Quando si parla di allattamento al seno in genere ci si focalizza sui benefici che ne derivano per madre e figlio, eppure si tratta di una scelta che può aiutare anche il nostro pianeta, diminuendo l’impatto ambientale.
L’allattamento come scelta consapevole
Riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, smaltimento della plastica, inquinamento, deforestazione, sviluppo insostenibile, economia in crisi… si potrebbe faticare a trovare un nesso fra queste problematiche così gravi e l’allattamento al seno, eppure, riflettendoci, il modo in cui alimentiamo il nostro bambino ha un impatto ambientale considerevole.
Non a caso, lo slogan della Settimana dell’Allattamento Materno appena passata è stato “L’allattamento si prende cura del pianeta”.
Decidere di non allattare al seno infatti non soltanto ha un effetto diretto sulla salute a breve e a lungo termine, ma anche una seria ricaduta sul nostro pianeta: la catena produttiva alla base degli alimenti per lattanti (industria che ogni anno muove miliardi di investimenti e profitti per le aziende multinazionali) ha una pesante impronta sull’ecologia della Terra e incide negativamente sulla sua salute in molti modi.
La rivoluzione della tenerezza
Crescere i figli con una guida gentile
Scegliere la via della gentilezza per accompagnare i bambini a diventare individui integri e capaci di empatia, attraverso la presenza affettuosa, l’ascolto dei loro sentimenti e bisogni, il dialogo.
L’approccio “One Health”
La salute umana, quella animale e quella ambientale sono indissolubilmente legate e questo concetto fa capo all’approccio “One Health” che sviluppa progetti per una salute globale, basandosi su un approccio multidisciplinare che unisce medicina umana, veterinaria ed ecologia. Si tratta di un argomento quanto mai attuale, in relazione a fenomeni come le pandemie o il problema delle antibiotico-resistenze. Infatti, l’industria mondiale che produce alimenti per lattanti si fonda su una catena produttiva che per la produzione del latte necessita di allevamenti intensivi di bovini, bisogno che a sua volta causa la deforestazione di ampie aree di foreste tropicali per fare spazio alle coltivazioni di foraggio per le mucche da latte.
Il problema è che l’alterazione degli ecosistemi selvaggi, la globalizzazione delle merci (quindi la grande mobilità) e l’urbanizzazione elevata sono il terreno per il salto di specie compiuto dai nuovi ceppi virali, come anche per la diffusione della resistenza dei batteri agli antibiotici, usati massivamente negli allevamenti intensivi.
Le conseguenze del mancato allattamento al seno
L’allattamento al seno è il metodo fisiologico che i mammiferi, compresi gli esseri umani, utilizzano per nutrire i propri cuccioli.
L’incapacità di produrre latte è estremamente rara e il processo dell’allattamento è efficiente e consolidato da milioni di anni di selezione naturale. Considerando questo, è sconcertante constatare come nella specie umana i fallimenti nell’allattamento al seno siano così diffusi.
A fronte delle raccomandazioni dell’OMS di allattare esclusivamente al seno per i primi sei mesi di vita, proseguire ad allattare assieme all’introduzione dei cibi solidi fino all’anno e possibilmente almeno per due anni, i dati reali, ormai in tutto il mondo, mostrano percentuali di abbandono dell’allattamento elevatissime e molto lontane da queste aspettative.
Le donne che, per problemi medici, metabolici, anatomici o chirurgici, non sono in grado di produrre sufficiente latte per i loro figli esistono, sì; ma sono circa lo 0,1% della popolazione delle madri. Tutte le altre hanno vissuto un declino dell’allattamento causato da fattori esterni, ostacoli risalenti al periodo perinatale, dall’immediato post parto alle prime settimane o mesi, interferenze pesanti come l’introduzione di ciucci e biberon, una gestione dell’allattamento non a richiesta, pressioni culturali, mancanza di sostegno, incapacità degli operatori a far fronte e risolvere piccoli problemi banali come ragadi e ingorghi.
Ma com’è possibile che si sia passati in poche generazioni a una così diffusa ignoranza sulla fisiologia e normalità dell’allattamento?
Perché le case produttrici di succedanei per lattanti (leggasi formula) hanno lavorato molto, molto bene: hanno investito e investono cifre da capogiro dei loro ancora più vertiginosi guadagni (circa 71 miliardi di dollari nel 2019), per mantenere pervasivamente una cultura del biberon, del latte artificiale, dei cibi per l’infanzia.
