Abbiamo visto: anche la Francia ha approvato una legge che vieta le punizioni corporali sui bambini, legge che riguarda genitori, insegnanti e tutti gli adulti in generale. Molti altri paesi nel mondo, già da molti anni, prevedono questa normativa.
L’Italia ancora no.
Ricordate il caso di quel padre italiano, alcuni fa, in vacanza in Svezia e processato per avere dato in pubblico uno schiaffo al figlio minorenne? Ecco, stiamo parlando di questo.
Questo significa che picchiare i bambini è ufficialmente un reato, quindi soggetto a procedimenti penali e condanne anche molto pesanti.
Si tratta di una rivoluzione culturale di enorme portata, storica, meravigliosa. Spacca nettamente e definitivamente il legame con il passato, con il vecchio modo di concepire l’infanzia, il bambino, i suoi bisogni, il suo sviluppo i suoi diritti.
È una legge rivoluzionaria perché non riguarda la violenza così come siamo universalmente portati ad intenderla, quella che si traduce in gravi lesioni fisiche, torture, aggressioni, abusi. Per questo esiste già da molto tempo una normativa giuridica in tutti i paesi del mondo.
No, qui si sta parlando di “violenza educativa”: l’insieme di tutte quelle strategie educative e pedagogiche che prevedono l’utilizzo di schiaffi, sculacciate e tutto quello che rientra nella cosiddetta espressione del “dare/prendere le botte”.
Il messaggio è chiaro: i bambini non si toccano, neanche con un dito.
So che molti pensano che un atteggiamento del genere sia esagerato, che una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno, che come dice l’espressione napoletana “Mazz’ e panella fann e figl’ bell, panella senza mazz’ fann’ e figl’ pazz'”. O ancora, che “chi ha preso le botte è cresciuto sano e ringrazia ancora i genitori per questo”.
Nessuno mette in dubbio le buone intenzioni dei genitori che sculacciano i propri figli (NdR in questo link trovate un libro adatto alle vostre necessità) per educarli e il loro ritenere che l’essere davvero un buon genitore non possa prescindere anche da questo.
È il punto di vista del bambino però che spesso ci sfugge: ieri non potevamo sapere, abbiamo rimesso in atto uno stile educativo violento perché questo ci è stato insegnato e tramandato da genitori, società, cultura e anche da professionisti che si sono occupati del tema.
Oggi però abbiamo sotto gli occhi una ricca letteratura scientifica che dimostra i danni a breve e a lungo termine di un’educazione violenta. E come genitori, come adulti credo che abbiamo il dovere di prenderne atto, di metterci in discussione, di mettere in discussione ciò che noi stessi per primi abbiamo sperimentato come figli e bambini.
Non è facile, anzi direi che è un’impresa estremamente ardua, ma questo ci chiedono i nostri figli.
Perché non si picchiano i bambini?
- Il bambino picchiato apprenderà che conflitti, discussioni, disagi si risolvono solamente con la violenza. Nel bullismo e nella violenza sulle donne, per fare un esempio, accade proprio questo;
- Il bambino picchiato apprenderà la cosiddetta legge del più forte, per cui vince sempre chi ha più potere, utilizzandolo a discapito dell’altro. Non esiste il confronto, la comprensione dell’altro, la tolleranza, l’importante è vincere, vincere sempre, costi quel che costi;
- Il bambino picchiato accumulerà e reprimerà rabbia e paura che inevitabilmente, crescendo, rigetterà a sua volta sugli altri e su di sé, attraverso comportamenti e sintomatologie psicopatologiche. Da bambino non può minimamente pensare di mettere in discussione i propri genitori e dunque di reagire al male subito, penserà anzi che sia giusto così, che la colpa è sua, che merita quella violenza (quel potentissimo processo inconscio che Alice Miller definisce Falso Sé). Crescendo perpetuerà quella violenza, indirizzandola però non verso i genitori, che continuerà in qualche modo a proteggere, ma verso persone altre che nulla hanno a che vedere con la sofferenza della sua infanzia;
- Alcuni bambini, una volta adulti, riescono a “contro-identificarsi” con il modello genitoriale violento appreso e a decidere consapevolmente di non rimettere in atto sui propri figli e sui bambini in generale quanto subito e appreso nella loro infanzia. Ma sono eccezioni. Il più delle volte, infatti, avviene il contrario. Nel mio lavoro ho conosciuto solo pochi genitori picchiati da bambini che, proprio in virtù della sofferenza che ancora ricordano, hanno deciso di non rifare la stessa cosa con i figli. Tutti quelli che mi hanno riferito di picchiare i figli, sono stati tutti, sottolineo tutti, picchiati a loro volta da bambini. E quest’ultimo aspetto è ben comprensibile, perchè se non ho conosciuto la violenza come forma di comunicazione, non mi verrà spontaneo, automatico rimetterla in atto. Semplicemente non la conosco, non la riconosco in me, non mi appartiene.
