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La svalutazione di sé nel bambino a bocca aperta (II parte)

Continua l’articolo del dottor Andrea Di Chiara a proposito della relazione tra adenoidismo e modifiche indotte alla struttura psichica e comportamentale degli individui e delle famiglie in seguito alla Rivoluzione Industriale. Leggi la prima parte QUI.


Sono ormai tre secoli che, con un escamotage socio-politico (culminato “simbolicamente” con la nascita della Banca d’Inghilterra nel 1693), la nuova aristocrazia del Corporative Banking ha di fatto dato vita al proletariato, alla tecnologizzazione e all’inurbazione forzate (M. Fini, La modernità di un antimoderno, Marsilio, 2016), in sostanza a quel complesso fenomeno socio-politico-economico passato alla storia come Rivoluzione Industriale. L’escamotage cui mi riferisco è una specie di giochino delle tre carte: coloro che avevano interessi e risorse per realizzare la rivoluzione in parola, in un sol colpo, misero le loro avide mani sulla gran parte delle terre ai danni della gente comune, la quale finì per ritrovarsi operaia nelle fabbriche di proprietà di costoro e abitante degli slums che si svilupparono come fiori marcescenti alle periferie dei grandi agglomerati industriali. La gente, che fino all’esproprio delle terre demaniali e della sovranità monetaria da parte della nuova aristocrazia del denaro, aveva vissuto in case di proprietà e si era sfamata dei prodotti del proprio orto e/o delle terre demaniali, ora veniva privata di tutto e sospinta inesorabilmente verso la sistemazione proletaria appositamente pensata dagli speculatori*.

Le sventurate masse urbane dovevano fare i conti tutti i giorni e per l’intera durata della (breve) vita con 1) gli effetti della recente inaugurazione del nichilismo:la perdita dell’empatia e del senso dell’esistenza causato dal malthusianesimo e dallo svuotamento progressivo del senso religioso sostituito dal nuovo credo scientista positivista (E. Pennetta, L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista, GOG, 2018); 2) gli effetti del lavoro estenuante fisicamente ed emotivamente; 3) l’assenza delle più comuni e razionali misure igieniche: dagli alimenti contaminati o parzialmente decomposti alle abitazioni malsane, dall’acqua contaminata all’assenza di sistemi fognari efficaci; 4) le continue epidemie di malattie infettive, a partire dal vaiolo, con l’aggravante dell’inefficienza/dannosità delle misure vaccinali (S. Humphries, R. Bystrianyk, Malattie, vaccini e la storia dimenticata, Il leone verde, 2018).

Tutto questo portò, lentamente ma inesorabilmente, ad una mutazione antropologica. Ossia l’uomo, che dalla Rivoluzione Neolitica era rimasto sostanzialmente stabile nella propria manifestazione morfofunzionale (fenotipo) iniziò a cambiare in quello che vediamo oggi (https://www.aipro.info/2018/05/03/forma-dei-denti-e-rivoluzione-industriale-una-trasformazione-antropologica/). E ancora prima e ancora peggio della forma-funzione, cambiò la percezione che l’uomo aveva di se stesso e della propria comunità. Per chi ha occhi per vedere, sono ben evidenti i segni quotidiani della degenerazione (= allontanamento dalla forma-funzione specie-specifica, che garantisce la massima efficienza col minimo dispendio energetico, causato da un sovvertimento del rapporto interattivo specie-ambiente) di quelle comunità della specie umana che più intensamente e da più tempo vivono in modo tecnologizzato, inurbato, agnostico, nel nostro senso, proprio di chi vive senza sapere chi sia e quale sia il proprio scopo nella vita.

Ma che rapporto c’è tra la tecnologizzazione e l’inurbazione tipiche della Rivoluzione Industriale e la perdita del senso di sé e del proprio scopo nella vita? E tutto questo cosa ha a che fare con i bambini adenoidei che respirano a bocca aperta?

La perdita della propria casa, della certezza di poter far fronte alle necessità anzitutto alimentari della propria famiglia, l’imposizione a lasciare tutto e andare a vivere e lavorare in città perché a casa propria si sarebbe morti di fame (vedi quanto succede di questi tempi: le migrazioni programmate di massa non sono state inventate oggi…), il senso di ingiustizia subita contro cui non esiste opposizione consentita dalla legge… tutto questo tolse agli uomini la dignità di uomini – l’uomo è uomo se reagisce ed è in grado di proteggere la propria famiglia – e tolse alle donne il ruolo di donne, perché, a causa delle ristrettezze, si inaugurò lo sfruttamento e il lavoro femminile per conto terzi al di fuori della propria casa.

