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Educare i bambini alla creatività, la pedagogia di Gianni Rodari
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Abito a Omegna da più di dieci anni, è la città dove, il 23 ottobre di 95 anni fa, è nato Gianni Rodari, una città che spesso lo onora, lo ricorda, ma forse non abbastanza, soprattutto a scuola.

Dedicargli uno spazio in questo spazio è per me scontato, anche se l’operazione è scivolosa, per la lettura spesso semplificata che del suo contributo viene data, quasi a volerne, più o meno consapevolmente, neutralizzare la portata rivoluzionaria e critica che lo caratterizza.
Rodari non è forse un pedagogista intenzionale nel senso comune del termine, o quanto meno non si presenta come tale, tuttavia le finestre che apre sulla scuola e sull’imparare sono tesori preziosi per chi vuole guardare quell’esperienza con gli occhi dei bambini e di alcuni loro percorsi della mente. Esiste quindi, sì, una pedagogia rodariana, un pensiero sul bambino che, solo a tratti esplicitato a livello teorico, attraversa però in modo chiaro tutte le sue opere.

Il pilastro della pedagogia rodariana è per me il valore della creatività nel processo di apprendimento, Rodari rivolge infatti esplicitamente le pagine della Grammatica della fantasia
“A chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola.

La creatività a cui pensa Rodari non è quel divertissement spesso banalizzato come tale a cui pensiamo quando troviamo bambini particolarmente abili nell’espressività, è qualcosa che in modo del tutto suggestivo ricorda quell’affermazione di don Milani sul maestro profeta, dote che però qui viene assegnata proprio ai bambini:
Occorre una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un grande scienziato, per immaginare cose che non esistono ancora, per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo …”
Questa attitudine alla creatività, o meglio ancora (rodarianamente) alla fantasia, è preziosa per avvicinare con consapevolezza e protagonismo qualsiasi percorso scolastico e non che ci troviamo di fronte; saper vedere oltre, o a lato, del sentiero principale, di quello più battuto, permette di esercitare delle scelte che possano essere davvero tali; sapere che per ciascuna questione possono esistere diverse risposte obbliga a trovare la propria, usando criteri di valutazione che vanno selezionati e fatti propri.
Mentre scrivo mi chiedo quanto sia mancato a noi insegnanti, ma anche genitori, poter crescere educati alla creatività e all’uso della fantasia per poter essere oggi migliori maestri ed educatori, capaci appunto di scegliere la strada migliore per svolgere il nostro compito, e non solo quella percorsa dai più. E quanto questo mancato passaggio ci impedisca di offrire questa esperienza anche ai nostri bambini, a scuola o a casa.

Ma se davvero Rodari fosse il mentore della scuola pubblica, come si tradurrebbe davvero e senza qualunquismi o tentazioni naif questa rivoluzione?

Come farebbe scuola il maestro Rodari, nelle aule dei nostri bambini?

Lo immagino seduto in un cerchio con i suoi alunni, ad abbozzare domande su tutto, a raccogliere risposte, tutte le risposte, anche quelle stravaganti. Non solo per concludere una storia, ma anche per ricostruire il ciclo dell’acqua o le vicende del popolo egizio…

Chissà come funzionerà, bambini, o come sarà/sarebbe andata a finire…? Immaginiamo…vi metto in mano qualche elemento e poi vediamo come potrebbe essere secondo voi…e se si sbaglia? In che senso si sbaglia, bambini?. ..”
Immagino anche lui, come don Milani, con il quotidiano distribuito e letto in classe a riscrivere le notizie di cronaca o a interpellare senza timori gli adulti di turno, con i suoi piccoli cittadini allenati a guardare la realtà del mondo intorno a sé e a immaginarla migliore, come scrive magistralmente (avverbio non casuale) in una delle sue rime a me più care e credo anche per lui più significative, se il titolo che porta è

LETTERA AI BAMBINI:

E’ difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi,
che si credono liberi.

La sua opera teorizzata e messa in rima, racconto, storia, ci dice dunque chiaramente e con insistenza del valore della parola, del suo valore politico e narrativo, strumento necessario per raccontare il mondo come è o meglio ancora come lo vorremmo e lo progettiamo.

Se solo ce ne viene data la possibilità, sin da bambini, sin dai banchi di scuola, di un’altra scuola possibile.

Sonia Coluccelli

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