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Cosa significano vizio e continuum?

Sentiamo spesso dire che il concetto di vizio è ormai sorpassato, ma è qualcosa di ancora molto difficile da eradicare dalla nostra cultura. Quello che vorrei proporvi è una riflessione sui termini e sui modi comuni di intendere vizio, continuum, bisogno e nutrimento affettivo, per provare a capire il senso di questi concetti e, di riflesso, ascoltare di più i nostri bambini.

Non è possibile viziare un neonato

Il vizio, secondo l’enciclopedia Treccani, è l’incapacità del bene, la negazione della virtù, da cui deriva che viziare significa indurre, con comportamenti troppo indulgenti o permissivi, a cattive abitudini, a voler essere sempre accontentato. Viziato è, di conseguenza, chi ha contratto cattive abitudini in seguito a educazione troppo indulgente.
Ma quando nasce il concetto di vizio? Vediamolo insieme.
Nel 1900, la psicologia decide di abbandonare lo studio dell’anima (psyché) e delle emozioni per focalizzarsi solo su ciò che è osservabile: il comportamento. Nasce il Comportamentismo, cioè l’approccio alla psicologia che si fonda sullo studio del rapporto tra uno stimolo ambientale e una risposta o comportamento dell’individuo.
Riassumendo per sommi capi, questo approccio si basa sulla teoria del condizionamento, cioè il fatto che esistono risposte incondizionate a determinate situazioni ambientali, ma le risposte possono essere condizionate attraverso l’associazione a stimoli.
Un altro concetto fondamentale è quello del rinforzo, cioè una conseguenza che, se ripetutamente applicata in risposta a un comportamento, appunto rinforzerà tale comportamento in futuro. Come a dire: se ogni volta che il bambino piange per una determinata condizione ambientale io accorro a prenderlo in braccio, nel tempo rinforzerò il suo atteggiamento a piangere per qualsiasi cosa, sapendo che io accorrerò al primo vagito.
L’idea di fondo, rispetto al concetto di vizio, è quella di un bambino manipolatore sin dalla più tenera età, ma, nel tempo, si è studiato che il neonato non ha una cognizione così sviluppata da poter manipolare il genitore, tant’è che la capacità di rapportare una causa con il suo effetto è intesa essere una competenza cognitiva evoluta, abbozzata intorno ai 6-9 mesi e raggiunta dal bambino solo intorno all’anno di età. Questo equivale praticamente a dire, come già sosteneva Berry Brazelton, pediatra e professore emerito di pediatria presso la Harvard Medical School, che non è possibile viziare un bambino prima dell’anno di vita.

Jean Liedloff e Frédérick Leboyer

Proviamo ora ad analizzare un altro termine. Continuum: successione continua e inscindibile, data dall’evoluzione. Questo concetto è legato alla specie (umana nel nostro caso) e al suo adattamento alla vita.
Per Jean Liedloff, nell’uomo quindi il continuum è «la sequenza di esperienze che corrispondano alle aspettative e alle tendenze della nostra specie in un ambiente consono a quello in cui si sono formate». Questo significherebbe che un neonato, lasciato solo su una superficie, in una stanza senza rumori, “sa” in modo innato che è potenzialmente in pericolo, perché le sue competenze non sono idonee ad affrontare (o a scappare da) un potenziale predatore né a procurarsi del cibo quando ha fame; poco importa se il bambino non è abbandonato in una caverna ma al sicuro in un lettino nella stanza accanto a quella dove si trova la sua mamma: il suo istinto gli dice di mettere in atto tutti quei comportamenti di richiamo che sono necessari alla sopravvivenza che, se non visti o inascoltati, si traducono rapidamente in pianto.
Esiste in realtà anche un continuum madre-figlio oltre che evolutivo in senso ampio. Con questo intendo dire che il piccolo è nato e si è sviluppato in utero conoscendo per 9 mesi la compagnia del battito del cuore e di tutti i rumori corporei della mamma, oltre che della sua voce, il cullamento del dondolio del suo corpo, il tepore e il contenimento: quello che si aspetta e quindi quello che lo acquieta al di fuori dell’ambiente uterino è di ritrovare qualcosa di simile all’ambiente conosciuto ormai lasciato.
Ecco che allora questa attesa diventa un’aspettativa biologica, un bisogno, cioè la mancanza di qualcosa di necessario, esigenza, necessità, urgenza, e la soddisfazione di questo bisogno è un vero e proprio nutrimento, cioè l’atto o il fatto di nutrire, somministrare alimenti necessari.
Non ci credete?
Fino al secolo scorso, nei brefotrofi esisteva un male sconosciuto e incurabile, il marasma. Era un male che colpiva inspiegabilmente bambini apparentemente sani, nutriti, puliti, ma che non erano coccolati, accuditi, a cui mancavano le cure amorevoli, l’essere visti e considerati benvenuti in questa Terra, per potervi occupare un posto stabile. I bambini semplicemente si staccavano dalla vita e ritornavano da dove erano venuti. La mortalità era però ridotta o nulla in quegli istituti in cui c’erano delle persone che si prendevano effettivamente cura dei bambini, che parlavano loro, che facevano una coccola mentre li cambiavano, che li cullavano.
D’altronde, Frédérick Leboyer ce lo ha detto chiaramente: «essere portati, cullati, carezzati, essere tenuti, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili, come le vitamine, i sali minerali e le proteine, se non di più».
Speriamo tanto che, con nuovi concetti su cui riflettere, sia finalmente possibile ascoltare anche quella voce interiore che ci dice di rispondere ai bisogni dei nostri piccoli, senza più il timore di fare qualcosa che li danneggi, ma anzi nella consapevolezza di agire per il più grande bene possibile: l’amore.


di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.


B. Brazelton, Il bambino da 0 a 3 anni, Rizzoli, 2008.
F. Leboyer, Shantala. L’arte del massaggio indiano per far crescere i bambini felici, Sognonzo Tascabili, 1996.
J. Liedloff, Il concetto del continuum, Edizioni La Meridiana, 1994.
A. Montagu, Il linguaggio della pelle. Il senso del tatto nello sviluppo fisico e comportamentale del bambino, Verdechiaro Edizioni, 2011.

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