbe diventato sgarbato e rabbioso e l’intero scenario doloroso si sarebbe ripetuto, acuendo la disperazione della mia cliente.
Ho ascoltato molte storie analoghe dai miei clienti negli Stati Uniti, Canada, Germania e Inghilterra, perciò credo sia giusto affermare che il problema sia prevalente fra i genitori della società occidentale più istruiti e ben intenzionati. Lottano con figli che sembrano voler tenere gli adulti sotto controllo e obbedienti a ogni loro capriccio.
A peggiorare la situazione, molti credono che questo fenomeno avvalori la tesi molto diffusa secondo cui la nostra specie, unica fra tutte, sia per natura asociale e richieda anni di opposizione (“disciplina”, “socializzazione”) per dare buoni frutti e diventare “buona” . Come gli Yequana, anche i balinesi e numerosi altri popoli al di fuori della nostra orbita culturale mostrano come una simile tesi sia del tutto errata. I membri di una società non fanno che rispondere ai condizionamenti della propria cultura, quale che sia.
Qual è, allora, la causa di tanta infelicità? Cosa abbiamo frainteso della natura umana? E cosa possiamo fare per avvicinarci all’armonia che gli Yequana godono con i loro figli?
Mi sembra che molti genitori di bambini piccoli, nell’ansia di non essere negligenti né irrispettosi, abbiano esagerato nel verso opposto. Come martiri ingrati della fase in braccio, si sono concentrati sui loro figli invece di dedicarsi alle proprie occupazioni da adulti, che i bambini potrebbero osservare, seguire, imitare e assistere com’è nella loro tendenza naturale.
In altre parole, poiché un bambino piccolo vuole imparare ciò che fa la sua gente, si aspetta di poter concentrare la propria attenzione su un adulto che è intento alle proprie attività. Un adulto che interrompa qualsiasi cosa stia facendo e cerchi di capire ciò che il figlio desidera che lui faccia, manda in cortocircuito una tale aspettativa. Per non menzionare il fatto che l’adulto apparirà al bambino incapace di comportarsi, insicuro e, cosa ancor più allarmante, in cerca di una guida da un piccolo di due o tre anni che si affida al genitore per la propria calma, competenza e sicurezza.
La reazione più probabile del bambino piccolo all’insicurezza genitoriale è quella di spingere ancor più l’adulto fuori dagli equilibri, testando la possibilità che esista un terreno in cui il genitore si senta finalmente fermo e sicuro, alleviando l’ansia generata dal non sapere chi deve fare da guida. Potrebbe continuare a disegnare sui muri dopo che la madre lo abbia pregato di smettere, con un tono contrito e di scusa che gli fa intendere quanto lei non creda che lui obbedirà. Quando poi gli avrà sottratto i colori, mostrandosi timorosa della sua possibile reazione di rabbia, lui – poiché è una creatura davvero sociale – asseconderà le aspettative della madre e si produrrà in urla di furore.
Se, interpretando male la sua rabbia, la madre cercherà ancor più di capire cosa vuole, pregando, spiegando e mostrandosi sempre più disperata di poterlo calmare, il bambino sarà costretto ad avanzare pretese ancor più oltraggiose e inaccettabili. Continuerà finché la madre non prenderà le redini della situazione e l’ordine sarà restaurato.
Potrebbe ancora non esserci una figura autorevole, calma, sicura di sé e affidabile, in quanto la madre passa ora dal punto in cui perde la pazienza a quello in cui il senso di colpa e i dubbi sulla propria competenza risollevano le loro teste tremanti. Ciò nonostante, il bambino avrà la magra consolazione di vedere che quando le cose si fanno davvero difficili, lei lo solleva dal comando e placa il suo terrore di dover in qualche modo sapere ciò che deve fare la madre.
Detto in parole semplici, quando un bambino è costretto a tentare di controllare il comportamento di un adulto, non è perché vuole riuscirci, ma perché ha bisogno di essere certo che l’adulto sappia cosa sta facendo. Inoltre, il bambino non può smettere di “testare” le reazioni dell’adulto fintanto che costui non mostri di essere fermo e sicuro e il bambino non ne abbia la certezza.
Nessun bambino si sognerebbe mai di strappare l’iniziativa all’adulto a meno che non riceva il chiaro messaggio che una tale azione sia attesa: non voluta, bensì attesa! Ma quando il bambino sente di aver ottenuto il controllo, diventa confuso e spaventato e farebbe qualsiasi cosa pur di indurre l’adulto a riprendersi il ruolo di guida che gli spetta.
Una volta che questo sia chiaro, il timore dei genitori di imporsi al bambino svanisce e non è più necessario il contrasto. Se mantengono il controllo, soddisfano i bisogni del loro adorato figlio, anzichè agire in opposizione ad essi.
