Sempre più spesso si parla di bambino iperattivo e di Deficit dell’Attenzione. Ecco il punto di vista del dott. Gabor Maté, coautore del nostro I vostri figli hanno bisogno di voi.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione (ADD o DDAI secondo la sigla italiana ndt.) è una difficoltà reversibile e un ritardo di sviluppo che ha origine nell’infanzia.
Le persone di solito cercano una diagnosi dopo aver riconosciuto in se stessi l’assillo ricorrente dei sintomi salienti: frequente, involontaria e frustrante disattenzione o mente assente; difficoltà di concentrazione a meno che non si sia molto interessati a qualcosa; facilità alla noia; iniziare una cosa ma passare a un’altra prima di aver completato la prima; difficoltà a mantenere in ordine la propria stanza, la propria scrivania, la propria auto; spesso, difficoltà a essere puntuali; scarso controllo degli impulsi, che si manifesta nel parlare quando non è il proprio turno, nell’interrompere la conversazione degli altri, negli acquisti inconsulti e in una tendenza verso comportamenti di dipendenza; infine, in molti ma non in tutti i casi, e meno nelle donne, iperattività fisica, difficoltà a restare fermi e irrequietezza.
Dal mio punto di vista, l’ ADD, a differenza dell’opinione corrente, non è una condizione ereditaria ma trova la sua origine in situazioni di stress vissute nei primi anni di vita, il periodo cruciale per lo sviluppo del cervello e della personalità.
(anche sul sito italiano dell’A.I.D.A.I., Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività, si legge: “La maggior parte delle ricerche scientifiche che indagano le cause del DDAI riguardano la genetica. Le ragioni di ciò derivano da una serie di interessati risultati ottenuti su familiari di bambini con DDAI e dalla genetica molecolare. Infatti, il 57% dei genitori di un bambino con DDAI presenta a loro volta lo stesso disturbo, la percentuale scende al 32% se si tratta di fratelli non gemelli… Secondo un ampio studio di Goodman e Stevenson (1989), la percentuale di causalità del DDAI attribuibile a fattori genetici si aggira tra il 70% e il 91%, mentre il restante 10%-30% è attribuibile a fattori ambientali. Sembra pertanto plausibile ipotizzare che l’insorgenza del DDAI sia da attribuire, per la maggior parte, a fattori ereditari! D’altro canto, la gravità, l’evoluzione e la prognosi dei sintomi dipendono da fattori legati all’educazione e all’ambiente sociale in cui si trova inserito il bambino (Barkley, 1998).” ndt.)
Per questo, una terapia per districare i problemi familiari e quelli relativi all’autostima è sempre importante. Anche la cura della salute fisica, il moto, un’alimentazione sana e nutriente, una buona igiene del sonno, attività all’aria aperta, sono tutte cose importanti. Le pratiche di consapevolezza, come la meditazione, rappresentano una dura sfida per la mente con ADD, ma sono di estremo aiuto.
Il fatto che l’ADD non sia genetico non vuol dire che non sia biologico. È errore comune ritenere che tutto ciò che è biologico abbia una causa genetica. La biologia è influenzata moltissimo da ciò che accade nella vita di una persona, nella sua famiglia, nella società che la circonda, e così via. I geni, perlopiù, non predeterminano o “causano” tutto quello che succede; semplicemente preparano una serie di potenzialità affinché qualcosa avvenga, dato il giusto (o sbagliato) impulso ambientale.
Soprattutto nella prima infanzia il nostro cervello è condizionato moltissimo dalle relazioni sociali e psicologiche. In realtà, per tutto il corso della vita il cervello è in costante interazione con l’ambiente. Perciò, ci sono cose che possono essere in tutto e per tutto biologiche pur non essendo scritte sulla pietra della genetica.
Mi è stato chiesto: “Mio figlio mostra molti dei comportamenti e delle difficoltà che lei descrive come tipiche dell’ADD, sono però riluttante a sottoporlo a una diagnosi “ufficiale”, soprattutto perché non voglio affibbiargli un’etichetta che lo perseguiterà per tutta la scuola e oltre, esponendolo allo stigma e agli stereotipi della società. Non voglio che affronti la vita pensando di essere difettoso o malato. Cosa suggerisce?”
Direi di dimenticare tutte le etichette. Se si riconoscono certi tratti nel bambino e se non lo si vuole sottoporre a una diagnosi specifica si può comunque procedere e lavorare sull’ambiente così che risulti più consono al suo sviluppo. In base all’età e ai suoi bisogni specifici ci saranno delle differenze ma in generale è necessario osservare quali sono gli stress, interni ed esterni, in seno alla famiglia, la qualità delle relazioni che lo circondano, quanta sicurezza e organizzazione viene offerta dall’ambiente familiare, e così via.
