Ogni genitore auspica che il proprio figlio cresca forte, diventi un essere sociale capace di affermare la propria individualità, di adattarsi alle circostanze della vita e di elargire agli altri i propri doni di umanità e intelligenza.
Ebbene, molta della letteratura legata alle neuroscienze, alle teorie evolutive e alla ricerca sul benessere degli individui ci dice oggi una cosa molto semplice e, forse, leggermente controintuitiva: la natura ha tutto un suo piano di crescita davvero meraviglioso e perfetto, una sorta di software già installato sin dal concepimento che guiderà lo svolgersi e il dipanarsi dello sviluppo fisico, emotivo, intellettivo e sociale della nuova creatura.
La cosa davvero importante è offrire la protezione giusta affinché questo straordinario programma possa dare i suoi frutti e agire indisturbato.
Si inizia lentamente a capire, dopo tanti anni di lavoro di personalità del calibro di Michel Odent e Kerstin Uvnäs Moberg, quanto, per esempio, la nascita sia un processo involontario che per avvenire con il minor rischio possibile ha bisogno prima di tutto di non essere disturbata; lo stesso vale per la crescita e lo sviluppo successivo del bambino e del ragazzo.
L’ossessione genitoriale moderna, sempre più accentuata, è invece soprattutto quella che vede il bambino come un piccolo contenitore vuoto, una tabula rasa sulla quale imprimere il prima possibile tutti i segni considerati di valore dalla nostra cultura: nozioni su nozioni e manciate di buona educazione instillati per trasmissione orale diretta (le “buone” vecchie prediche e lezioni); esposizione precoce al tipo di contesto e al tipo di difficoltà che si ritengono tipiche della nostra società adulta, affinché questo risulti in un condizionamento adattativo del comportamento del bambino (in breve affinché sappia cosa lo aspetta e si prepari ad affrontarlo); vere e proprie inondazioni di stimoli precostituiti e artificiosi che sommergono i bambini sin dalla più tenera infanzia, perché meglio iperstimolare che non rischiare di perdersi qualcosa per via.
E il genitore, in tutto questo, si autoimpone una disciplina da manager, vero e proprio imprenditore della progenie, unico e solo responsabile attivo di questa costante immissione di stimoli, informazioni, nozioni ed esperienze immaginate ad hoc affinché la creatura venga forgiata, plasmata e potenziata al meglio. Molte delle azioni dirette, incisive e attive di cui i genitori sentono la responsabilità non sono però altro che elementi di disturbo, intrusioni che alterano il naturale andamento dello sviluppo fisico e cognitivo del bambino.
Soprattutto all’inizio, quando il bambino è ancora piccolo, ma anche in seguito, sarebbe davvero più efficace se potessimo pensare ai nostri figli come a semini e piantine che hanno soprattutto bisogno di evitare il rischio che qualcuno le calpesti, che non si accorga di loro e le sommerga di rifiuti soffocanti, che prendano troppa acqua o troppo sole e la loro energia sia spezzata ben prima di potersi trasformare nella pianta robusta e vigorosa che resiste alle intemperie. All’inizio è soprattutto necessario essere protetti e indisturbati; gli stimoli giusti dovrebbero provenire da un contesto adeguato, ma è poi il lavorìo invisibile del “software innato” che aiuta il bambino a crescere, non le azioni attive, puramente volitive e invasive dell’adulto.
Certo, se a un piccino mancasse la possibilità di avere a disposizione ogni giorno cibo, riposo, luce, aria fresca, un ambiente naturale da esplorare a piacimento e in libertà e le braccia solide e sicure in cui rifugiarsi al bisogno di chi lo accudisce, lo ama, lo asseconda e lo capisce, allora certo al piccolo mancherebbero senz’altro gli stimoli opportuni.
Tuttavia, il ruolo dell’adulto, una volta fornito un contesto adeguato, è appunto soprattutto un ruolo protettivo e di ascolto, di osservazione muta e fiduciosa come avrebbe detto Maria Montessori, di pronta e amorevole presenza, piuttosto che di manager pianificatore. È già tutto pianificato dalla natura, bisogna solo aver fiducia e assecondarla.
Per noi genitori di questo tempo si tratta di una riscoperta spesso difficile, prima di tutto di una trasformazione culturale profonda, di un ripensamento radicale di certe immagini associate all’infanzia. Oggi siamo più agricoltori di serra che non custodi di giardini spontanei e ci dotiamo di un enorme apparato di spinte artificiose senza le quali crediamo di non poter far crescere le nostre piantine.
Forse la serra e i concimi ci paiono necessari perché ci ritroviamo a coltivare su suoli ormai aridi e nell’inverno della nostra civiltà? Ma siamo ancora creature piene di risorse e resilienti, è ancora possibile immaginare di ricreare un terreno adatto a far fiorire un giardino riscoprendo la primavera.
di Michela Orazzini, traduttrice e curatrice della rubrica “Tradotti per voi”
Bibliografia di riferimento
- I vostri figli hanno bisogno di voi di Gordon Neufeld e Gabor Maté.
- A piedi nudi di Angela Hanscom, (in uscita a Marzo 2017)
- Rest, Play, Grow di Deborah MacNamara (in corso di traduzione per Il leone verde)
- Libertà e amore di Elena Balsamo
- Montessori perché no? curato da Grazia Honegger Fresco