Alla mia cliente della costa orientale le ci vollero una o due settimane per vedere i primi risultati legati a questa nuova consapevolezza. Dopodiché, generazioni di fraintendimenti e la forza delle vecchie abitudini resero non proprio facile la transizione familiare verso una modalità non avversativa. Oggi, grazie alla loro esperienza felice e insieme a molti altri miei clienti afflitti dagli stessi problemi, lei e il marito sono convinti che i bambini, ben lungi dall’essere oppositivi, siano per natura profondamente sociali.
Aspettarsi che lo siano è ciò che permette loro di esserlo. Non appena le attese dei genitori sulla socialità del figlio vengono percepite da lui, ecco che si realizzano; in modo analogo, nei genitori che sperimentano la socialità del bambino se ne rafforza l’aspettativa. Funziona così. In una bella lettera inviatami dal marito della mia cliente della costa orientale, egli scriveva a proposito della moglie, del figlio e di se stesso: “Siamo cresciuti e abbiamo imparato, ci siamo amati l’un l’altro in modo miracoloso. Le nostre relazioni reciproche continuano a evolversi in una direzione positiva e piena d’amore“.
Traduzione dall’inglese da Michela Orazzini
tratto da www.continuum-concept.org
Note
(1) Jean Liedloff, Normal Neurotics Like Us, Mothering, no. 61 (Fall 1991): 32-27.
(2) Jean Liedloff, The Importance of the In-Arms Phase, Mothering, no. 50 (Winter 1989): 16-19.
dbra
“In altre parole, poiché un bambino piccolo vuole imparare ciò che fa la sua gente, si aspetta di poter concentrare la propria attenzione su un adulto che è intento alle proprie attività.”
E’ normale e comune che facendo i lavori di casa uno si tenga attorno i bambini, compatibilmente ai rischi, ma questi nella vita moderna sono una quantità marginale del tempo, tant’è appunto che non c’è l’effetto sperato.
E quindi, qual è la proposta? Portare la figlia di due anni in ufficio, in osservando il monitor in silenzio riuscirà ad apprendere come sviluppare software?
Ne ho letti tanti di articoli come questo, ma tutti cadono proprio nel voler considerare sbagliato il nostro metodo educativo ed esportabile il loro, piuttosto che più semplicemente considerare che tanto il nostro quanto il loro è dovuto e ottimizzato dal contesto. Contesto che peraltro comprende anche il grado di accettazione del rischio per i figli figli, perché se già lasciare i bambini “giocare tutto il giorno senza la supervisione” è pericoloso nelle nostre trafficate città più che nella foresta, anche la mortalità che accettiamo è molto minore – tant’è che risulta *illegale* lasciare i bimbi senza supervisione, pena la sottrazione degli stessi.
So, what?
Koaly
Se, interpretando male la sua rabbia, la madre cercherà ancor più di capire cosa vuole, pregando, spiegando e mostrandosi sempre più disperata di poterlo calmare, il bambino sarà costretto ad avanzare pretese ancor più oltraggiose e inaccettabili. Continuerà finché la madre non prenderà le redini della situazione e l’ordine sarà restaurato.
Non ho capito questa parte.
Quindi la soluzione é lasciar piangere? Cercare di non dare tanto peso a bambino?
Non farlo sentire al centro del mondo?
Vorrei approfondire questo argomento.
Articolo molto interessante
Michela Orazzini
Ciao Koaly e dbra, grazie per i commenti! le parole di jean Liedloff portano sempre a tante discussioni, il suo punto di vista è sempre nuovo e provocatorio anche dopo tanti anni dall’uscita del suo libro. Oltre al suo libro purtroppo non c’è moltissimo ma penso che tradurrò altri articoli dal sito che le è stato dedicato, così avrete altri spunti di riflessione. Quello che posso dirvi in base alla mia modesta riflessione personale e a una piccola esperienza con persone che ho incontrato e che cercano di mettere in pratica gli spunti di riflessione tratti dagli scritti di jean Liedloff è che non si tratta affatto né di trasporre la vita degli yequana nella nostra, ciò che del resto sarebbe impossibile, né di trascurare e far piangere inascoltati i bambini, tutt’altro. Si tratta, con fatica, di raggiungere prima di tutto una diversa consapevolezza interiore del proprio ruolo di guida e di riferimento come genitori o adulti che interagiscono con bambini. Si tratta poi di vivere la sintonia, l’ascolto, la presenza, l’accudimento e il rispetto verso e con il bambino in un modo diverso, più consapevole di certe attese innate che il bambino ha venendo alla luce. Si tratta anche senz’altro di avere atteggiamenti nella vita pratica di tutti i giorni più adatti ai bisogni di fiducia, libertà, bisogno di apprendimento dei bambini. è naturale che non si possa mai prescindere dal proprio contesto culturale, sociale, lavorativo. Le parole di Jean Liedloff non prevedono di andare alla ricerca di formule magiche, predefinite, uguali per tutti, sono invece un faro di luce che illumina un sentiero, e chi ci si incammina farà scoperte sue personali. Consiglio a tutti la lettura del libro, ma anche quella è solo un inizio, un piccolo faro su una via lunghissima e difficile da percorrere, ognuno vi troverà qualcosa che potrà ispirarlo, guidarlo, fargli vedere le cose da una prospettiva nuova, magari infondere il desiderio di qualche cambiamento, per quanto possibile, nella propria vita con i bambini. Vi abbraccio e vi auguro di trovare il cammino di felicità con i vostri bambini che più vi si adatta.
