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Mamma e bambino: come dormire insieme in sicurezza?

Cosa è veramente pericoloso, dormire con il bambino o il modo in cui lo si fa?
A proposito delle nuove raccomandazione dell’Accademia Americana di Pediatria per quanto riguarda il sonno condiviso è intervenuta anche Antonella Sagone, autrice, psicologa in area perinatale, formatrice e consulente professionale in allattamento IBCLC.

SIDS: cos’è e quali sono i fattori di rischio

Cosa è veramente pericoloso, dormire con il bambino o il modo in cui lo si fa?
Da milioni di anni, i cuccioli dei mammiferi condividono il sonno con la loro mamma. Anche nelle specie da tana, in cui i piccoli passano lunghi periodi da soli mentre la madre è in giro a procurarsi il cibo, quando si corica per dormire non lo fa certo in una nicchia separata, ma va ad allattare i suoi piccini e si addormenta accanto a loro.
In tempi recenti, si è cominciato a introdurre in una parte del mondo l’uso di far dormire i bambini in ambienti separati dal letto delle loro madri. Nel bene e nel male, questa modalità ha preso piede, e sono stati notati casi di bambini che morivano misteriosamente nel sonno senza alcuna spiegazione, venendo ritrovati la mattina dopo senza vita. Questi inspiegabili lutti vennero definiti originalmente “morte in culla”, perché era nella culla che avvenivano queste tragedie. Il termine attuale, SIDS, indica le morti nel sonno che non possono essere spiegate altrimenti: bambini sani, che non sono morti soffocati né per altri motivi conosciuti, ma semplicemente sono andati in apnea (cosa che qualche volta capita nei neonati), ma a differenza del normale non hanno ripreso a respirare e non si sono purtroppo svegliati più.
Gli studi su questa sindrome hanno accertato che l’apnea prolungata avviene nella fase di sonno profondo, e che dormire a pancia sotto, avere genitori fumatori, non essere allattati al seno aumentano il rischio di questo evento funesto.
Questi fattori di rischio, e quindi invece gli elementi protettivi, sono confermati anche dagli studiosi James J. McKenna, Nils Bergman, Helen Ball, Katherine Kendall-Tackett e molti altri, tutte autorità mondiali nel tema del sonno infantile e spesso anche responsabili di cliniche del sonno che da decenni portano avanti studi sperimentali in materia.
Dunque, se le cose stavano così, la soluzione semplice avrebbe dovuto essere raccomandare alle madri di non fumare, di allattare al seno e di evitare le situazioni che favorivano il sonno profondo, come mettere il bambino prono, specie se in un lettino immobile e lontano dal respiro e dal movimento del corpo vivo della sua mamma.
E invece no. Le raccomandazioni hanno incluso l’avviso di non far dormire il bambino nello stesso letto con la sua mamma, cosa che tra l’altro rende più difficile l’allattamento notturno, che è invece un fattore protettivo. Come mai? Eppure avere il bambino a stretto contatto non aumenta, bensì riduce i rischi di SIDS.

La paura del soffocamento

Il problema nasce dal timore che il bambino possa morire nel letto dei genitori non perché ha smesso di respirare spontaneamente, ma perché è rimasto soffocato dal letto, dai cuscini o dal corpo dei genitori. Si verificano a volte casi di morte in condivisione del letto, e questo rafforza gli allarmi e la diffidenza verso questa pratica millenaria, specie in culture come la nostra in cui la separazione sistematica di madre e bambino è considerata la norma, e quindi dormire con il bambino nel letto è percepito come un’anomalia.

Su che base viene fatta una diagnosi di SIDS o di soffocamento?

