“Spesso si nega che il feto sia una persona perché si associa questa idea a quella di autocoscienza, dimenticando che l’autocoscienza (così come la bellezza, l’età, il censo, il linguaggio, la razza) è un attributo (la filosofia li chiamerebbe accidenti). La sostanza della persona è un’altra: è il far parte come individuo di quel livello della natura in cui si è in grado di poter cercare il significato di sé e della realtà. “In grado” (in potenza) significa che magari ora come ora non è possibile (proprio come quando dormiamo), ma se le condizioni cambiassero lo sarebbe. (…) E’ l’alba dell’io. Di quell’ ”io”, il nostro “io”, già presente dal concepimento”.
C. V. Bellieni
“I neonati non sono insensibili; siamo noi che lo siamo stati”
D. Chamberlain
La parola chiave di questo paragrafo è “sintonia”. Questo termine deriva dal greco syntonìa, composto di syn “insieme” e di un derivato di tònos “tono”. Il significato letterale è quindi “stesso tono”, cioè accordo, armonia.
L’armonia, intesa come “essere sulla stessa lunghezza d’onda”, è esattamente quel che si verifica quando il neonato che la madre ed il padre si trovano ad incontrare dopo il parto non è uno sconosciuto, perché con lui si sono intessuti rapporti e relazioni prenatali significative.
Il primo incontro faccia a faccia, i primi sguardi del neonato (che Ajuriaguerra ha sapientemente compreso essere costituiti da due “componenti”: lo “sguardo-visione” e lo “sguardo-sortilegio”, che “strega” i genitori) rivolti alla madre, sanciranno il ritrovare qualcuno che già si conosce e che, finalmente, si può conoscere anche nella dimensione corporea e visiva.
Creare armonia e sintonia con qualcuno che non si conosce non è facile, perché ci vuole un percorso a volte anche lungo e laborioso per entrare in contatto e in relazione l’un con l’altro; è il periodo dell’avvicinamento e dell’ascolto, della comprensione di qualcuno che è altro-da-noi e che va scoperto nella sua irripetibile identità.
È il periodo degli “aggiustamenti”, dei tentativi di scambio efficace, è un po’ come fare le prove per un importante concerto; gli strumenti vanno accordati perché il loro suono sia nell’insieme armonico, i musicisti devono “entrare in sintonia” l’un con l’altro e conoscersi nei rispettivi stili e modalità di esecuzione, altrimenti uno accelera, l’altro rallenta e il terzo tiene la nota quando gli altri la cambiano.
Risultato: una cacofonia sgradevole all’orecchio e un bel po’ di lavoro da fare insieme per raggiungere un equilibrio.
È esattamente la stessa cosa che accade ad un neonato e ai suoi genitori da dopo il parto in avanti: se non vi è stata comunicazione, interazione, comprensione e reciproca conoscenza durante la gravidanza, il neonato risulta essere uno sconosciuto per sua madre e suo padre. Cosa gli piacerà e cosa no? Come andrà cullato per calmare quel pianto che non si riesce a capire? Dorme poco/dorme tanto: è strano? (ma durante la gravidanza com’erano i suoi movimenti?). Alla sera non si addormenta mai (e magari per nove mesi la mamma ha lavorato fino a tarda sera abituandolo a questi ritmi di sonno/veglia…).
E così via, una serie di “incomunicabilità” che rendono difficile comprendersi perché non ci si conosce, perché quel neonato è in realtà uno sconosciuto di cui nulla si sa, né del suo temperamento, né dei suoi gusti, né delle sue preferenze musicali, né della sua vivacità, né di altro.
È esattamente in situazioni come queste che si evidenzia come un’adeguata assistenza e sostegno durante la gravidanza possa fare la differenza, aiutando genitori e feto a conoscersi e a comunicare l’un con l’altro già durante i primi mesi di gestazione.
A tale proposito riporterò nel prossimo articolo alcuni stralci del racconto di una mamma che ben esemplifica quanto osservato finora.
Vi aspetto nelle prossime settimane con Educazione Consapevole.
Un saluto e a presto!
Maria Beatrice Nava