Una scuola a misura di bambino, così intitola questa rubrica. E’ quella che vorremmo come genitori, come insegnanti che non si rassegnano ad assecondare logiche di scuola azienda, nozionistica, competitiva.
A misura di bambino per dire a misura del futuro che abbiamo nel cuore, della comunità di uomini e donne che abiteranno le nostre città tra uno o due decenni e a loro volta educheranno e cresceranno altri bimbi.
C’è davvero qualcosa che, per chi ha responsabilità politiche, possa valere di più di una scuola di qualità, consapevole del proprio ruolo educativo, capace di visione sul futuro e di mezzi adeguati per dirigersi in quella direzione?
A distanza di diversi giorni riguardo le slides che il presidente del consiglio ha presentato dopo mesi di consultazione e anticipazioni. Volevo, come molti, capire come si potesse concretizzare un principio di buona scuola e l’idea che da questa istituzione possa ripartire il nostro Paese per inaugurare una nuova fase.
Nulla. Dei bambini nessuna traccia. Ci penseremo dopo (vedi rimando in tempi fumosi ad una legge delega sulle questioni didattiche). Prima, anzi subito, vediamo di confermare questa logica dell’uomo forte al comando, che tanto piace alle fantasie e alle pratiche italiche, il decisionismo che crea l’illusione del cambiamento, una finta flessibilità che toglie diritti e legittima le diseguaglianze e gli arbitri.
Ho letto fiumi di parole in questi giorni contro l’idea di un dirigente scolastico che agisce da padre padrone, avendo la legittimità di farlo; ho condiviso riflessioni amare di colleghi, esperti, persino magistrati che fanno giustamente appello alla libertà di insegnamento (sancita dalla Costituzione, non da insegnanti lazzaroni), evidenziando il rischio di meccanismi non trasparenti ed obiettivi per la nomina dei docenti, di un clientelismo che, già ora presente nei corridoi e negli uffici delle scuole, dilagherebbe senza più freni.
I pochissimi che difendono l’iniziativa del governo sostengono che in questo modo i dirigenti potranno realizzare con personale adeguato scuole di qualità secondo una loro visione pedagogica e didattica.
Una visione pedagogica, già. Ma è prevista nel profilo del dirigente scolastico per come viene selezionata questa figura? Riguardo allora le prove attese per l’imminente concorso direttivo, simili all’ultimo svoltosi pochi anni fa: gli argomenti del test preselettivo (60 domande in 60 minuti-!!-) spaziano dalla legislazione europea alle normative scolastiche, dalle abilità informatiche alla conoscenza di una lingua straniera, dalla gestione del sistema alla comunicazione efficace, minima davvero la parte educativa.
Al test, il superamento del quale è uno scoglio inaggirabile, seguono due scritti ed un orale in cui dar prova di capacità manageriali, organizzative e gestionali, e di conoscenze normative per sopravvivere nel nostro complicatissimo apparato.
I bambini e i ragazzi sono ancora i grandi assenti, o quasi. Comprensibile, se si tratta di un profilo, appunto, dirigenziale.
Ma dunque: da quale competenza attingeranno questi dirigenti plenipotenziari i criteri per arruolare alla miglior causa pedagogica il personale più idoneo allo scopo?
E più ancora, volendo dar credito a questa possibilità: quale è lo scopo a cui vorranno tendere, da dirigenti e non da pedagogisti, con questa squadra costruita ad hoc? Un’alta quotazione negli esiti delle prove INVALSI? Un significativo numero di LIM piazzate in aula o di progetti inanellati e messi in bella mostra nelle celebrazioni di fine anno? L’innalzamento di numero di iscritti?
Se la politica, almeno una volta, riprendesse la sua funzione nobile, ossia quella di indicare un orizzonte di senso verso cui procedere come comunità, come polis, e provasse a non agire solo da spot televisivo o da commercialista di un paese intero, forse potremmo davvero ritornare a pensare come un corpo solidale, che si cura dei suoi cuccioli come il bene più prezioso; con la saggezza delle tribù e dei branchi, persa temo definitivamente tra le slides dell’ennesimo power point.
Sonia Coluccelli
Tamara
Sono d’accordo. Vorrei tanto una scuola con al centro il bambino, che fa, agisce, pasticcia per scoprire, senza tante lim e computer. Vorrei meno inutili riunioni …