Cos’è l’amore? E cos’è il rispetto? Esiste amore senza rispetto per l’altro? L’autore Peter Gray, nel suo articolo pubblicato su Psychology Today, prova a rispondere a queste domande, traendo spunto dalla sua esperienza personale e da ciò che, durante l’infanzia, gli è stato insegnato dai suoi genitori con le parole e con i fatti. Come al solito, ringraziamo Michela Orazzini per aver tradotto l’articolo.
Nelle relazioni, il rispetto conta forse più dell’amore
L’amore non è tutto, né per gli adulti, né per i bambini. Il rispetto merita considerazione
Se doveste chiedermi se i miei genitori mi amavano, io, come Tevye e Golda nel Violinista sul tetto, mi fermerei a riflettere.
Nella famiglia in cui sono cresciuto, amore era un termine usato quasi esclusivamente nei commiati in calce alle lettere agli amici. Di rado veniva pronunciato ad alta voce. Non eravamo neppure troppo inclini a baci e abbracci. È stato imbarazzante per me quando sono andato via di casa e sono entrato in contatto con una cultura diversa, dove le persone si baciano e abbracciano sempre quando si incontrano e si salutano, che si vogliano bene oppure no. Ancora oggi la cosa un po’ mi imbarazza.
Le lodi, considerate talvolta come espressione d’amore, erano anch’esse quasi assenti nella mia famiglia d’origine. Il movimento per l’autostima, grazie a dio, non era ancora iniziato, o, se anche lo era, i miei genitori ne erano ignari oppure non l’approvavano. Avrebbero giudicato inopportuno dire a me o ai miei fratelli che eravamo meravigliosi, intelligenti o speciali; e ancor più sconveniente vantarsi di noi di fronte agli altri. Penso sul serio che mia madre avesse una comprensione intuitiva del valore dell’umiltà e delle insidie dell’orgoglio. Non faceva caso ai voti che prendevamo a scuola, considerandoli irrilevanti rispetto alle cose importanti della vita. Se mi vantavo di un voto alto, cosa che ricordo di aver fatto in una o due occasioni, mi rimetteva a posto con una certa sottigliezza, ponendomi alcune domande sulla materia, domande che mi avrebbero fatto capire quanto poco ne capissi. Avrebbe, per esempio, potuto chiedermi: ”A cosa servono le equazioni quadratiche?”
Dunque, per tornare alla nostra domanda, i miei genitori mi amavano?, e cos’è l’amore? Un termine dalla valenza positiva utilizzato per cose che ci appassionano e alle quali ci sentiamo legati. Possiamo amare l’umanità, il nostro paese, il nostro cane, i soldi, un guardaroba nuovo, l’automobile, noi stessi, nostra moglie o nostro marito, i nostri figli. Non so quanto mia madre e il mio patrigno si sentissero legati a me. Sono felice che non fossero legati al punto da volermi avere sempre sotto gli occhi. È certo che mi avessero a cuore e stessero bene insieme a me, perciò, sì, suppongo che mi amassero.
Ma quello che ho sentito di più da parte dei miei genitori, e per cui sono stato e sono ancora loro estremamente grato, è il rispetto. Quando esprimevo un’idea o facevo una domanda, la prendevano in seria considerazione. Faceva parte del rispetto anche la fiducia che riponevano in me; sembravano credere che io e i miei fratelli avessimo buon senso e non fosse necessario darci troppi consigli o tenerci sempre sotto controllo, anche quando eravamo ancora piccoli. Non lo hanno mai espresso a parole, lo hanno però dimostrato. E poiché mi rispettavano, è stato facile rispettarli a mia volta. Visto che non offrivano troppi suggerimenti non richiesti, quando ne avevo bisogno mi rivolgevo a loro per avere un consiglio.
Credo che la convinzione dei miei che noi fossimo responsabili e degni di fiducia si sia trasformata in una profezia di quelle che si autoavverano. Ho visto molti casi, in altre famiglie, dove un opposto genere di credenze si è poi autoavverato. Ho visto bambini su cui i genitori riversavano un amore enorme – dispensato sotto forma di affetto e lodi – ma che non venivano rispettati. I genitori avevano un attaccamento così grande da non lasciarli andare e prestavano una scarsa attenzione ai loro bisogni, ai loro desideri e alle loro idee. Parlavano ai figli dall’alto in basso, come se la bassa statura dei bambini significasse che erano stupidi, nonostante dicessero spesso loro quanto fossero intelligenti.
È naturale che in ogni discussione come questa si giochi, entro certi limiti, con la semantica. Si potrebbe scegliere una definizione dell’amore che includa il rispetto e l’abilità di lasciar andare, nel qual caso dovrei concordare sul fatto che l’amore batte tutto. Ma se definiamo i termini in modo tale che l’amore possa esistere senza il rispetto, e il rispetto senza l’amore, allora direi che la beatitudine è in una combinazione dei due; e se fossi costretto a sceglierne solo uno, sceglierei il rispetto.
È utile, credo, paragonare e mettere a confronto la relazione genitori-figli con quella fra marito e moglie. In entrambi i casi, il rispetto è assolutamente essenziale perché la relazione funzioni. L’amore senza il rispetto è pericoloso; può distruggere l’altro, talvolta nel vero senso della parola. Rispettare significa comprendere che l’altra persona non è te, non è una tua propaggine, un tuo riflesso, né il tuo giocattolo o il tuo cucciolo, e neppure un tuo prodotto. In una relazione fondata sul rispetto, il compito di ciascuno è capire l’altro in quanto individuo unico e imparare ad armonizzare i propri bisogni con quelli altrui, aiutando l’altra persona a raggiungere ciò che desidera. Il proprio compito non è quello di controllare l’altro o cercare di cambiarlo spingendolo nella direzione desiderata da noi ma non da lui. Credo che la cosa valga tanto per le relazioni genitori-figli quanto per quelle fra marito e moglie.
L’amore è una benedizione in entrambi i tipi di relazione, ma solo se è temperato dal rispetto. L’amore aggiunge gioia e offre quel legame emozionale che può traghettare la relazione attraverso i momenti più duri. L’elemento dell’attaccamento dovuto all’amore è anche più prezioso nella relazione fra marito e moglie che non in quella con i figli, in quanto il matrimonio, almeno in linea di prinicipio, è per sempre. I miei figli sono andati via di casa, e io dovevo essere pronto a questo sin dall’inizio, ma mia moglie e io saremo insieme finché morte non ci separi. Non è inopportuno parlare di mia moglie come la “mia metà”, ma lo sarebbe se mi riferissi ai miei figli. I nostri figli non si vedono e non dovrebbero vedersi come parte di noi, il loro compito è di procedere avanti, andare oltre, verso un futuro a noi per sempre precluso. E se li vediamo come parte di noi, ci sentiremo dilaniati quando se ne andranno.
L’amore non è tutto, né per noi né per nostro marito o nostra moglie, e di certo non è la sola cosa di cui hanno bisogno i figli. Abbiamo tutti bisogno di rispetto, soprattutto da parte di chi è legato a noi dagli affetti più intimi.
Articolo di Peter Gray Ph.D., pubblicato su Psychology Today, tradotto per voi da Michela Orazzini, curatrice della rubrica “Tradotti per voi“.