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Cos’è l’accudimento ad alto contatto o attachment parenting?

Cosa vuol dire genitorialità ad “alto contatto” o “attachment parenting”? Quali sono i benefici per il bambi­no e per la mamma? Risponde Romina Cardia in questo articolo tratto dal suo libro Ascoltami.

Il contatto, una base sicura per l’autostima

Per il neonato il contatto con il corpo della madre, o del proprio caregiver (fi­gura di riferimento che può essere anche rappresentata dal padre, dalla tata ecc.), è di vitale importanza per la sua evoluzio­ne psichica e fisica.
Studi autorevoli sostengono che quan­do un bambino nasce non è ancora pron­to a una vita fuori dall’utero. Ashley Montagu, antropologo, scienziato e uma­nista inglese, ha raccolto tutti questi studi nel suo libro dal titolo Il linguaggio della pelle. Il senso del tatto nello sviluppo fisico e comportamentale del bambino. Molti di questi studi parlano di una fase chiamata “esogestazione”, che è il tempo di cui il bambino necessita per completare il suo sviluppo al di fuori del grembo materno. Durante tutto questo periodo il neonato ha bisogno di essere tenuto in braccio, di essere allattato, coccolato e abbracciato. Insomma, ha bisogno di sentire lo stretto contatto con la madre e i propri caregiver.
Attraverso il tatto, prima ancora che con la vista e con l’udito, il bambino fa esperienza della propria identità: inizia a percepire se stesso, gli altri, e a cono­scere i propri confini corporei.
Se le sue esigenze di contatto vengono soddisfat­te, inizia a gettare le basi sicure per la sua autostima.
Secondo numerosi altri studi anche le mamme traggono benefici dall’esperien­za ad alto contatto, in quanto sono meno soggette alla depressione post partum e al baby blues1.
Inoltre, il contatto conti­nuo tra madre e bambino permette loro di conoscersi e riconoscersi dopo quella lunga intimità durata nove mesi.

John Bowlby e la teoria dell’attaccamento

Chi per primo formulò la “teoria dell’at­taccamento” fu John Bowlby, psicolo­go e psicoanalista britannico, nel 1969.
Bowlby definisce la base sicura come quella «da cui un bambino parte per esplorare il mondo e a cui può far ritorno in ogni momento di difficoltà o in cui ne senta bisogno».
I bambini, quindi, cercheranno la loro base sicura nei momenti di pericolo, di malattia, di stanchezza o dopo una se­parazione.
Da questo concetto, segue la riflessione su quelli che comunemente vengono chiamati “vizi”.
I bambini non hanno vizi: hanno solo bisogni da soddisfare. Siamo noi genitori che, per comodità, li chiamiamo così, colpevolizzando chi colpe non ha.

L’accudimento ad alto contatto (o attachment parenting) favorisce l’autonomia

Sempre secondo la teoria dell’attaccamento, più un bambino vedrà soddisfatti i suoi bisogni, più acquisterà fiducia in se stesso e negli altri e questa base sicura lo porterà a raggiungere la sua autonomia più precocemente e con più serenità.
Imporre ai bambini un allattamento a orario, costringerli a “sostare” su passeggini o dentro un box, farli dormire da soli nelle cullette o nei lettini lasciandoli piangere per abituarli, frenarli nella loro naturale voglia di scoperta del mondo imponendo loro numerose limitazioni non aiuta di certo l’autostima e la conquista dell’autonomia dei nostri piccoli.
Diversamente, il bambino e poi l’adulto si sentirà libero di differenziarsi e allontanarsi dalla mamma per iniziare a esplorare il mondo esterno, con la sicurezza di poterla sempre ritrovare al proprio ritorno.
Secondo gli studi di Bowlby, avvalorati da altri importanti psicologi, è in mancanza di tali condizioni che il bambino ha più probabilità di rimanere “mammone” o di manifestare altri disturbi, e non il contrario. Questo perché avrà sempre bisogno di conferme, di assicurarsi che la madre ci sia, nonostante i sensi di colpa derivanti dalle numerose limitazioni ricevute.

I risultati di un buon attaccamento

È durante l’adolescenza che diventano visibili i risultati.
Chi ha vissuto un’esperienza di alto contatto sarà più portato a distaccarsi dai genitori per allargare i propri orizzonti e cercare anche altre figure di riferimento, pur mantenendo un solido legame con la famiglia.
Dall’altra parte ci sono quelli che rimangono morbosamente attaccati ai genitori e non sono in grado di dirigere verso altri il proprio attaccamento. Sempre secondo Bowlby, infatti, «il comportamento di attaccamento nella vita adulta è una continuazione di quello dell’infanzia».
La soddisfazione dei bisogni di contatto rende quindi i bambini sicuri e allontana il rischio di rapporti morbosi nell’età adulta.


di Romina Cardia
Curatrice del blog Amore di mamma, tesoro di donna in cui affronta il tema della maternità e genitorialità, e autrice del libro Ascoltami.

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