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movimento 0 6 anni

Il bambino da 0 a 6 anni è molto interessato al movimento: dai suoi primi tentativi di spostamento nello spazio (strisciamenti, rotolamenti ecc.), al raggiungimento della posizione eretta, fino alle corse a rotta di collo, sembra non smettere mai di muoversi.
Potrà sembrare banale o inutile interrogarsi sul “perché” di tutto questo muoversi, tuttavia, negli ultimi anni, i bambini stanno progressivamente perdendo la dimensione del movimento e diventa perciò necessario per gli adulti che si occupano di loro comprendere l’importanza di questa funzione.
La dottoressa Erika Bertolini, consulente pedagogica, spiega come la crescita del bambino non dipenda in modo esclusivo dalle competenze chiave acquisite nelle varie fasce d’età e dal corredo biologico, ma a questo sviluppo concorrono diversi fattori, come l’ambiente e il contesto in cui il bambino fa esperienza.

Fundamental motor skilks, ovvero le competenze motorie fondamentali

Il movimento si potrebbe definire un bisogno fondamentale del bambino al pari del cibo e del sonno. La ricerca scientifica ha dimostrato che l’attività motoria svolge un ruolo di primaria importanza nello sviluppo, soprattutto durante la prima infanzia.
Le acquisizioni motorie costituiscono le basi per lo sviluppo delle funzioni cerebrali necessarie a comprendere i concetti sul piano simbolico. Un bambino che sviluppa le cosiddette fundamental motor skilks, ovvero le competenze motorie fondamentali, ha un cervello fisiologicamente pronto ad apprendere le discipline scolastiche. Per questo motivo è possibile affermare che esiste una stretta correlazione tra il movimento, lo sviluppo fisico e lo sviluppo cognitivo nel bambino da 0
a 6 anni.

La sinaptogenesi, ovvero il processo di costruzione di collegamenti tra i neuroni

Cosa c’entra il movimento del corpo con la struttura cerebrale di una persona?
Per comprendere il nesso dobbiamo addentrarci almeno un poco in un campo complesso e non ancora completamente conosciuto, le neuroscienze.
A partire dalla fase intrauterina il cervello del bambino è un vero e proprio cantiere in costruzione, dove migliaia di “operai” sono ininterrottamente impegnati a realizzare le strutture funzionali alla sua crescita e sviluppo. Queste strutture non sono tanto le cellule neuronali, che si sono già precedentemente differenziate, ma i collegamenti o reti tra i neuroni, dette “sinapsi”. La sinaptogenesi, ovvero il processo di costruzione di queste reti tra neuroni, ha inizio durante la
ventisettesima settimana di gravidanza e prosegue per parecchi anni dopo la nascita, anche durante l’adolescenza.
Molte di queste connessioni sono assolutamente casuali, altre sono utili. Il processo è talmente efficace che le cellule che non si sono collegate con altre cellule muoiono per “lasciare spazio” a quelle che hanno costruito collegamenti funzionali. È molto importante che tra i neuroni si formi una rete ben strutturata di sinapsi perché è così che gli impulsi-informazioni possono circolare in modo preciso, veloce ed efficace.

L’importanza dell’ambiente e del contesto

Nel processo della sinaptogenesi l’ambiente, al pari del corredo biologico, svolge un ruolo molto importante perché influisce direttamente sulla la formazione delle reti, sul loro consolidamento e quindi anche sull’efficacia delle connessioni tra i neuroni.
La ricerca scientifica recente dimostra, quindi, quanto sia errato credere che lo sviluppo del bambino dipenda in modo esclusivo da “stadi di sviluppo” che procedono in maniera meccanicistica, indipendentemente dal contesto. Ora, è vero che esiste un corredo biologico e che
questo si sviluppa seguendo un proprio ritmo individuale; ad esempio, un bambino di 1 anno non è in grado di usare il pensiero astratto perché la zona del cervello deputata a tale compito non si è ancora sviluppata, ma è anche vero che lo sviluppo di questa funzione ha bisogno di essere adeguatamente stimolata per avere luogo.
Quindi, l’ambiente (inteso come genitori, fratelli, nonni, amici, le strutture scolastiche e il contesto sociale) è molto importante nello sviluppo del bambino perché può agevolare le esperienze che sostengono e rafforzano le reti neuronali, oppure le può inibire, rendendole difficili o poco stimolanti.
Anche le nuove linee guida dell’OMS hanno valutato gli effetti sui bambini piccoli del tempo che passano seduti a guardare schermi o seduti su seggioloni e passeggini. Ne consegue:

  • la raccomandazione per i bambini sotto i 5 anni di trascorrere meno tempo seduti a guardare gli schermi;
  • il divieto assoluto di restare fermi davanti a uno schermo in età da 0 a 2 anni;
  • per i bambini dai 2 ai 4 anni viene consigliato di non lasciarli per più di un’ora a guardare passivamente lo schermo televisivo o di altro genere, come cellulari e tablet.

Inoltre, l’ente ha esaminato i benefici dell’aumento dei livelli di attività fisica:

  • per i piccoli fino a 1 anno di età si raccomanda di eseguirla diverse volte al giorno, compresa mezzora in posizione prona;
  • per i bambini da 1 e 2 anni si raccomandano almeno tre ore di attività fisica giornaliera;
  • aumentarne molto l’intensità dai 3 ai 4 anni.

E se il bambino si fa male?

