Oggi sono sempre più numerosi i genitori che accudiscono i propri bambini offrendo loro quella che viene definita una “disciplina dolce”, quindi accogliendo i loro bisogni, trattandoli con grande rispetto ed empatia.
Questa modalità, che si basa sull’ascolto e sull’accoglienza del bambino, non manca di suscitare dubbi e critiche in quanti non l’hanno provata. Si ha infatti il timore che in questo modo i genitori abdichino al loro ruolo educativo e che i bambini, rimasti senza guida, siano “allo sbando”, destinati a crescere disubbidienti e capricciosi.
Diciamo subito che questi dubbi sono normali. D’altronde fino a qualche tempo fa gli strumenti a disposizione dei genitori per insegnare ai figli a comportarsi in un certo modo erano sostanzialmente due: le lodi e le punizioni. Si lodava il bambino nelle occasioni in cui si era comportato secondo i nostri desideri, si ricorreva a una punizione quando il bambino si allontanava dal codice di comportamento desiderato.
NdR L’autrice di questo articolo ha scritto molti libri
Molti di noi sono cresciuti con un intenso desiderio di ricevere l’approvazione di mamma e papà e con il timore di inciampare in qualche punizione in caso di errore. E le punizioni, a seconda delle usanze familiari, potevano spaziare dalla sberla, alla settimana senza televisione o senza gelato (o altro ancora, in base alle disposizioni del genitore).
Oggi però sappiamo che questi strumenti non sono i più efficaci per crescere adulti sereni e sicuri di sé. Non le punizioni, ma neppure le lodi. Si è visto infatti che il desiderio di approvazione dell’infanzia – in alcuni casi, certo non in tutti, ma in alcuni casi sì – può trasformarsi sul lungo periodo in uno stato di perpetua ansia, nel timore continuo di non essere accettati per quello che si è, di non essere apprezzati e, peggio ancora, di non meritare di esserlo.
E soprattutto, diversi studi hanno evidenziato che quelle punizioni che per noi in fondo erano normali, ci inducevano ad ubbidire non tanto per convinzione, non per la consapevolezza che la richiesta del genitore fosse cosa buona e giusta, quanto semplicemente per paura. La paura di uno sberlone, la paura di essere rimproverati, la paura delle “conseguenze” ovvero di non potere fare/avere qualcosa che ci interessava. Insomma, le punizioni non aiutano le persone a crescere e diventare migliori. Tra l’altro, le punizioni, corporali e non, spesso si accompagnavano a un clima teso, fatto di collera, rammarico, fastidio da parte di tutti: gli adulti “costretti” a punire, i bambini costretti a subire.
Ebbene, c’è una buona notizia. Oggi sappiamo che ci sono altre strade. Altre strade, più semplici e piacevoli, per trasmettere ai nostri bambini quei valori a cui teniamo e per mostrare loro i comportamenti che riteniamo giù giusti. Il dialogo. L’empatia. Il rispetto. Le famiglie che si sono cimentate con la disciplina dolce raccontano che i risultati valgono lo sforzo.
Si è visto che quando i bisogni dei bambini molto piccoli vengono accolti, questi stessi bisogni – di contatto, vicinanza, rassicurazione – si esauriscono, e il bambino cresce più sicuro di sé e più fiducioso verso gli altri. In effetti ha senso. Quando un bimbo piccino piange e la mamma (o il papà) arriva, quando il genitore lo conforta e lo aiuta a stare meglio, il bambino si scopre competente, capace di chiamare a sé il genitore. E questa è una scoperta molto molto rassicurante. Quando hai bisogno nella vita qualcuno che ti aiuta c’è. E tu sei capace di chiedere e far arrivare quell’aiuto. Con queste premesse diventa più facile affrontare anche le difficoltà.
Un bambino che riceve frequenti conferme dell’amore dei genitori, che sa di essere apprezzato da loro per come è, che non si identifica con gli errori e i pasticci che è normale combinare nell’infanzia, ha più probabilità di crescere sicuro di sé. La consapevolezza di essere amati è un’arma potente, per molti di noi è la chiave della felicità.
Ma non è tutto.
Negli anni della crescita, un bambino che viene ascoltato dai genitori, che vede accolte le sue emozioni, che viene trattato con rispetto, non solo è un bambino felice (è bello essere trattati così, a qualunque età!), ma interiorizza questi comportamenti e pian piano li fa propri. Un bambino cresciuto nella gentilezza e nel rispetto è destinato a diventare un adulto che sa offrire gentilezza e rispetto. I suoi genitori glielo hanno insegnato non con le punizioni, non intervenendo duramente in caso di errore, ma dandogli l’esempio.
Perché è prima di tutto così che noi insegniamo la vita ai nostri figli. Semplicemente vivendo. Sono i nostri valori, le nostre azioni, le nostre parole il primo grande esempio che ricevono negli anni cruciali per la formazione della personalità.
E questo, in un certo senso rende tutto più facile. Non c’è bisogno di chissà quali teorie e metodi pedagogici per insegnare a un figlio come comportarsi. Basta comportarsi nel modo che vorremmo fosse il suo.
È semplice sì, ma è anche una responsabilità enorme. Perché i nostri figli ci guardano. E guardando noi, imparano a vivere.
Se li trattiamo con amore, con empatia, con rispetto, questa sarà la loro eredità. Il nostro dono per loro. E il nostro dono anche per il mondo, che diventerà un posto migliore quando sarà popolato da tanti adulti attenti ai bisogni dell’altro, capaci di gentilezza e di rispetto.
Federica
Non metto in dubbio nessuna delle parole di questo articolo, anzi, mi piacerebbe riuscire proprio ad essere un genitore che offre la “disciplina dolce”. Però, nel pratico, faccio fatica a capire come dovrei comportarmi se mia figlia di tre anni corre in casa o comunque cammina come un soldato. Ogni volta le spiego che ci sono persone sotto i nostro appartamento e che correndo potrebbe cadere e farsi male (come puntualmente capita). Per quanto riguarda insegnare con l’esempio, specifico che in casa sicuramente non corro e ho sempre le ciabatte e non le scarpe.
Cris
Cara Giorgia,
sono per la disciplina dolce (anche se a volte anche io perdo le staffe, lo ammetto). Il problema sorge quando il nostro bimbo di due anni e mezzo fa qualcosa che non dovrebbe. Se noi gli diciamo di non farlo, ovviamente, lui lo fa subito di nuovo, e normalmente a mio marito parte subito l’urlata e il “blocco”. Faccio un esempio. Ieri sera a cena mangiavamo pizza, e mio figlio si è messo a pulirsi le mani sulla maglietta e sulla tovaglia. Gli abbiamo subito detto di non farlo, che c’era il tovagliolo per pulirsi le mani, e lui ha buttato a terra il tovagliolo e si è messo a ridere pulendosi di nuovo sulla maglietta e sulla tovaglia… mio marito gli ha fatto subito una ramanzina, gli ha tolto la pizza da davanti e gli ha pulito lui le mani a forza con il tovagliolo (provocando una bella crisi di pianto, perché lui odia che gli si facciano le cose forzatamente). Io sono un po’ più paziente (e questa cosa lui me la rinfaccia dicendo che parlo ma tanto poi lo lascio fare quello che vuole), ma effettivamente, in una situazione del genere, che cosa avremmo dovuto fare?