Il dottor James J. McKenna, uno dei massimi studiosi del sonno nei bambini piccoli e autore del libro Di notte con tuo figlio, parla spesso di questo aspetto. La diagnosi di morte del neonato durante il sonno viene fatta con criteri molto variabili per quanto riguarda le cause; in pratica dipende dal coroner ed è fortemente influenzata dai pregiudizi.
Negli Stati Uniti, per esempio, le morti che avvengono in classi sociali alte vengono definite come SIDS, mentre se si tratta di famiglie di classi sociali basse o di diverse etnie vengono archiviate come schiacciamento. In nessun caso o quasi mai si fa un’autopsia che possa identificare fattori legati magari all’inquinamento, a tossine, a problemi cardiaci, a infezioni non riconosciute. Raramente si fa un’anamnesi seria, per esempio relativamente a eventuali farmaci o terapie somministrate al bambino nei giorni precedenti. Raramente si approfondisce lo stato degli adulti che dormivano nel letto, per discriminare i fattori di rischio: obesità, uso di farmaci, di alcool, eccetera. Quasi mai si accerta la presenza degli altri fattori di rischio, ovvero se la superficie su cui il bambino dormiva era un materasso solido e non ad acqua, un sofà, se erano presenti cuscini o spazi in cui il bambino poteva incastrarsi e affondare (elementi pericolosi, peraltro, anche per il bambino che dorme da solo). E non si analizzano nemmeno altri fattori che secondo vari esperti del sonno potrebbero invece essere importanti: per esempio, il bambino dormiva abitualmente nel letto dei genitori o era capitato solo quella volta? Era allattato o no? E così via.
Anche attraverso le notizie dei media si semina il panico: se il bambino è morto nel sonno e si trovava nel lettone, la causa viene automaticamente attribuita al letto condiviso, senza differenziare tipo di letto, condizione medica degli adulti presenti nel letto, allattamento e altre variabili che elevano o abbattono il rischio (e quando si va ad approfondire, in queste morti ci sono sempre presenti più di uno di questi elementi di pericolo). Paradossalmente, ci sono studi epidemiologici che mostrano come i bambini lasciati dormire da soli nella propria stanza abbiano il 25-50% in più di rischio di restare vittime di SIDS, eppure nessuno afferma che quei bambini sono morti perché dormivano nella loro stanza da soli.

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Prudenza, ma con intelligenza

In questo modo si bolla come pericolosa una pratica definita in modo generico (condividere il letto con i genitori) senza distinguere le modalità con cui questa pratica può essere rischiosa e quelle con cui non lo è. È come promuovere una campagna “Via i bambini dalle automobili” perché a volte in un incidente muoiono bambini, senza verificare se quei bambini viaggiavano in sicurezza (seggiolino ben allacciato) oppure no.
Riguardo ai rischi di morte del neonato nel sonno si è fatta un’inaccettabile semplificazione, accorpando insieme il problema della SIDS e quello del soffocamento. A causa di questo errore si sono emesse delle linee guida che non sono completamente appropriate né per il sonno condiviso né per quello solitario, perché non vanno a specificare i reali fattori di rischio nelle varie situazioni.
Non nascondo il mio disaccordo con queste posizioni rigide, spesso pubblicizzate da parte di organismi che forniscono corsi per il primo soccorso e impartiscono lezioni alle madri terrorizzandole riguardo al sonno condiviso. Esistono fattori di rischio ben precisi riguardo al dormire con il proprio bambino, e quelli vanno rigorosamente rispettati; chissà perché però si rifiuta qualsiasi articolazione delle informazioni, preferendo vietare il sonno condiviso tout court.
Queste indicazioni così “tranchant” di chi trova più facile raccomandare di non tenere mai a dormire il bambino nel letto (invece di dettagliare i fattori di rischio sia nel lettone sia nel sonno solitario) finiscono per essere un fattore indiretto di aumento del rischio perché collidono con la realtà quotidiana, in cui madri e neonati si ritrovano a dormire insieme perché è più pratico per l’allattamento, perché è istintivo, perché è fisiologico e praticato da migliaia di anni, ma non avendo informazioni serie su come abbattere il rischio, finiscono per farlo su supporti inadeguati (divani, poltrone, eccetera) o in condizioni di non sicurezza.
Questa modalità rispecchia purtroppo una generale tendenza moderna del nostro approccio alla salute, basato più sul desiderio di dettare regole e parametri precisi e misurabili, a cui attenersi ciecamente, e che definiscano quali condotte sono appropriate e quali no a prescindere dal contesto e dalla situazione specifica, piuttosto che utilizzare i dati della scienza per aiutare le persone reali, che vivono nel mondo reale e agiscono anche in modi non standardizzati, a comprendere il perché delle regole e comportarsi in modo prudente per il loro specifico caso.
Tenere il bambino nel proprio letto certo non è l’unica soluzione per l’accudimento notturno, e se il bambino è comunque nella stanza e lui e la mamma si trovano bene così e si rispettano comunque i requisiti di sicurezza, non c’è nulla da eccepire. Ma perché demonizzare la pratica del sonno condiviso, che esiste da milioni di anni nei mammiferi e che tante madri trovano la soluzione più semplice per allattare e prendersi cura del loro bimbo durante la notte?
Dobbiamo smetterla di affidarci in modo acritico a protocolli pensati più per sollevare ciascuno dalle proprie responsabilità, che non ad assicurare ai nostri bimbi il meglio per la loro salute e sicurezza; tenere da conto i dati preziosi della ricerca scientifica, ma applicarli con intelligenza e amore, e partendo da uno standard che non sia basato su pregiudizi o pratiche artificiose, ma sulla fisiologia, la natura, la normalità di ciò che madri e bambini fanno, nella realtà quotidiana, da milioni di anni.


di Antonella Sagone
Psicologa in area perinatale, formatrice e consulente professionale in allattamento IBCLC.

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