Ottobre è il mese della consapevolezza del lutto perinatale.
Il 15 ottobre, in tutto il mondo, alle 7 di sera viene accesa una candela: un’onda di luce per ricordare, per riflettere, per ascoltare, per sensibilizzare, per essere vicini, per emanare un po’ di calore.
Ci sono tanti tipi di perdita.
C’è chi perde un’idea, un sogno di dolcezza appena formato. Chi perde un bambino vero, in carne e ossa, già conosciuto, chi pensava andasse tutto bene e si godeva l’attesa, chi già lo temeva.
Ogni lutto è a se stante e come tale deve essere ascoltato, riconosciuto, legittimato nel dolore che crea. Perché ogni perdita genera un vuoto infinito nel cuore di una mamma (ma anche di un papà), una sensazione di compressione alla bocca dello stomaco, un sentore di inutilità nel ventre.
La leggerezza che ne deriva, che a volte qualche esterno cerca di instillare nella mente del povero genitore perso nel suo lutto, si traduce in macigno sulle spalle di chi si sente solo, incompreso, di chi vorrebbe urlare ma non ha parole per difendersi.
Sei giovane, capiterà ancora, dai che ci riproverete subito.
È la dimostrazione della tua fertilità, non era ancora neanche un bambino!
Puoi goderti ancora un po’ di libertà.
Queste frasi, così comuni, rimbalzano sulla pelle della persona sofferente, lasciando lividi dolenti ben più in profondità.
Perdere un bambino significa iniziare a poggiare uno sguardo greve sul mondo circostante, non trovare la felicità se non lentamente e progressivamente nelle minuscole conquiste quotidiane.
Significa che, in alcuni momenti, nulla ha più un senso nella propria vita. Si vorrebbe cancellare ogni passo, rivoluzionare tutto, chiudere i rapporti, licenziarsi, cambiare famiglia. Quando in realtà non si ha nemmeno la forza di alzarsi dal letto.
Significa sperimentare una solitudine nuova, come se fosse la speranza ad averci abbandonato. La gioia di una nuova vita, barlume del mondo, è stata soffiata via da un vento di maestrale e nessuna compagnia può riempire quel vuoto, né vorremmo che lo facesse, perché potrebbe significare dimenticare.
Ricordare, invece, è l’unico modo per far vivere chi non c’è più: segnare date, scattare foto, tenere un gioco, ripensare alla bellezza, alla dolcezza, all’amore, alla pienezza che ci sono stati. Senza farsi inghiottire dal ricordo. Un’oscillazione faticosissima in cerca di un equilibrio o, almeno, di una sua parvenza.
Ecco perché le coppie che hanno perso un bambino sono sempre stanche: si fa fatica a restare attaccati alla vita quando chi volevi con te si trova dall’altra parte.
Ecco perché in molti accendiamo una candela.
Io, che ho viaggiato molto, ho quasi spontaneamente riportato qualcosa dalle tradizioni vissute ai confini del mondo, anche in questo rito.
L’ho fatto da sola, non perché non volessi essere aiutata, ma perché sentivo che questa era una cosa mia, un desiderio che veniva da dentro, e volevo prendermi cura del mio sentimento.
Ho preparato un piatto di terracotta impastato a mano e cotto al sole con delle offerte preziose: petali di rosa freschi e carnosi, bucce d’arancia essiccate, anice, cannella e chiodi di garofano. A Bali mi hanno insegnato che bisogna nutrire gli spiriti che ci sono vicini di cose buone, belle e profumate, che li invoglino a starci vicini. Al centro, una candela rossa, con una bella fiamma vivace. La luce è perdurata anche mentre la cera si consumava, diffondendo il calore anche al di fuori della mia casa.
È stato un po’ il mio Diwali: la festa delle luci, che si festeggia in India o alle Mauritius per celebrare la vittoria del bene sul male e della luce sull’oscurità.
Ho cercato di rendere la mia casa accogliente per lo spirito della Madre Divina, in caso voglia venire a trovarmi e coccolarmi tra le sue braccia o donarmi nuova felicità.
Ma soprattutto, mi sono riscaldata alla fiamma viva di questa dimostrazione d’amore. Mi sono commossa al pensiero di quanti genitori o non genitori, attenti a questa importante occasione, stessero compiendo lo stesso gesto, generando una potente onda di energia positiva che sarebbe sicuramente arrivata a illuminare il buio di qualcuno. Per riscaldare il suo gelo interiore e per far comprendere che, pur immersi nella propria solitudine, nessuno di noi è realmente solo.
L’amore è potente, ne sono sicura. E le vibrazioni positive, quelle colme di affetto e di bontà, arrivano lontano, fino a lassù in cielo. Raggiungono, poi, chi ne ha più bisogno quaggiù in terra, e portano la pace.
di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.