- Non è vero che nasciamo tutti violenti e che sotto sotto siamo tutti potenziali soggetti violenti. Vero è che nasciamo tutti programmati geneticamente per difenderci, per tirare fuori l’aggressività nei momenti in cui subiamo un attacco. Ma questa è tutta un’altra cosa. La violenza propriamente detta, quella che possiamo identificare con il “male” è sempre una conseguenza di un male subito nell’infanzia. Alice Miller nei suo meravigliosi libri ha ripercorso la storia infantile di diversi dittatori, a cominciare da Hitler, sottolineando le fortissime correlazioni tra violenze e traumi subiti nell’infanzia e violenza agita, diffusa, promossa nel loro comportamento adulto. Un’analisi mirata certamente non a giustificare, ma semplicemente a comprendere;
- Se picchio un adulto è reato. Perché per il bambino, a maggior ragione, non dovrebbe avvenire lo stesso? Quando abbiamo un problema con un amico, un collega o qualsiasi altra persona lo risolviamo con gli schiaffi, con le aggressioni? Di solito no, cercheremo un confronto, anche perché una tale forma di violenza è perseguibile legalmente;
- Non dobbiamo pensare che senza la usare le mani il nostro ruolo genitoriale venga meno. Anzi è vero il contrario: un approccio autorevole e non autoritario è sempre molto più efficace. Il rispetto dei nostri figli nei nostri confronti non nasce dalla paura, ma dal confronto, dall’apertura, dalla comprensione. Non è lassismo, non è permissivismo, non è non rispettare i ruoli familiari, ma rappresenta invece la forma più alta di genitorialità e di educazione;
- Anche quando tale approccio educativo dovesse “funzionare”, in realtà non funziona mai: si può anche raggiungere l’obiettivo di “raddrizzare” il bambino, di piegarlo a ciò che noi riteniamo sia giusto per lui, ma sempre a discapito del suo benessere emotivo. Si tratterà sempre di un risultato ottenuto con la forza dell’adulto e la paura del bambino.
Un bambino dovrebbe poter amare, stimare e rispettare i propri genitori.
Non dovrebbe temerli.
Si temono i nemici.
Un’educazione violenta risulta dunque essere una contraddizione in termini.
O educo o violento.
Dott. Alessandro Costantini
Per approfondire questo tema vi consigliamo queste letture:
-
La sculacciata, di Olivier Maurel
-
Meravigliosa infanzia, di Alessandro Costantini
E
Ciao, io sono d’accordo con ciò che sostiene l’articolo, tuttavia mi trovo un figlio di 4 anni che spesso, quando subisce una frustrazione da noi genitori, usa calci, morsi e pugni per sfogare la sua rabbia! Nonostante abbiamo cercato di dissuaderlo in mille modi dall’uso della violenza, dialogo, comprensione dei motivi e delle sue emozioni, aiutarlo con tecniche di respiro, cercare di tenerlo immobile finché non si calma, ecc.., continua a usarla come forma privilegiata di comunicazione con noi… sembra che rifiuti il nostro aiuto in questo ambito. Come comportarci? Non siamo disposti a subire la sua violenza…
Ciao
Siamo all’assudo i bambini che picchiano i genitori