“Ridate l’infanzia ai bambini: se vogliamo che la vita dei nostri figli sia più felice, produttiva e morale, dobbiamo concedere più tempo al gioco, non meno. Gli studenti trascorrono quasi tutto il tempo a studiare e hanno poche opportunità di essere creativi e scoprire le proprie passioni”.
Peter Gray, domenica 12 gennaio 2014, scrive il seguente articolo pubblicato sulla pagina web dell’ Independent, nella sezione Voices. La prima parte del pezzo è visionabile qui. Di seguito, la seconda parte.
II° PARTE
[…] Persino più importante della creatività è la capacità di stare insieme agli altri, di preoccuparsi per loro e di cooperare in modo efficace. I bambini ovunque nascono con una forte spinta a giocare insieme agli altri bambini, in tal modo acquisendo abilità sociali e praticando la giustizia e la moralità.
Il gioco, per definizione, è volontario, il che vuol dire che i giocatori son sempre liberi di abbandonare. Se non te ne puoi andare, non è un gioco. Tutti i giocatori lo sanno, e quindi sanno anche che per far andare avanti il gioco gli altri giocatori devono essere felici di giocare. Il potere di andarsene è ciò che rende il gioco l’attività più democratica di tutte.
Quando c’è disaccordo sul modo di giocare, bisogna negoziare sulle differenze e arrivare a un compromesso. Ogni giocatore è costretto a riconoscere le capacità e i desideri degli altri, per non offenderli o ferirli in modi che li spingerebbero ad abbandonare il gioco. Se si fallisce il gioco termina e chi ha offeso viene lasciato da solo, che è la punizione peggiore per non aver rispettato i desideri e i bisogni degli altri.
L’abilità sociale fondamentale è quella di entrare nella mente degli altri, di vedere il mondo dal loro punto di vista. Senza di essa è impossibile avere un matrimonio felice, dei buoni amici, o dei colleghi con cui lavorare in collaborazione. I bambini si esercitano di continuo in queste abilità attraverso il gioco in gruppo.
Grazie al gioco imparano anche a controllare i propri impulsi e a seguire le regole. Tutti i giochi, persino le varietà più selvagge, hanno delle regole. Una lotta per gioco, ad esempio, differisce da una lotta vera in quanto rispetta delle regole che la seconda non ha.
Quando si lotta per gioco non si possono dare calci, morsi, graffi, né fare davvero male all’altra persona, e se si è il più forte e il più grosso dei due, bisogna stare particolarmente attenti che l’altro non si faccia male. Se lo scopo di una lotta vera è quello di porle fine sottomettendo l’altro, l’obiettivo del gioco è sempre quello di prolungarlo il più possibile mantenendo la felicità dell’altro.
Nel gioco sociodrammatico – il genere di gioco immaginario che si esemplifica ad esempio riproponendo la “famiglia e la casa” o facendo finta di essere supereroi – la regola principale è quella di restare nel personaggio. Se siete il cane di casa dovete abbaiare anziché parlare e muovervi a quattro zampe per quanto risulti scomodo. Se siete Wonder Woman, e con i vostri compagni vi convincete che Wonder Woman non pianga mai, dovete trattenere le lacrime anche se cadete e vi fate male. L’arte di essere una creatura umana è quella di controllare i vostri impulsi e comportarvi in accordo con le aspettative sociali.
Il gioco è anche un mezzo per imparare a controllare la paura, e vale per i bambini così come per altri giovani mammiferi. I piccoli di molte specie di mammiferi giocano in modi che sembrano pericolosi. I cuccioli di capra corrono svelti lungo i bordi dei precipizi; le scimmiette si rincorrono di ramo in ramo sugli alberi, tanto in alto che se cadessero si farebbero male; i giovani scimpanzé giocano a buttarsi dall’alto e poi a rincorrersi su un ramo basso proprio pochi istanti prima di colpire il suolo.
Anche i giovani umani fanno questo tipo di giochi se possono. Perché? Sembrerebbe che i lievi rischi corsi siano superati di gran lunga dai vantaggi ottenuti. Dosano la paura fino al limite massimo tollerato senza entrare nel panico, e imparano a controllare il proprio corpo di fronte a quella paura – un’abilità che un giorno potrebbe salvar loro la vita!
I bambini giocano anche in modi che provocano rabbia. Durante le zuffe e i giochi scatenati uno può far male a un altro, o le negoziazioni sulle regole di un gioco possono fallire, le prese in giro fatte per scherzo possono prendere la mano, ma perché il gioco possa continuare, la rabbia deve essere tenuta sotto controllo.
