Molto si è scritto e raccontato sull’istruzione parentale con i bambini, soprattutto riguardo a quelli che sono i primi anni di apprendimento. La fascia d’età successiva è rimasta invece in secondo piano, soprattutto per quanto riguarda quell’approccio che in inglese si chiama unschooling e che possiamo definire apprendimento naturale o autoguidato.
Con Nunzia Vezzola, docente e socia fondatrice di LAIF Associazione Istruzione Famigliare, sfatiamo miti e dubbi sulle conseguenze che la scelta dell’homeschooling possa avere sui rapporti genitori-figli in questa fase così delicata.
L’adolescenza esiste?
Quando i figli non sono più bambini, spesso le famiglie si trovano a confrontarsi con una fase burrascosa della loro relazione: questo periodo viene comunemente chiamato adolescenza. A seconda delle situazioni, può rivelarsi più o meno lungo, più o meno precoce o tardivo, più o meno intenso e difficile.
Esistono anche riflessioni e studi che ne mettono in discussione l’esistenza¹.
Secondo alcuni pensatori l’adolescenza sarebbe in realtà un artificio della nostra società: intanto per le difficoltà di definizione di questa fase della crescita e delle sue caratteristiche essenziali, poi perché sorprende il fatto che il concetto sia apparso solo molto recentemente e che non sia presente in tutte le culture, e infine anche perché la presenza di un’età intermedia fra l’infanzia e l’età adulta pare piuttosto legata a fattori di natura demografica, sociale, economica, culturale anziché allo sviluppo naturale della persona.
Secondo alcuni pensatori, l’adolescenza come viene comunemente intesa sarebbe piuttosto da vedere come il frutto dell’educazione dei nostri tempi.
Oltre la scuola e l’homeschooling
Riparare i danni della pandemia ed educare per il mondo che verrà
Una proposta di intervento educativo da realizzare nel contesto dell’istruzione parentale per gli allievi della scuola secondaria inferiore e superiore, ispirata al modello umanistico dell’educazione integrale (che coinvolge corpo, mente, anima e spirito), con il proposito di formare anime libere e capaci di sentire e di pensare.
Adolescenza, homeschooling e unschooling
Comunque stiano le cose, è pur vero che molti temono le conseguenze che la scelta dell’homeschooling possa avere sui rapporti genitori-figli in questa fase così delicata.
Ebbene, le esperienze che ci sono note mostrano invece quanto poco siano fondati questi timori e quanto ricca sia l’avventura dell’homeschooling, in particolare quella dell’unschooling, anche sul piano dell’interazione famigliare e delle relazioni intergenerazionali.
Certo, questa età rappresenta per tutti un momento di maggiore autonomia e differenziazione del sé dal nucleo famigliare originario. Quando i figli si lasciano alle spalle gli anni dell’infanzia, cominciano ad avere pensieri, sentimenti, emozioni, bisogni che li avvicinano sempre più al mondo adulto. Questo succede comunque, sia che facciano apprendimento naturale (o autoguidato) in ambito famigliare, sia che frequentino una qualche scuola.
Tuttavia, in alcune situazioni, questa fase della crescita personale avviene senza la crisi devastante che segnalano in molti (“Non riconosco più mio figlio”), non rappresenta un momento di rottura e/o di chiusura reciproca in famiglia, talvolta accompagnata persino da violenza.
Caratteri dell’unschooling che facilitano un’adolescenza serena
Questa “evoluzione dolce” è più probabile quando i ragazzini sono cresciuti nutrendo e coltivando una relazione di fiducia nell’adulto, basata sulla stima reciproca, sulla collaborazione, sul rispetto e la fiducia, anziché sul giudizio, l’autorità e la separazione.
In homeschooling, e ancor più in unschooling, genitori e figli sono insieme protagonisti di un percorso di apprendimento e di educazione che condividono in gran parte. Quando c’è l’abitudine alla cooperazione, all’empatia, alla condivisione, allo stare insieme nelle varie situazioni della vita, il ragazzino si sente rispettato, apprezzato e amato per quello che è.
Diversamente dalla classica “campana di vetro” che popola l’immaginario di chi non conosce a fondo l’unschooling, il bambino vive fin da piccolo in un mondo di adulti, anziani, giovani e piccolini, e in questa realtà si muove secondo le sue capacità e le sue forze a ogni età: impara presto a servirsi a tavola, a prendersi da bere quando ha sete, a tagliarsi il cibo, poi a cucinarselo e a lavare le stoviglie, a scegliersi i vestiti e poi, da più grandicello, a stenderli e a riporli nei cassetti. Il bambino in unschooling sa bene cosa gli serve imparare e va dritto alla meta, accoglie di buon grado il supporto della famiglia, ma rifiuta con determinazione le interferenze che possono mettere in pericolo il suo percorso di apprendimento.
Soprattutto, il ragazzino unschooler vive una relazione naturale e importante con la famiglia e soprattutto con i genitori. Tale rapporto non viene sostituito dalla relazione con i coetanei o con il gruppo, ma rappresenta un riferimento fondamentale per tutta la fase della crescita della giovane persona. La sicurezza che gliene deriva è uno degli elementi che fanno la differenza.
Genitori e figli insieme
Dall’infanzia all’adolescenza con amore e rispetto
Dall’autore di Besame mucho, un libro sull’educazione e l’accudimento di bambini che hanno già superato la prima infanzia.
Adolescenza unschooler
Se un fanciullo cresce in un contesto di autonomia che rafforza la sua autostima, non ha più bisogno di fare una rivoluzione per “conquistarsi l’indipendenza”.
Se è abituato a un confronto sereno, rispettoso e serio con l’altro, con il mondo esterno, non sente la necessità di sperimentare e affermare con forza la propria libertà. Se è attrezzato sul piano socio-relazionale e psicologico, il giovane non teme per la propria autonomia. E la cosa che lo rende appunto così “attrezzato” è appunto la relazione con la famiglia e con i genitori.
Da ragazzo, quindi, spesso continua a vivere una relazione con i genitori basata sull’empatia, anche se è evidente che, per certi tratti, si comporta, pensa e sente come un adulto.
Nelle esperienze a noi note, si vede che i giovani partecipano sempre di più alle conversazioni dei “grandi” e sempre meno ai giochi dei bambini, che si pongono domande su tematiche e ambiti nuovi, che si interessano ad aspetti della vita che prima trascuravano o non coglievano.
Iniziano a mostrare aspetti nuovi della loro personalità, nutrono progetti per il proprio avvenire, parlano sempre più concretamente del loro futuro. In questi discorsi trova spazio, talvolta, anche il desiderio di una formalizzazione del proprio curriculum di apprendimento, in funzione, magari, di un titolo di studio di livello superiore.
In altre parole, l’ingresso nel mondo adulto molto spesso è graduale e avviene con serenità, senza strappi al motore, soprattutto per chi è abituato fin da piccolo a frequentarlo con fiducia e rispetto reciproci.
di Nunzia Vezzola
Docente di scuola superiore e socia fondatrice di LAIF Associazione Istruzione Famigliare
¹ P. Huerre et al., L’adolescence n’existe pas, Odile Jacob, 2003.
M. Fize, Ne m’appelez plus jamais crise ! Parler de l’adolescence autrement, Eres, 2003.
P. Huerre, L’histoire de l’adolescence: rôles et fonctions d’un artifice, Journal français de psychiatrie 2001/3 (no14), pag. 6-8.
P. Huerre, L’adolescence: à qui ça sert?, Dans Le Télémaque 2010/2 (n° 38), pag. 7 -10.