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Divorziare è più facile… ma vivere insieme è più bello

divorziare è più facile

Negli ultimi tempi siamo stati inondati di informazioni sul tema del c.d. “divorzio facile” e “divorzio breve”, quasi come fossero slogans altamente seduttivi con cui pubblicizzare lo strumento per mettere fine, nel minor tempo possibile e con il minor dispendio economico, i legami costruiti nel matrimonio. Separarsi, e poi divorziare, sembra ormai l’unica via percorribile di fronte alla crisi del matrimonio ma, siamo davvero così convinti che questo sia sempre il percorso più semplice, quello più indolore e, soprattutto, quello che ci condurrà al ritrovamento della felicità perduta?

In alcune situazioni, e mi riferisco ai contesti di violenza e maltrattamento, la decisione di separarsi diventa una priorità necessaria, non solo per la sopravvivenza del coniuge vittima di sopruso ma per il benessere dei figli, che a quella violenza domestica sono esposti senza alcuna protezione, con tutte le conseguenze evolutive che ne conseguono. La scelta di mettere fine ad un progetto di vita condiviso, da tabù quale era al tempo dei nostri nonni rischia però di diventare, oggi, una tentazione alla quale cedere anche troppo semplicisticamente, spesso in assenza di situazioni davvero così irreparabili e nell’illusione che la separazione possa risolvere ogni problema. In un tempo in cui tutto si deve fare di corsa e in cui non c’è più tempo per nulla e per nessuno, anche il divorzio deve essere rapido e facile, non deve dare il tempo di pensarci su troppo, deve essere un obbiettivo raggiungibile in pochi mesi e, possibilmente anche a poco prezzo.

Le relazioni affettive costruite nel matrimonio, insieme alle responsabilità assunte dai coniugi, con quel patto di <reciproca fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione>  – così recita l’art. 143 codice civile, al quale i coniugi promettono obbedienza pronunciando il fatidico “SI’”- si sgretolano a vista d’occhio, sull’onda dominante di una logica sempre più consumistica e individualista, che stravolgendo il senso di antiche saggezze pare non conoscere altro motto se non il “carpe diem”, il godimento di un attimo di apparente felicità in cambio di anni di autentiche gioie condivise. La realizzazione del sé, prevale sull’ambizione di dare ai figli una famiglia unita, che lotta per stare insieme, che si impegna per attraversare i momenti bui, che si unisce nel dolore e si stringe ancora di più nei momenti di ristrettezza economica; la famiglia di oggi è un oggetto fragile, è un elemento “liquido” a cui troppo spesso viene a mancare, ancor prima della forza, la motivazione per portare avanti quel progetto di vita iniziato insieme. Donare ai figli una famiglia unita per tutta la vita non è più pensato all’unanimità come un valore aggiunto e come meta cui tendere ma spesso come banalità, della quale si può fare tranquillamente a meno, nella convinzione che i bambini siano soggetti adattabili a qualsiasi cambiamento.

Non sto demonizzando chi si separa, non fraintendetemi; sto solo riflettendo su quanto, la pubblicizzazione della facilità con cui si possono sciogliere i vincoli relazionali, sia condizionante per le nostre scelte, inducendoci a credere che separarsi non sia più una perdita così grande. E’ vero che lo spirito di adattabilità dei bambini è invidiabile e che le loro risorse sono infinite ma, non per questo ci si può sentire autorizzati a sottrarre loro, troppe volte con eccessivo semplicismo, il patrimonio affettivo più importante, che solo una famiglia unita può garantire, perché i nostri figli hanno bisogno di noi, oggi più che mai. I bambini non pretendono di avere genitori perfetti, con le stelline negli occhi come ai tempi del loro innamoramento, perché a dispetto di noi adulti sono molto più concreti e genuini: a loro basta la sicurezza e la stabilità di una famiglia unita, non importa se un po’ stanca, se non più così passionale, se non sempre in accordo sui temi della vita. Una famiglia e basta. E allora, mi chiedo se non sia possibile provare a vivere i momenti di crisi della coppia non solo e sempre come rottura ma come opportunità di crescita del rapporto e di evoluzione del singolo, sforzandosi di riscoprire nell’altro partner almeno una delle buone intenzioni che un tempo ci hanno fatto innamorare.

Può sembrare difficile trasformare in positivo una negatività ma, se la motivazione è forte e condivisa, nulla è davvero impossibile.

Avv. Paola Carrera (Avvocato civilista in Torino).

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