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“Désir d’enfant” arriva in Italia, tra critiche e malintesi

 “Un sogno chiamato bebè”: un titolo accattivante, un sito internet già ben strutturato (www.unsognochiamatobebe.it), un viso di un bimbo, bello quanto innocente, che con i suoi profondi occhi blu si affaccia alla vita e sul cui faccino scorre la seguente dicitura Evento unico nel suo genere che si terrà a Milano il 20 e 21 novembre 2021: troverete in un solo luogo, specialisti, consigli, prodotti, informazioni affidabili e supporto per aiutarvi a fondare o a espandere la vostra famiglia
Così si presenta l’evento (al momento rinviato a maggio 2022) che sta facendo tanto discutere, animando questo periodo di fine estate.
Dalla presentazione accattivante si sarebbe quasi portati a pensare che nulla di più bello ci possa essere se non una fiera dedicata al mondo dei bambini e della genitorialità, se a questo fine fosse indirizzato effettivamente l’evento. Eppure così non sembra essere perchè “Un sogno chiamato bebè” rappresenta la versione italiana della manifestazione “Désir d’enfant”, svoltasi a Parigi il 4 e il 5 settembre sulla procreazione per conto di altri, ovvero sull’utero in affitto.

Quante notizie sfuggono alla nostra attenzione?

L’indignazione è generale (e come potrebbe non esserlo!) ma, sebbene sia logico indignarsi, cerchiamo di farlo in modo costruttivo e critico.
Già nel giugno 2020 sul sito www.lafecondazioneeterologa.it veniva anticipato che Milano sarebbe stata teatro dell’iniziativa oggi sotto accusa. Evidentemente, però, la notizia era passata del tutto inosservata fino a oggi.
Non viene quindi spontaneo chiedersi quante notizie sfuggono alla nostra attenzione?
L’attento osservatore della realtà non potrà non considerare che “Un sogno chiamato bebè” non è un percorso fine a se stesso, ma che (forse) tutto il mondo che si muove attorno ai bambini rappresenta un fenomeno speculativo ben più ampio di ciò che pensiamo, con interessi molteplici in campo.
Prestiamo ancora attenzione ad alcune notizie, sempre di questi giorni.
In pieno agosto, mentre la gran parte degli Italiani era occupata a difendere quei pochi spazi di libertà durante “l’ora d’aria estiva” che ci viene concessa da due anni a questa parte in periodo di pandemia, da un noto quotidiano italiano veniva denunciata l’assenza di un registro nazionale che tenga conto di quanti bambini ogni anno vengono sottratti alle loro famiglie per essere messi nelle comunità protette, da dove poi si perdono le loro tracce.
Il 4 settembre 2021 sul sito tedesco www.tagesereignis.de appariva invece la notizia che ben 5.000 minori, tra i quali anche parecchi molto piccoli, sarebbero scomparsi una volta attraversato il confine tra Messico e USA. L’amministrazione Biden in proposito ha dichiarato candidamente di non sapere dove siano.
È giusto, è doveroso chiederci dove siano finiti 5.000 bambini?
E soprattutto, è giusto e doveroso chiederci perché una tale notizia non ha avuto il giusto rilievo?
Nel dicembre 2018 veniva denunciato il ritrovamento in Detroit da parte della Polizia di 123 bambini destinati a essere impiegati nei riti satanici, mentre altri 39 bambini venivano rinvenuti in Georgia ridotti in schiavitù sessuale dopo essere scomparsi misteriosamente.
Andando a ritroso nel tempo potremmo elencare una serie infinita di notizie di tal genere, affrontando di volta in volta scenari sempre più terrificanti che riguardano l’infanzia negata.
Quando ci avviciniamo al mondo dei bambini scopriamo con amarezza notizie sempre più allarmanti su diritti costantemente violati; così, mentre ufficialmente si fa un gran parlare delle tutele garantite all’infanzia, si scopre poi che in realtà tali tutele altro non sono se non protezioni apparenti, schermi che celano il vero volto delle cose, rappresentato al contrario dalla negazione assoluta dell’infanzia.