La stragrande maggioranza dei miliardi di tonnellate di latte in polvere per l’infanzia è a base di latte vaccino. Le industrie zootecniche e casearie devono smaltire la loro quota di prodotto e restereste sorpresi se sapeste quanto di questo latte, rubato ed estratto a forza dalle mammelle delle mucche, vada poi alle industrie della formula per lattanti.
Impatto ambientale dell’industria della formula
Vediamo allora i vari modi in cui la produzione e il commercio di formula per lattanti incide sulla salute del pianeta.
La formula per lattanti è in prevalenza ricavata dal latte vaccino; questa destinazione del latte è in effetti una quota importante della produzione totale.
La deforestazione è messa in atto soprattutto per creare nuove aree coltivabili a mangimi per gli animali da allevamento (con consumo di grandi quantità di acqua, essendo queste coltivazioni intensive per fronteggiare la richiesta); l’industria zootecnica e casearia consuma così le risorse alimentari vegetali del pianeta (sottratte all’alimentazione umana) come cibo per gli animali, e contribuisce alla riduzione delle aree verdi tropicali che sono il polmone del nostro pianeta.
Gli inquinanti provenienti dagli allevamenti intensivi contribuiscono in modo significativo alle emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale del nostro pianeta.
La produzione massiccia di latte richiede che le mucche siano frequentemente ingravidate; il vitello viene poi sottratto precocissimamente alla madre, e nutrito con alimenti che sono finalizzati a farlo ingrassare il più rapidamente possibile per poter raggiungere in pochi mesi un peso idoneo alla macellazione. Infatti, contrariamente a quanto si pensa, è il vitello a essere il “sottoprodotto” dell’industria casearia, un prodotto improduttivo e costoso finché non viene trasformato in carne, contribuendo a sostenere un consumo di per sé non necessario.
Il latte raccolto necessita di essere trasportato anche per lunghe distanze, contribuendo ulteriormente all’inquinamento dovuto ai trasporti.
La produzione industriale dei succedanei del latte materno richiede processi inquinanti e che consumano altre risorse energetiche, come anche tutti i meccanismi di conservazione del prodotto greggio e di quello finale.
Il prodotto finito, la formula per lattanti, richiede poi imballaggi che aumentano i rifiuti (carta, alluminio, plastica) rilasciata nell’ambiente.
Infine, la filiera di distribuzione deve coprire anche enormi distanze per portare il prodotto alla vendita al dettaglio e al consumatore finale, con ulteriore spreco di energia, risorse e inquinamento causato dai sistemi di trasporto.
L’impatto ambientale globale di questa filiera produttiva è enorme, soprattutto se si riflette sul fatto che riguarda un prodotto che, nel 99,9% dei casi, non è realmente necessario, in quanto le madri sono nella stragrande maggioranza dei casi in grado di produrre da sé e a costo zero il latte necessario a nutrire i propri figli, se si evita di interferire con i processi fisiologici della lattazione.
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Allattare al seno, un gesto ecologico
L’impatto del marketing della formula artificiale e la sua presenza pervasiva hanno causato nelle ultime generazioni un abbandono progressivo dell’allattamento al seno, cambiando la cultura e minando in profondità la possibilità per l’allattamento di esprimere pienamente il suo potenziale.
È insolito considerare il gesto di portare al seno il proprio figlio come un’azione ecologica, ma è esattamente quello che succede ogni volta che nel mondo avviene una poppata.
L’allattamento al seno è ecologico, ecosostenibile, economico, equo e solidale, è la filiera più corta del mondo, dal capezzolo alla bocca del bambino, non richiede risorse aggiuntive (la madre che allatta, se si nutre normalmente, richiede appena poche calorie più della quantità giornaliera raccomandata in chi non allatta), non consuma risorse ambientali, non ha imballaggi (a parte quello morbido e accogliente che la mamma porta sempre con sé), non produce rifiuti, non richiede trasporto, è gratuito e accessibile a ogni madre e bambino a prescindere dal loro status sociale, economico, geografico ed etnico.
Inoltre, a ogni poppata viene rilasciato nel corpo materno e trasmesso al bambino attraverso il latte l’ormone ossitocina, una sostanza meravigliosa che promuove la calma, l’amore, la pace e la connessione con gli altri e con la natura intorno a noi.
Ricordiamocelo, ogni volta che accostiamo il nostro bambino al seno: stiamo prendendoci cura non solo di noi stesse e del nostro bambino, ma anche del nostro pianeta!
di Antonella Sagone
Psicologa in area perinatale, formatrice e consulente professionale in allattamento IBCLC.