La fame emotiva non è legata alla necessità di nutrirsi, ma alla ricerca di conforto, al bisogno di allontanare la noia, o sorge in risposta a un’emozione.
Tra cibo e comportamento, tra squilibri dietetici e patologie psichiche, esistono stretti legami, «non ci sono [infatti] bambini che hanno problemi con il cibo, ma ci sono bambini che esprimono i loro problemi attraverso il cibo»¹.
In questo articolo Francesca Pamina Ros ci rassicura: prima di andare in allarme e sentirci sconfitti quando nostro figlio non mangia o mangia troppo, dovremmo interrogarci su quali possano essere le cause scatenanti di questi comportamenti per accorgerci che, il più delle volte, non hanno a che fare con la sfera alimentare, bensì con quella degli affetti.
Cibo e comportamento: cos’è la fame emotiva
«La generazione degli spiluccatori – i nibblers – è un prodotto epocale, il frutto di una crisi di valori familiari e alimentari che vede rarefarsi il tradizionale pasto conviviale domestico nello stesso tempo in cui viene quasi meno la cucina della mamma»².
I rifiuti e i comportamenti selettivi, o al contrario sfrenati, di alcuni bambini cresciuti tra cibi senza e biologici, incoraggiati quindi ad avvicinarsi a un più attento e ragionato stile alimentare, comunicano che qualcosa non va.
Nonostante gli sforzi per combattere un modello culturale omologato ai valori vincenti della semplificazione, della automazione, della falsa diversificazione, che invitava fino a poco tempo fa alla pigrizia e all’iperconsumo, alcuni bambini dimostrano ancora scarsa curiosità verso il cibo. Sono bambini spesso insofferenti alla ritualità dei pasti strutturati, che mostrano presto eccessive predilezioni e forti antipatie verso alcuni alimenti, fortemente conservatori nei confronti di esperienze alimentari nuove a meno che non siano suggerite da qualche messaggio subliminale³. E, non a caso, i disturbi legati all’alimentazione non sono più patologie legate alla pubertà, ma hanno un esordio precoce, anticipato alla prima infanzia⁴.
Ma che bontà!
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La fame emotiva
La fame emotiva, per esempio, che ha origine sin dai primi mesi e anni di vita e si evolve ulteriormente nella fase adolescenziale, non è legata alla necessità di nutrirsi, ma alla ricerca di conforto, al bisogno di allontanare la noia, o, ancora, sorge in risposta a un’emozione. Diversamente da quella fisiologica, che può essere soddisfatta da numerosi alimenti, questo comportamento irrompe velocemente ed è percepito come urgente; dipendendo dalle “fabbriche dell’appetito” industriali, insuperabili nel soddisfare l’incontinente golosità infantile che preferisce la leccornia subito se diseducata⁵, si placa quindi solitamente con l’assunzione di dolci, di cioccolato e di carboidrati in generale.
La madre nutrice emotiva
Quando la madre nutrice emotiva utilizza il cibo come calmante, come consolatore, preferendo alimenti dolci (latte e biscotti, per poi passare a succhi, caramelle, merendine…), allora lo stesso comportamento genitoriale di sovralimentare il bambino ha radici emotive: per esempio nella necessità di interrompere in qualsiasi modo il nervosismo o le richieste del piccolo che inducono anche nell’adulto uno stato di ansia o di disagio. La rabbia o la tristezza sono invece emozioni naturali a cui sarebbe giusto concedere spazio senza sedarle, in modo che il bambino possa imparare a gestirle autonomamente⁶.
All’inizio il piccolo avverte i suoi bisogni in maniera piuttosto confusa e indifferenziata: se le risposte del genitore sono incongrue genereranno confusione e il bambino non imparerà a distinguere da uno stato di tensione a un altro e quindi a esprimerlo in maniera differenziata, non riuscirà perciò a valutare con esattezza, per esempio, quanto cibo abbia nello stomaco⁷.
Disturbi alimentari e condizionamento sociale e individuale
Per analizzare i disturbi alimentari bisogna considerare diversi fattori interagenti tra loro. Da un lato il condizionamento sociale che a ogni momento tenta con una marea di dolciumi, bevande, glucidi di ogni sorta, un Paese di Cuccagna a portata di mano, per soddisfare una fame insaziabile senza limitazioni, ma contemporaneamente impone un modello alimentare ed estetico legato a una magrezza a volte assoluta, arricchito di implicazioni salutistiche; dall’altro il condizionamento individuale secondo cui il bambino buono è quello che non dà dispiaceri e mangia tutto, abituato fin da piccolo a rispondere, realizzandoli, ai desideri della società che lo vuole obbediente e disponibile⁸.
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di Francesca Pamina Ros
Redattrice blog e editor Il leone verde Piccoli
¹ F. Buglioni, Belli e composti: i bambini a tavola nella letteratura per l’infanzia.
² G. Triani, Hamburger & chips. La pedagogia del fast food, in V. Ongini (a cura di), Una fame da leggere. Il cibo nella letteratura per l’infanzia, Firenze, Unicoop, 1994, p. 90.
³ M. Riva, Confrontare, imparare, sperimentare, in M. Baruzzi, M. Montanari., G. Rossi (a cura di), I libri del pentolino magico. Cibi, alimentazione, ricette e storie nei libri per ragazzi, Imola, Grafiche Galeati, 1996, p. 25.
⁴ M. Recalcati, Attraverso lo specchio. Disturbi del comportamento alimentare nell’età adolescenziale.
⁵ G. Triani, Hamburger & chips, op. cit., p. 87 e 92.
⁶ F. Mordenti, Il cibo come calmante, in «Fiorfiore in cucina», n. 77, a. VII, aprile 2019, p. 91.
⁷ G. Celano, I simboli della restrizione e dell’abbondanza nell’alimentazione, in AA.VV., Il cibo raccontato, Nel mondo dell’alimentazione tra fantasia e realtà, s.l., Coop Liguria, 1993, p. 91.
⁸ Ivi, p. 92.