Per far proseguire il gioco in queste situazioni i giocatori devono reagire con decisione, fermare il comportamento offensivo, senza aggressioni fisiche o accessi d’ira, perché in entrambi i casi il gioco avrebbe fine. In questo modo i bambini imparano a controllare la rabbia.
Alcuni ricercatori hanno allevato giovani scimmie e ratti privandoli del gioco e consentendo loro solo altri tipi di interazioni sociali. Quando questi animali sono messi alla prova da adulti, si dimostrano deboli e invalidi dal punto di vista emotivo. Se posti in ambienti moderatamente paurosi, reagiscono con un terrore sproporzionato. Entrano nel panico e si paralizzano in un angolo, né esplorano mai l’ ambiente o superano la paura come farebbero una scimmia o un ratto normali. Se messi insieme a un coetaneo sconosciuto alternano il panico a aggressioni inappropriate e inefficaci. Sono incapaci di farsi degli amici.
Alcune persone obiettano, sulla base di un convincimento morale, che non bisognerebbe produrre esperimenti in cui giovani animali siano privati del gioco. È una cosa troppo crudele!
Ma avete considerato che negli ultimi 50 – 60 anni abbiamo diminuito sempre più le opportunità di gioco dei nostri bambini? La scuola è diventata più pesante, le pause si sono ridotte, i compiti a casa si sono moltiplicati e la pressione a ottenere buoni voti è aumentata.
Fuori della scuola gli sport diretti dagli adulti (che non sono vero gioco) hanno iniziato a prendere il posto dei giochi improvvisati (che sono vero gioco). I bambini prendono lezioni anche al di fuori della scuola anziché coltivare da sé i propri passatempi. Gli incontri per giocare, con adulti presenti, hanno sostituito i giochi nel vicinato senza supervisione, e gli adulti hanno iniziato a sentire che era loro dovere intervenire anziché lasciare che i bambini risolvessero i propri problemi da sé.
Questi cambiamenti sono stati graduali, impercettibili, ma nel corso del tempo sono diventati enormi. Sono stati prodotti da una costellazione di fattori sociali, inclusa la dilagante paura dei genitori, la nascita di esperti che ci mettono continuamente sull’avviso di possibili rischi, il declino della coesione fra vicini e il sopravvento di una visione “scuolistica”, tutta incentrata sulla scuola come affidataria dello sviluppo dei bambini, secondo la convinzione che essi imparino più dai maestri e da altri adulti che indirizzano il sapere, anziché gli uni dagli altri.
Il drammatico declino delle opportunità di gioco è stato accompagnato da un incremento altrettanto drammatico dei disturbi mentali infantili. Non si tratta solo del fatto che individuiamo tali disturbi mentre prima non li osservavamo; l’incremento è reale.
I questionari per la valutazione clinica, che sono stati somministrati a gruppi standard in formule rigide immutate negli anni, mostrano che i tassi di ansia e depressione di rilevanza clinica nella popolazione scolastica statunitense, oggi sono da cinque a otto volte maggiori rispetto agli anni Cinquanta.
Altri studi indicano che l’empatia è in declino e il narcisismo in aumento, almeno da quando sono stati sviluppati validi sistemi di misura per queste qualità, a partire dalla fine degli anni Settanta. Esistono anche modi piuttosto attendibili per valutare il pensiero creativo, e le ricerche che li utilizzano suggeriscono che negli ultimi 30 anni questo tipo di pensiero è andato scemando fra i bambini scolarizzati di tutte le età. Tutti questi cambiamenti deleteri, che accompagnano il declino del gioco, sono esattamente ciò che si potrebbe predire basandoci sulle conoscenze attuali degli scopi del gioco.
No, i nostri figli non hanno bisogno di più scuola. A loro serve più gioco. Se ci preoccupiamo di loro e delle generazioni future, dobbiamo capovolgere l’orribile tendenza dell’ultimo mezzo secolo. Dobbiamo ridare l’infanzia ai bambini. Devono poter seguire le spinte innate al gioco e all’esplorazione, così che possano diventare adulti resilienti e forti dal punto di vista intellettuale, sociale, emozionale e fisico.
Finalmente i cinesi iniziano a capirlo, e così dovremmo fare anche noi.
Il dr. Peter Gray è professore e ricercatore di psicologia al Boston College e autore dell’acclamato “Psychology” (Worth Publishers). Il suo libro più recente è ‘Free to Learn: Why Unleashing the Instinct to Play Will Make Our Children Happier, More Self-Reliant, and Better Students for Life’ (Basic Books)
Testo tradotto dall’inglese da Michela Orazzini