Emanuela Ventura
a me l’articolo non sembra né troppo nuovo, né provocatorio. i commenti che seguono invece si. chi vuole condurre il concetto al solo proprio livello e contesto è oppositivo come i bambini che stiamo tentando di prendere in considerazione. l’articolo è semplicemente perfetto per spiegare l’insicurezza che pervade gli animi di noi genitori moderni e la scarsissima empatia che siamo in grado di manifestare con i nostri figli. l’ascolto, l’osservazione silenziosa da cui tutto dovrebbe partire non rientrano ormai quasi più nelle nostre capacità. è tutto più facile di quanto si pensi. è la voglia di cambiare atteggiamento che manca a noi adulti. ogni acquisizione di consapevolezza, in un primo momento, è faticosa. poi però si raccolgono i frutti. auguri a tutti
Marta
Ciao Michela bellissimo articolo mi ha illuminata e confortata in un momento di grande difficolta’ col mio maggiore di circa due anni che dalla nascita della sorellina mi rende le giornate difficili.. una lunga sequela di no e di lotte. Il conflitto e’ costante e mi ritrovo molto nell’ immagine della madre devota che alterna ragionamenti, sfuriate e sensi di colpa in una spirale faticosa …arg! Mi puoi dire a quale libro ti riferisci? Vorrei approfondire le posizioni di questa persona. Grazie!
COME EDUCARE BAMBINI FELICI E NON OPPOSITIVI – ILMONDOALLAROVESCIA
[…] Fonte: https://www.bambinonaturale.it/2013/10/come-educare-bambini-felici-non-oppositivi/ […]
Come educare i bambini ad essere felici e non oppositivi
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Come educare bambini felici e non oppositivi
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Mia
Scusate. .. ma consigli pratici circa situazioni analoghe a quelle descritte con un trenne molto provocatorio ed oppositivo? In pratica che si fa? Cosa potrei leggere per avere suggerimenti? Madre quasi single con zero aiuti e vita stra metropolitana. …
Michela Orazzini
Ciao Mia, non è certo facile da madre single senza aiuti e dunque è essenziale avere verso te stessa e verso il tuo bambino tutta l’empatia e la comprensione possibile. Quando un bambino ha un atteggiamento molto oppositivo uno dei motivi potrebbe essere che ha preso su di sé il cosiddetto ruolo alfa, il ruolo dominante che dovrebbe essere del genitore. Possono essere tanti i motivi per cui questo succede ma il modo per rimettere la relazione nel giusto ordine è quello di rafforzarla e riprendersi il ruolo alfa che ci compete in qualità di genitori. Tu sei la sua guida, la sua bussola, e deve sentire che può affidarsi a te, contare su di te, confidare di essere in mani sicure. Ridurre il più possibile i tempi di separazione, soprattutto se non ci sono altri adulti di riferimento importanti nella sua vita, non esagerare con il contatto con i coetanei, confidare in te stessa perché tu sei senza possibilità di errore la sua migliore àncora di salvezza, mostrarti serena di fronte alle sue intemperanze e aiutarlo nella manifestazione dei propri sentimenti curando che vengano espressi e sfogati senza drammatizzarli, accogliendoli con comprensione. Un libro dedicato ai più piccoli nel quale si parla molto del ruolo alfa assunto da alcuni bambini è il libro della dr.ssa Deborah MacNamara “Rest PLay grow” che pubblicheremo nei prossimi mesi. Un testo dedicato all’importanza della relazione e al tipo di disciplina che la rafforzi rendendo il compito del genitore più facile è “I vostri figli hanno bisogno di voi” di Gordon Neufeld e Gabor Maté (vi si parla molto di adolescenti ma anche del rischio di perdere la presa alfa sin da quando sono piccolissimi). nel libro di Naomi Aldort “Crescere i vostri figli crescere voi stessi” si affronta invece con notevole profondità il tema della gestione dei sentimenti del bambino, in che modo lasciarli fluire senza reprimerli, rispettando la dignità di ciascuno. in questo libro si parla anche della necessità di trascorrere del tempo insieme e di dare al bambino un’attenzione indivisa nel caso in cui non si viva in una tribù ma si sia più o meno l’unico o il più importante punto di riferimento del piccolo. cerca anche fra gli articoli del sito, nei tradotti per voi ci sono senz’altro delle anteprime del libro della Aldort. Un caro saluto e un abbraccio!