I bambini con ADD sono per temperamento persone dalla sensibilità estrema, ed è questo che li predispone allo sviluppo del deficit di attenzione in un primo momento, è come se fossero i canarini nella miniera. Quando qualcosa è anche solo leggermente fuori posto nell’ambiente che li circonda, per esempio una relazione matrimoniale stressante, il loro sistema di allarme emotivo scatterà con maggior prontezza di quello di chiunque altro. Ci vuole coraggio per affrontare tutti questi aspetti, ma se lo si fa, e si cambia ciò che può essere cambiato, il bambino risponderà subito per il meglio.
A volte, pur osservando l’ambiente familiare, non si riescono a notare i potenziali elementi di stress; le persone interessate sentono di appartenere a sane e normali famiglie che funzionano perfettamente o che non hanno elementi di stress maggiori rispetto a ogni comune famiglia moderna.
Può capitare di non essere consapevoli del livello di stress a cui si è sottoposti nel quotidiano. Spesso le persone sono molto più stressate di quanto pensino, è solo che vi si sono assuefatte. Di conseguenza non lo notano e lo considerano normale.
Come ho già detto, i bambini che sviluppano l’ADD di solito sono molto sensibili, talvolta in modo davvero splendido. Proprio come un sismografo sensibilissimo registrerà anche le più piccole scosse sismiche rispetto a uno strumento meno preciso, così anche i bambini sensibili avvertiranno quegli stress ambientali che potrebbero non aver alcun effetto su bambini più distaccati e placidi. Di conseguenza, sarà necessaria una minore stimolazione per provocare un dolore emozionale in un bambino sensibile. Nel mio libro ipotizzo che i tratti del deficit di attenzione come il distrarsi facilmente e avere la mente assente si sviluppino all’inizio proprio come meccanismo di difesa contro questo genere di stress emotivi.
Una ragione di più per osservare con attenzione l’ambiente in cui vive il bambino e cercare di svelare gli stress nascosti per poterli affrontare.
Un sano sviluppo è ciò di cui più ha bisogno a lungo temine un bambino con ADD, ciò che richiede soprattutto fiducia, amore e relazioni con gli adulti di tipo non coercitivo. L’obiettivo a lungo termine dovrebbe sempre essere un sano sviluppo e non la mera gestione dei sintomi.
Mi è stato detto: “Sono un adulto con ADD, ho letto online nei forum che alcuni considerano le persone con ADD solo molto dotate e incomprese. Che sia più o meno vero, sono però preoccupato del fatto che trattare la mia condizione potrebbe cancellare o appiattire alcune delle caratteristiche di me che tengo in alta considerazione, come la spontaneità, la creatività, l’eccitabilità e così via”.
Non considero l’ADD una malattia bensì un “disordine”, come non a caso viene chiamato, ossia qualcosa che mette in dis-ordine le cose della vita, che crea una mancanza di ordine o di fattibilità. Perciò agli adulti semplicemente chiedo: l’ADD crea disordine nella tua vita? Se questo non avviene, e se la tua vita e la tua personalità funzionano bene per te allora non ci sono problemi. D’altro canto, se invece ci sono aspetti che causano conseguenze costanti e indesiderate, allora forse è qualcosa che desideri indagare.
I cosiddetti tratti da deficit di attenzione non sono la stessa cosa dei tratti positivi, e affrontare gli uni non vuol dire inibire gli altri. È una convinzione errata, scaturita dal fatto che le persone con ADD tendono ad essere molto sensibili; ma è proprio questa innata sensibilità, non l’ADD, la fonte della creatività. Talvolta gli artisti con ADD temono di perdere la propria capacità di pensare in rapida successione con libere associazioni di pensiero, ciò che considerano vitale per il proprio processo creativo.
Ma non è questo che sparisce quando si affronta in modo appropriato la componente dell’ADD. Ciò che svanisce, o diventa più gestibile, sono gli aspetti problematici come l’impulsività, l’impazienza, l’interruzione delle conversazioni altrui, o la smemoratezza e la disorganizzazione, la disattenzione. Queste non sono funzioni di una mente creativa bensì di un cervello immaturo che è bloccato in alcuni stadi iniziali dello sviluppo; semmai sono impedimenti alla piena e libera espressione della propria creatività.
Affrontare i tratti dell’ADD dovrebbe liberarvi la strada da alcuni di questi impedimenti per rendervi più efficaci nella vita e nei vostri propositi creativi. E non si tratta d’altro che di questo, in fin dei conti, non “aggiustare” la propria personalità, ma rendere la vita più facile da gestire e da godere.
Testo tradotto dall’inglese da Michela Orazzini