Fino alla Rivoluzione Industriale la famiglia e le sue occupazioni erano l’azienda di proprietà di ciascuno. Le donne erano contemporaneamente impiegate e dirigenti della propria azienda familiare. Nel far questo avevano tempo e modo di accudire i propri figli che venivano seguiti passo passo nella loro crescita, senza fretta e senza angosce. Con la Rivoluzione Industriale i figli vennero abbandonati a loro stessi perché le mamme dovevano andare a lavorare in fabbrica; se lavoravano a casa i ritmi erano quelli di fabbrica e i figli piccoli diventavano una distrazione che nessuno si poteva permettere. Fu in questo periodo storico che l’allattamento materno e l’ascolto empatico delle necessità del bambino iniziarono il proprio declino, i biberon e gli altri strumenti di contenimento dell’insoddisfazione infantile  si diffusero come mai prima. Nelle grandi città, dove tutti si è immigrati e sradicati, le madri non potevano più contare a occhi chiusi sulle regole del buon vicinato che imponevano, come nei villaggi di provenienza, l’obbligo morale di mutua assistenza tra donne. La morte della solidarietà è stato un altro duro colpo portato all’umanità tradizionalmente intesa dal nuovo modo tecnologico e iperproduttivo di intendere la vita.

Due fenomeni, a mio giudizio, sono il marchio di questa nuova era antropologica e che consolidano a vicenda i propri effetti: la crescente insicurezza dell’attaccamento (bonding) nella prima infanzia tra bambino e caregiver primario (J. Nicolosi, Identità di genere. Manuale di orientamento, Sugarco, 2010; A.N. Schore, La regolazione degli affetti e la riparazione del sé, Astrolabio, 2008; S.W. Porges, The polyvagal theory. Neurophysiological foundations of emotions, attachment, communication, self regulation, W.W. Norton & Company, 2011) e il consumo di carboidrati raffinati, di cui già ho parlato in abbondanza in precedenti articoli e contributi di vario genere. Questi due fenomeni hanno la stessa origine storica e sono funzionalmente collegati tra loro: all’aumentare del senso di insicurezza e di inadeguatezza generato da un attaccamento insicuro tra il bambino e il caregiver principale (cioè la mamma), aumenta il consumo di sostanze e metodi psicoattivi “di contenimento”, che nell’infanzia sono zucchero, derivati della farina industriale, derivati del latte industriale e oggi anche smartphones, tablets, televisori ecc. Per inciso, ricordo che un bambino del genere, una volta cresciuto, rimane pur sempre un adulto svalutato nel proprio sé, che a sua volta consumerà degli psicoattivi di contenimento per adulti, come zucchero, derivati di farina e latte, ma anche caffè, alcol, tabacco, droghe propriamente dette, sesso compulsivo, pornografia ecc.

Una mamma troppo assente, o viceversa iperpresente, non è in grado di creare col proprio bambino un attaccamento efficace (bonding) che è la base per la struttura fisiologica della personalità. Il bambino si sentirà inadeguato nei confronti dei propri genitori, e ciò getterà le basi per la svalutazione del proprio sé che, qualora non riconosciuta (come quasi sempre succede) ne farà un individuo incline a esercitare o subire la violenza, diretta o indiretta (manipolazione) che sia. I momenti di insoddisfazione profonda che questo genera rendono necessari le sostanze e gli strumenti psicoattivi di contenimento il cui uso così diffuso caratterizza la nostra società. Il fine di queste sostanze è provocare artificialmente un momento di euforia, parallelo a un aumento della glicemia e al rilascio di dopamina e altri mediatori neurochimici del senso di benessere, che possa controbilanciare i momenti di “down”, di malinconia, di senso di inadeguatezza e i cali della glicemia così tipici dell’individuo svalutato.

 

CONTINUA


di Andrea Di Chiara
Odontoiatra, agopuntore, perfezionato in occlusione e postura in chiave kinesiologica, promotore e Presidente dell’Associazione Italiana per la Prevenzione della Respirazione Orale – AIPRO.

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