Un argomento che sta a cuore dei genitori e di chi si occupa di bambini è la loro sicurezza. Farà piacere sapere che esiste una connessione diretta tra lo sviluppo di competenze motorie e la capacità dei bambini di non farsi male.
Infatti, ci sono molte evidenze che maggiore è il tempo che il bambino passa esercitandosi in determinati movimenti, maggiore è la padronanza che di questi acquisisce e maggiore diventa la sua capacità di reagire positivamente a situazioni di pericolo, evitando di farsi male.
Su Youtube sono disponibili i video delle ricerche condotte dalla dottoressa Karen Adolph che ha dimostrato che i bambini alle prime esperienze di gattonamento non erano in grado di riconoscere il vuoto e il pericolo che questo comporta per la loro incolumità. Le cose cambiavano totalmente dopo alcune settimane in cui il bambino faceva esperienza di andare carponi. Una volta divenuto esperto nel gattonamento, il piccolo diventava automaticamente in grado di riconoscere il pericolo del vuoto e si fermava da solo di fronte al buco. Non procedeva oltre nemmeno se l’operatore cercava di invogliarlo a farlo, mostrandogli un gioco.
I paesi del Nord Europa applicano già da tempo questa logica di “allenare i bambini alla sicurezza”. Nelle strutture per l’infanzia danno molta attenzione al fatto che i bambini, oltre a stare all’aria aperta, abbiano anche la possibilità di cimentarsi in attività potenzialmente pericolose, come arrampicarsi in autonomia su alberi anche molto alti. Nel nostro paese questa logica fatica a passare perché tendenzialmente si ha un approccio molto protettivo ed evitante situazioni di potenziale pericolo.
La logica del Nord invece, considera “protettivo” proprio il permettere al bambino di fare pratica in situazioni controllate, come lo è la scuola dell’infanzia. In questo contesto, infatti, sono sempre presenti degli adulti e, dovesse capitare un incidente (per esempio il bambino cade dall’albero e si rompe un braccio), i soccorsi verrebbero immediatamente attivati.
Non è facile vederla in questo modo, me ne rendo conto, e credo che anche in questi Paesi i genitori si sentano male se loro figlio si ferisce. Si tratta di cambiare punto di vista e pensare che sia importante permettere al bambino di fare esperienza per proteggerlo davvero. Secondo quest’ottica, se il bambino si rompe un braccio mentre sperimenta l’arrampicata su un albero è una cosa normale, una cosa che può capitare perché il bambino sta imparando, sta facendo pratica per diventare forte, capace di badare a se stesso ed evitare un male peggiore.
Un contesto privilegiato per favorire lo sviluppo motorio dei bambini è il gioco.
Si propone l’attività motoria attraverso il gioco non perché questa debba essere facile ma perché il bambino piccolo “fa” solo se ciò che fa lo diverte. I giochi possono essere anche molto impegnativi e faticosi, ma il divertimento e il piacere di fare sono il motore che coinvolgerà e spingerà il bambino a esercitarsi moltissimo.
Inoltre, l’esperienza del divertimento associata all’attività fisica, favorirà la continuazione della pratica motoria o, eventualmente sportiva, anche durante l’adolescenza e l’età adulta.

“Periodo sensibile” non significa ora o mai più

Nel parlare dell’importanza di proporre l’attività motoria nella fascia 0-6 anni, penso sia importante fare una breve digressione sul tema dei cosiddetti “periodi sensibili”.
Secondo questa teoria, nella prima infanzia si aprono dei periodi di tempo limitati durante il quale il bambino apprende qualsiasi cosa come una spugna e lo fa al massimo delle proprie capacità (Maria Montessori la chiamava “mente assorbente”).
Spesso si crede che tali periodi vadano sfruttati proponendo al bambino tante attività diverse in modo che possa apprendere il più possibile “prima che sia troppo tardi”. In verità questa idea è corretta solo in parte e una sua applicazione tout court creerebbe addirittura danni.
Innanzitutto, nei genitori si potrebbero attivare stati d’ansia, stress e senso di colpa perché si potrebbe temere di non saper individuare questi momenti o di non saperli sfruttare al massimo offrendo poche opportunità al bambino.
Per quanto riguarda il bambino, il forte rischio che si corre è di sovraccaricalo portandolo in iperstimolazione. Un’esperienza di questo tipo si rivelerebbe deleteria perché condurrebbe il piccolo a sviluppare una capacità di attenzione molto bassa e impedendogli di creare reti di sinapsi tra i neuroni.
Maria Montessori prima e le neuroscienze dopo hanno dimostrato che si può apprendere qualsiasi cosa solo se la si ripete in maniera costante e prolungata nel tempo. Questa regola vale a ogni età, anche oltre i cosiddetti “periodi sensibili”. Se passa troppo velocemente da un processo all’altro, da una attività a un’altra, il bambino potrebbe andare in tensione, innervosirsi e niente lo soddisferebbe. Inoltre, non riuscendo a concentrarsi a lungo su ciò che fa, non avrebbe il tempo di consolidare nulla.
Certo, ci sono dei momenti nella prima infanzia in cui determinate capacità e abilità possono essere sviluppate e acquisite più facilmente, ma una “maggior facilità” non significa “ora o mai più!”.
Insomma, come in tutte le faccende di questo mondo, anche lo sviluppo dell’essere umano, per essere armonioso, ha bisogno di equilibrio e di buon senso.


di Erika Bertolini
Laureata in scienze pedagogiche con specializzazione in movimento e sviluppo infantile, è anche insegnante di massaggio infantile AIMI. Sul sito www.erikabertolini.it offre consulenze pedagogiche.

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