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Quali sono gli spazi e i tempi dovuti alla maternità?

Le donne in gravidanza potranno lavorare fino al momento del parto: questo è il titolo, all’incirca, delle infinite disquisizioni grazie alla nuova disposizione introdotta dalla Legge di Bilancio 2019. Donne e uomini si sbilanciano in favore della parità dei sessi, della libertà raggiunta tramite il femminismo, della giustezza o dell’ingiustizia di questa novità, della possibilità di occuparsi meglio del neonato, poiché lavorare fino al momento del parto garantirà alla donna la possibilità di usufruire di cinque mesi di congedo obbligatorio post parto, senza più suddividerli tra gravidanza e puerperio.

Forse avrete letto l’amaro post di Giuseppe Battagliarin, Presidente della Commissione nascita della Regione Emilia Romagna, ; il medico conclude la sua riflessione semplicemente scrivendo: “Vi auguro una nascita come la immaginate, invitandovi a esigere gli spazi e i tempi che a ognuna di voi e al vostro bambino sono dovuti”.

Ecco, care donne, quali sono gli spazi e i tempi a noi dovuti? È più di un decennio che lavoro per costruirne e per capire, io stessa, quali siano le esigenze di una donna in attesa, di una madre, di una neofamiglia, ma ancora non ho una risposta. Penso, a volte, di trovare la soluzione e poi, combattuta, ritorno tra i miei dubbi.


Questo perché sono una donna lavoratrice (per giunta imprenditrice), trentenne, di quel ceto medio in cui molte di noi sguazzano, quello in cui si sta abbastanza bene da potersi permettere le vacanze estive in tranquillità, ma in cui basta veramente poco per diminuire lo status dell’intera famiglia (e sappiamo che, di questi tempi, è facile che il cambiamento sia rapido, per il nostro lavoro o per quello del compagno di vita); la disponibilità e la produttività incidono oggi tantissimo sul compenso a fine mese e, per potersi garantire la stabilità finanziaria, siamo portati a fare sempre di più.

Le necessità finanziarie sono poi tantissime: il mutuo, il nido (o tata o babysitter), la macchina, la spesa, ma anche tutte quelle cose che paiono essere indispensabili per poter star bene, crescere un figlio sano e felice, vivere una vita all’altezza delle aspettative della modernità (questo è il tempo dei saldi in ogni stagione e dello stare al passo con le tecnologie; con il bombardamento della pubblicità, vogliamo non convincerci che qualcosa, in verità, anche a noi serva?).

Il mondo della nascita, poi, ha preso una strana piega… da un lato molto possibilista (tutti possono fare figli, a tutte le età, in quasi tutti i modi), da un lato molto giudicante (se hai 20 anni e hai un figlio, deve essere un errore; se ne hai 30-35 tutti ti chiedono come mai non ne hai ancora; se hai 4 figli, ti chiedono quanti ne vuoi fare ancora….)  anche se, alla fine di tutto, pare che non ci sia mai il tempo, lo spazio e le persone che possano prendersi cura dei piccoli.
Strano per me che da, quando sono entrata in questo mondo, ho sostenuto sempre la maternità e il parto naturale, la gravidanza serena, il rispetto dei tempi, il nutrimento affettivo, le leggi fisiologiche come uniche garanti del benessere di mamma e bimbo e di un parto e un post parto sereno ed efficace. Eppure il trend in crescita della percentuale dei cesarei in Italia non si è mai arrestato, eppure la medicina difensiva è sempre esistita e la violenza ostetrica è diventata una realtà confessabile. Eppure la natalità in Italia è sempre andata calando. Eppure ho visto tante mamme piangere perché dovevano rientrare al lavoro e perché si arrovellavano sulla ricerca di un nido. Eppure ho sentito, recentemente, un’assistente sociale dire a una mamma adottiva (che ha proferito impegno, amore e fatiche nel tentativo di diventarlo) che nel 2018 (2019 ormai) “Il rapporto 1 a 1 genitore-bambino è ipertrofico”.

Sempre più mamme, oggi, non hanno tempo. Il lavoro ci assorbe e sembra che la normalità sia lasciare i bambini al nido, smettere presto di allattarli, svezzarli il prima possibile, impegnarli in attività per farli crescere. Forse, il problema non è la Legge di Bilancio, ma è l’intero sistema che non trova tempi e spazi: bisogna aprire gli occhi su una prospettiva più ampia se si vuole veramente parlare di possibilità di cambiamento. E basta aprire gli occhi sulla nostra vita, prima di pretendere di cambiare la società.


di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.


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