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gioco

Il gioco è essenziale per il corretto sviluppo del bambino e, in generale, del piccolo: infatti giocare è un’attività fondamentale non solo gli esseri umani, ma anche per il mondo animale e prova ne è il loro comportamento se osservato con attenzione.
Ma a cosa serve il gioco? E perché è così importante a livello cerebrale?

La centralità del gioco nel mondo animale

La centralità del gioco nello sviluppo cerebrale emerge anche dall’osservazione del mondo animale che si intrattiene spesso in attività ludiche, non soltanto nei casi più noti come quelli dei mammiferi o degli uccelli, ma anche nella vita dei vertebrati e degli invertebrati: dai varani che nello zoo nazionale di Washington giocano “a torello”, alle lucertole “drago” di Komodo che fanno partite di “braccio di ferro” con i guardiani per tenere per sé un anello di plastica.

Come si può essere sicuri che un animale stia giocando?
I ricercatori usano tre criteri.
Come prima cosa, giocare assomiglia a comportamenti seri, come la caccia o la fuga, ma è un’attività compiuta da un animale giovane con l’aggiunta di un’esagerazione, una stranezza, o un qualche altro cambiamento.
In secondo luogo, il gioco non serve per l’immediata sopravvivenza: si gioca per il gusto di farlo, è un’azione volontaria e di piacere.
Terzo, il gioco avviene solo quando un animale non è sotto stress o non ha qualcosa di più importante da fare.

Il fatto che il gioco sia così diffuso tra gli animali suggerisce anche che sia nato molto tempo fa, tanto da essere presente anche in specie socialmente meno complesse rispetto all’essere umano: questa universalità fa capire che, nonostante il gioco consista essenzialmente nel divertirsi, deve anche avere una qualche funzione vitale.
In altre parole, quando vostro figlio gioca, sta compiendo un’azione cruciale per il suo sviluppo.

A cosa serve il gioco?

Giocare non ha una stretta utilità pratica, per cui si è ipotizzato che il nostro cervello giochi quando non ci sono questioni imminenti da risolvere, come se fosse una sorta di screensaver per la mente.
Tuttavia, c’è da considerare che il gioco è fonte di divertimento e, che dal punto di vista biologico, l’abilità di trovare piacere in un’attività è una questione di sopravvivenza: siamo programmati a farci piacere azioni che hanno un risvolto pratico e che ci aiutano a sopravvivere. Divertirsi praticando un’attività è una risposta programmata che fa sì che il cervello voglia svolgerla di nuovo.

La dopamina: la ricompensa del cervello

Se i comportanti essenziali alla nostra sopravvivenza non fossero divertenti e non ci procurassero piacere potremmo dimenticarci di svolgerli. Su queste basi, sembra che il gioco abbia uno scopo di adattamento, ossia procurarci un qualche vantaggio di sopravvivenza.

A spingerci a fare un’azione c’è sempre il concetto di ricompensa, veicolato all’interno del cervello dalla dopamina, un neurotrasmettitore che ha funzioni diverse a seconda di dove e quando viene secreto e che incrementa la plasticità della mente.
L’epinefrina, invece, aumenta il livello di attenzione attivando il sistema nervoso simpatico.
Infine, giocando si abbassano i livelli di cortisolo, il cosiddetto “ormone dello stress”, rendendo il gioco un importante indicatore di salute.

Il gioco come palestra alla vita reale

Giocare permette al cervello di esplorare possibilità diverse e di apprendere da esse, trasformando quindi quello che potrebbe sembrare un semplice passatempo in un’esercitazione per la vita vera. L’utilizzo di un’abilità o di altre capacità mentali costruisce una competenza, prova ne sia, ancora una volta, l’osservazione del mondo animale: non a caso i gattini giocano a balzare sugli oggetti, mettendo in atto un comportamento che ricorda quello della caccia.

Quindi è possibile che il gioco sia una sorta di esercitazione che ci prepara a quello che dovremo fare in futuro, e questo vale anche nel caso delle connessioni sociali che sviluppiamo attraverso un’attività ludica: è stato dimostrato che topi e gatti cresciuti in isolamento non sanno come avere a che fare con i propri simili e reagiscono in modo aggressivo.
Tornando all’essere umano, i bambini che giocano in modo anomalo spesso sviluppano delle disfunzioni una volta adulti.

Giocare: possibile fonte di rischi?

Giocare ha anche dei potenziali lati negativi: abbiamo visto come il gioco, per definizione, avviene in assenza di fattori di stress o di rischi esterni, eppure non sempre i bambini sono capaci di identificare i pericoli.
Ogni attività ludica costituisce infatti una distrazione e non è raro che proprio in queste circostanze si verifichino degli incidenti.

Eppure, anche questo è un allenamento alla vita: correre dei rischi mentre si sta giocando diventa quindi un’importante tappa nello sviluppo dei bambini, perché testa i limiti e stabilisce cosa è sicuro e cosa non lo è.

Diventare chi si è destinati a essere

Oltre a fornire esperienza, il gioco aiuta anche il bambino a capire cosa gli piace e cosa no, permettendogli di scoprire nuove passioni.
Il concetto di flow, proprio dell’ambito sportivo ma non solo, si riferisce esattamente a questo: immergersi completamente in un’attività dimenticando il mondo esterno richiede concentrazione, ma provoca anche piacere.

Il meccanismo del flow entra in atto quando ci si accinge a compiere delle esperienze dinamiche che richiedono attenzione, ma nelle quali ci siamo esercitati a lungo, attività nelle quali gli obiettivi e i confini sono chiari, ma c’è anche spazio per la creatività.
Rientrano in questa definizione molti hobby degli adulti, dallo sci alla musica, ma anche alcuni percorsi professionali come quello chirurgico o legato alla programmazione informatica.
Una tale concentrazione in ciò che si sta facendo può rendere un gioco da ragazzi anche la sfida più impegnativa.

Incoraggiare il proprio figlio a perseguire attività che richiedono uno stato di flow è un buon modo per contribuire alla sua felicità a lungo termine, ma è essenziale evitare che il gioco diventi un’attività obbligatoria e noiosa. Dunque, anziché cercare di cambiare la personalità di vostro figlio tramite attività forzate, lasciatelo giocare e aiutatelo a diventare chi è destinato a essere.


Leggi l’articolo originale: Play, Stress, and the Learning Brain

Traduzione di Alessia Fattori
Revisione di Beatrice Toscano e Francesca Pamina Ros


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