Un mondo che va al contrario

Immagino che chi legge possa a questo punto chiedersi come sia possibile che, in presenza delle molteplici norme nazionali e internazionali di tutela dei Diritti Umani, in realtà i fatti si muovano nella direzione nettamente opposta, tanto da esprimere quella che potremmo definire una vera e propria persecuzione infantile, una nuova strage degli innocenti.
Senza addentrarci in spiegazioni prettamente tecniche, è sufficiente dire che nessuna norma sarà mai effettiva se, una volta promulgata, non la si mette nelle condizioni di funzionare. Le norme necessitano del giusto humus per esplicare i loro effetti per cui se (come accade a livello mondiale) non si creano le condizioni affinché quelle norme garantiscano davvero gli effetti per i quali sono state promulgate, quelle norme resteranno lettera morta. 
Un esempio per tutti: il 20 Novembre 1989, a tutela dell’infanzia, fu approvata dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (Convention on the Rights of the Child). La Convenzione, che introduce e contiene norme fondamentali per la tutela dell’infanzia, è stata ratificata da gran parte degli Stati nel mondo. Ogni anno in data 20 novembre si celebra la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Fin qui tutto perfetto.
Pochi però sanno che sempre l’ONU, nel settembre 2020, ha nominato la dottoressa Tlaleng Mofokeng al posto più elevato di Special Rapporteur on the Rights to Health. Tlaleng Mofokeng (conosciuta affettuosamente come Dr. T) è nota per essere una strenua sostenitrice dell’aborto, per essere a favore della prostituzione (di cui chiede la legalizzazione) e per essere a favore della prostituzione minorile.
Ha suscitato un enorme scalpore un suo articolo apparso sulla rivista per ragazzi «Teen Vogue», nel quale invita le adolescenti a considerare la possibilità di diventare “lavoratrici del sesso”. Ovviamente la Dr. T è stata apprezzata (ça va sans dire) da Bill e Melinda Gates per il suo lavoro e la sua leadership nell’area della pianificazione familare nel 2016! Credo che questo sia un ottimo esempio per spiegare la schizofrenia di un sistema che a parole proclama grandi princìpi e nei fatti opera nella direzione opposta.

Mercimonio del corpo femminile

Come è facile intuire, questo non riguarda solo i diritti negati dell’infanzia, ma anche i diritti negati delle donne, mortificate attraverso il costante mercimonio del corpo femminile.
Mentre altisonanti dichiarazioni di tutela del ruolo della donna (e di tutto ciò che a esso è connesso) vengono accompagnati da simboliche scarpe rosse di cui si riempiono le piazze e  che sono protagoniste di impegnati selfie per la ribalta dell’ultima ora, nei fatti il mondo va (volutamente) nella direzione opposta: l’utero in affitto, l’invito alla prostituzione anche adolescenziale, la promozione di facili guadagni tramite l’esibizione di corpi immolati sull’altare della chirurgia estetica ne sono esplicita riprova. 
Dignità umane, queste, tutte stuprate dallo sfruttamento di donne trasformate in fattrici da allevamento intensivo per la riproduzione e bambini ordinati e venduti (anche online) come bestiame al mercato. Un mercato in cui l’uomo si spoglia di ogni umanità.
E nell’idea criminale che tutto debba passare come “normale”, si adotta sempre lo stesso modus operandi facendo subdolamente passare come normale ciò che normale non è. Messaggi subliminali continui condizionano il pensiero collettivo fino a plasmarlo: si crea assuefazione all’anomalia in modo tale che l’anomalia venga poi accettatta come normalità.
Anni fa, durante una missione di lavoro nel “Continente Nero”, alla vista di alcuni bimbi che vivevano per strada abbarbicati come piccoli koala al corpo della madre che, stanca, li trasportava tra mille stenti, mi ritrovai a pensare quanto triste fosse quella realtà, quanto il nostro mondo occidentale e “civilizzato” fosse fortunato, quanto i nostri bambini lo fossero, quanto fortunate fossero le nostre donne “emancipate”, quanto fosse assurdo leggere negli occhi di quella madre e dei suoi figli, nonostante tutto, gioia, serenità, amore.
Quanto ero in errore!
La cultura occidentale ha fallito e i risultati di tale fallimento sono sotto gli occhi di chi vuole guardare e vedere, sotto i nostri occhi.


di Claudia Blandamura
Avvocato.

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