N.B: questo testo fa parte di una serie di articoli di Peter Gray sul tema dell’autoeducazione e del gioco libero dei bambini. Michela Orazzini ne ha selezionati e tradotti tre. Questo è il secondo.
Se vuoi leggere il primo articolo “Gioco libero dei bambini: l’autoeducazione secondo Peter Gray” clicca qui
Se vuoi leggere il terzo articolo “L’ambiente perfetto per l’autoeducazione dei bambini secondo Peter Gray: la Sudbury Valley School” clicca qui
Per centinaia di migliaia di anni, fino all’invenzione dell’agricoltura (appena 10.000 anni fa), l’uomo è vissuto come cacciatore-raccoglitore. I nostri istinti, compresi quelli attraverso cui impariamo cose nuove, si sono sviluppati in quel tipo di contesto. È dunque naturale chiedersi come facessero i bambini di quelle comunità ad apprendere tutto ciò che serviva loro per diventare adulti capaci.
Nell’ultima metà del ventesimo secolo, gli antropologi hanno localizzato e osservato molti gruppi di persone – in regioni remote dell’Africa, dell’Asia, dell’Australia, della Nuova Guinea, del Sud America e altrove – che avevano mantenuto ancora uno stile di vita da cacciatori-raccoglitori, quasi senza influenze da parte della civiltà moderna. Sebbene ogni gruppo studiato avesse lingua e tradizioni culturali proprie, si trattava di popolazioni molto simili per alcuni aspetti fondamentali, il che ci permette di parlare al singolare dello “stile di vita dei cacciatori-raccoglitori“. Ovunque si trovassero, vivevano in piccole tribù nomadi di circa 25-50 individui, prendevano le decisioni con metodi democratici, avevano un sistema etico di riferimento fondato sulla condivisione e su valori egualitari, possedevano ricche tradizioni culturali che comprendevano musica, arte, giochi, danze e storie tramandate da lungo tempo.
…Diversi anni fa io e Jonathan Ogas (all’epoca un dottorando) contattammo un certo numero di antropologi che avevano vissuto fra popolazioni di cacciatori-raccoglitori e chiedemmo loro di rispondere a un questionario scritto sulle proprie osservazioni in merito alla vita dei bambini. Nove di questi studiosi ci risposero. Fra tutti, avevano studiato sei differenti culture di cacciatori-raccoglitori, tre in Africa, una in Malesia, una nelle Filippine e una in Nuova Guinea.
Quello che imparai dalle mie letture e dal nostro questionario fu davvero stupefacente dal punto di vista della coerenza culturale. Riassumerò quattro delle conclusioni, le più rilevanti sul tema dell’autoeducazione. Poiché vorrei che immaginaste queste pratiche come ancora attive, userò il presente per descriverle, sebbene le pratiche e le culture stesse siano state in gran parte distrutte negli ultimi anni a causa delle intrusioni del mondo più “sviluppato” che le circonda.
1. I bambini delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori hanno una quantità enorme di cose da imparare per diventare adulti capaci.
Sarebbe un errore credere che l’educazione non sia una facenda importante per i cacciatori-raccoglitori perché non hanno poi molto da imparare. In realtà, le cose da sapere sono moltissime.
Per diventare dei bravi cacciatori, i ragazzi devono conoscere le abitudini di due o trecento specie diverse di mammiferi e uccelli a cui le tribù danno la caccia; devono imparare a seguire le tracce della selvaggina servendosi dei più piccoli indizi; devono essere in grado di costruirsi alla perfezione gli strumenti per cacciare, come archi e frecce, cerbottane e freccette, trappole o reti; devono esere poi abilissimi nell’uso di questi strumenti.
Per diventare delle brave raccoglitrici, le ragazze devono sapere quali fra le infinite varietà di radici, tuberi, noci, semi, frutti e erbe della loro zona sono edibili e nutrienti, quando e dove trovarle, come scavare per prenderle (nel caso dei tuberi e delle radici), come estrarre la parte edibile in modo efficace (nel caso di chicchi, noci e certe piante fibrose), e in alcuni casi come lavorarle per renderle commestibili o esaltarne il valore nutritivo. Queste competenze includono abilità fisiche, affinate in anni di esercizio, così come la capacità di memorizzare, utilizzare, incrementare e modificare un enorme bagaglio culturale di conoscenze linguistiche sul cibo.
Inoltre, i bambini devono imparare a conoscere l’immenso territorio che rappresenta la loro riserva di cibo, a costruire capanne, accendere fuochi, cucinare, respingere i predatori, predirre i cambiamenti climatici, curare ferite e malattie, assistere alle nascite, accudire i neonati, mantenere l’armonia del gruppo, negoziare con i gruppi limitrofi, raccontare storie, suonare e cimentarsi in diverse danze e rituali della propria cultura. Poiché la specializzazione fra gli uomini che cacciano e le donne che raccolgono è minima, ogni individuo deve acquisire una vasta frazione di tutta la conoscenza e le abilità proprie della cultura di appartenenza.
2. I bambini imparano tutto senza un insegnamento specifico.
Nonostante l’immenso quantitativo di cose da imparare, non esiste nulla di paragonabile a una scuola. Gli adulti non stabiliscono un programma, né tentano di motivare all’apprendimento o di tenere delle lezioni e monitorare l’andamento dei progressi. Quando viene chiesto loro in che modo i bambini imparano ciò che è necessario sapere, la risposta viene formulata senza eccezione con parole che più o meno suonano così:”Imparano da soli osservando, giocando, esplorando”. Di tanto in tanto a un adulto può capitare di offrire una spiegazione, dare un consiglio o mostrare il modo migliore per fare una cosa, come dare forma alla punta di una freccia, per esempio; tuttavia, un simile aiuto viene offerto solo se il bambino lo desidera espressamente. Gli adulti non prendono l’iniziativa, non dirigono o interferiscono con le attività dei bambini. Non mostrano alcuna evidente preoccupazione in merito all’educazione dei propri figli; millenni di esperienza hanno dimostrato loro che i bambini sono esperti nell’arte dell’autoeducazione.
3. Ai bambini vengono consentite ore e ore di gioco ed esplorazione.
In risposta alla nostra domanda su quanto tempo fosse dedicato al gioco, gli antropologi del sondaggio erano unanimi nell’indicare che i bambini dei cacciatori-raccoglitori erano liberi di giocare per gran parte se non tutta la giornata, ogni giorno. Quelle che seguono sono alcune risposte tipiche:
“[Batek] I bambini erano liberi di giocare quasi tutto il tempo, nessuno si aspettava che facessero dei veri lavori finchè non raggiungevano la tarda adolescenza”. (Karen Endicott)
“Sia le bambine che i bambini [fra i Nharo] avevano quasi tutto il giorno, ogni giorno, per giocare”. (Alan Barnard)
“[Efé] I ragazzi erano liberi di giocare quasi tutto il tempo fino ai 15-17 anni; per le ragazze gran parte della giornata, a parte poche faccende e un po’ di babysitting, trascorreva giocando”. (Robert Bailey)
[!Kung] “I bambini giocavano dall’alba al tramonto.” (Nancy Howell)
La libertà, di cui godono i bambini nelle tribù di cacciatori-raccoglitori, di perseguire i propri interessi, deriva in parte dalla comprensione degli adulti che un simile perseguimento è la via più sicura verso l’educazione. È anche il frutto del generale spirito egualitario e del rispetto dell’autonomia personale che pervade le culture dei cacciatori-raccoglitori, senza distinzioni fra adulti e bambini. I cacciatori-raccoglitori considerano i bambini come individui completi, i cui diritti sono paragonabili a quelli degli adulti. Per loro è assodato che i bambini contribuiranno spontaneamente all’economia della tribù quando saranno cresciuti abbastanza per farlo. Non vi è alcun bisogno di far sì che i bambini o chiunque altro facciano ciò che non desiderano fare. È degno di nota riflettere sul fatto che i nostri istinti all’apprendimento e alla partecipazione all’economia della comunità si siano evoluti in un mondo che riponeva grande fiducia in essi!
4. I bambini osservano le attività degli adulti e le incorporano nel gioco
I bambini dei cacciatori-raccoglitori non sono mai isolati dalle attività degli adulti. Osservano tutto quello che avviene all’accampamento. I preparativi per spostarsi in un altro luogo, la costruzione delle capanne, la creazione e la riparazione degli strumenti di caccia e di altri manufatti, la preparazione e la cottura del cibo, l’accudimento e l’allattamento dei neonati, le precauzioni prese contro i predatori e le malattie, i pettegolezzi e le discussioni, le dispute e la politica, le danze e i festeggiamenti. Talvolta accompagnano gli adulti nelle spedizioni per la raccolta di cibo e attorno ai 10 anni i ragazzi iniziano ad accompagnare gli uomini nelle battute di caccia.
Non solo i bambini osservano tutte queste attività, ma le incorporano nel gioco e attraverso il gioco esercitano le abilità per poterle poi praticare. Quando crescono, il gioco si trasforma gradualmente nella cosa vera. Non esiste divisione netta fra la partecipazione per gioco e la partecipazione vera alle preziose attività del gruppo.
I ragazzi che un giorno si divertono a cacciare farfalle con i loro piccoli archi e frecce, magari qualche giorno più tardi proveranno per gioco a dar la caccia a piccoli mammiferi e a riportarne qualcuno a casa per mangiarlo, finchè un bel giorno non si uniranno agli uomini per una vera battuta di caccia, seppure animati dallo spirito del gioco. Un altro esempio: è abitudine di ragazzi e ragazze quella di costruirsi delle capanne per gioco, su modello delle capanne vere costruite dai genitori. Nella sua risposta al nostro questionario, Nancy Howell fece notare che i bambini !Kung di solito per gioco si costruiscono un intero villaggio di capanne, a poche centinaia di metri dal villaggio vero. Il “villaggio-giocattolo” si trasforma in un parco giochi in cui vengono messe in atto le attività osservate fra gli adulti.
…altri esempi di importanti attività emulate dai bambini sono scavare radici, pescare, stanare i porcospini con il fumo, cucinare, accudire i neonati, arrampicarsi sugli alberi, costruire scale con i rampicanti, usare coltelli e altri strumenti, costruire attrezzi, portare carichi pesanti, costruire zattere, accendere fuochi, difendersi dagli attacchi dei predatori, imitare gli animali (che è un modo per identificarli e apprendere le loro abitudini), suonare, ballare, raccontare storie, ragionare…poiché le attività fatte per gioco avvengono in un ambiente dove sono rappresentate tutte le età, i bambini più piccoli non fanno che imparare dai più grandi.
Nessuno deve incoraggiare i bambini a fare tutto questo, lo fanno in modo naturale perché, come ogni altro bambino ovunque nel mondo, non c’è nulla che desiderino di più che crescere e diventare come gli adulti apprezzati che vedono attorno a sé. Il desiderio di crescere è una molla possente che si mescola alla spinta al gioco e all’esplorazione, garantendo che i bambini, se ne hanno la possibilità, eserciteranno senza posa le abilità che devono essere sviluppate per diventare adulti competenti.
Che importanza può avere tutto questo nella nostra cultura?
Certo la nostra cultura è molto diversa da quella dei cacciatori-raccoglitori. Sarebbe del tutto plausibile dubitare che quanto imparato da loro a proposito di educazione possa mai essere applicato in modo efficace nel nostro mondo. Tanto per cominciare, i cacciatori-raccoglitori non hanno la lettura, la scrittura e l’aritmetica; forse i metodi dell’apprendimento naturale e autoguidato non funzionano per le discipline scolastiche. Nella nostra cultura esistono infiniti modi per guadagnarsi da vivere, infiniti tipi di abilità e conoscenze che i bambini potrebbero acquisire, ed è impossibile che un bambino riesca in via diretta, nella sua vita quotidiana, a osservare tutte queste abilità dagli adulti. Nella nostra cultura, infatti, i bambini sono perlopiù del tutto esclusi dal mondo del lavoro adulto, il che riduce le loro opportunità di vedere cosa fanno gli adulti e imitarli poi nel gioco.
Tuttavia, in un prossimo intervento, sosterrò che gli stessi strumenti di apprendimento che funzionano tanto bene per i cacciatori-raccoglitori sono di pari utilità anche per i nostri bambini, semprechè si riesca a realizzare un contesto educativo che permetta a questi strumenti di entrare in funzione.
Tradotto da Michela Orazzini
Tratto da Psycologytoday.com