Dal valore dato alla maternità e alla nascita dipende il futuro dell’umanità.
La maternità è un patrimonio infinitamente sottovalutato in nome di un’apparente civilizzazione basata sulla cultura e sulla scienza.
In realtà, le discipline scientifiche che più ci possono aiutare a capire come stanno le cose sono, a mio avviso, l’antropologia e la genetica.
Quasi ogni donna, infatti, in ogni angolo della Terra, indipendentemente dallo stato sociale e dalla cultura a cui appartiene, è predeterminata ed ha il potere di creare, consegnare al mondo e nutrire una nuova vita.
Maternità è vita.
Vita in sé e per sé, oltre le barriere culturali, sociali, politiche, religiose ed economiche. Non c’è nessun altro aspetto così pregnante che fa parte di ogni donna già alla sua nascita e che la accompagna per tutta la vita.
Una mamma è apertura, istinto, calore, nutrimento, liquido caldo e profumato che prima avvolge e poi nutre di sostanza e d’affetto; è disponibilità, spazio, contenimento, elasticità e flessibilità, rifugio sicuro, trampolino verso la vita a cui fare ritorno in caso di difficoltà: una base sicura dalla quale sperimentare, già nel grembo e ancora prima di nascere, l’affettività e la relazione con l’altro.
Il valore della maternità sta anche nell’utero e nel seno, spazi vitali, parte di ogni donna che possono accogliere una nuova vita dandole nutrimento e calore prima e dopo la nascita.
Che responsabilità hanno le mamme! E che potere………..
Maternità dovrebbe anche fare rima con semplicità, ma non è proprio così scontato. In una società come la nostra abbiamo perso di vista tutto quanto detto finora, poiché, senza saperlo, le madri sono troppo spesso addestrate a delegare all’esterno il loro ruolo: esperti, giornali, libri, corsi che le indottrinano senza ascoltarle e sostenerle nella propria individualità.
Ci troviamo in un’epoca di globalizzazione di tutto, anche delle madri. Sembra che le mamme debbano scegliere metodi e non sentire e seguire il proprio istinto. Sembra che debbano avere doveri ma non diritti, né bisogni. Sembra che il valore intrinseco che ogni donna e ogni nascita portano con sé non interessi più, o ancora peggio, non serva a nessuno. Sembra che la sicurezza sia garantita solo dalla delega all’esterno.
A volte è realmente necessario delegare, ma non sempre! Se l’Italia è il primo Paese in Europa per il numero di cesarei, se spesso nelle cartelle cliniche non se ne riporta neanche il motivo, non possiamo far finta che ognuno di quei cesarei sia stato indispensabile! Di sicuro, il cesareo non è sempre sinonimo di sicurezza.
Gli effetti di questo equivoco sono davanti agli occhi di tutti, eppure si preferisce non accettare che ci siamo sbagliati.
Hanno fatto credere alle madri che portare la nascita in ospedale rappresentasse un miglioramento senza alcun costo a livello della propria indipendenza nella gestione del parto, in nome di civiltà e di sicurezza. L’esempio dell’Olanda in cui il 30% dei parti avviene a domicilio (pure con rimborso statale, poiché ovviamente vantaggioso anche per le casse dello Stato) in massima sicurezza e nel rispetto della volontà delle donne che lo scelgono ci deve almeno far riflettere.
Braibanti (2) diceva che non sono le donne che si devono piegare alle istituzioni ma l’inverso.
Questo ha permesso che le madri delegassero il parto e che ora non pensino più di poter scegliere.
Hanno introdotto massivamente il latte artificiale come emancipazione della donna che così poteva liberarsi dagli “impegni” dell’allattamento, senza considerarne il valore relazionale.
Questo ha permesso che le madri delegassero il nutrimento dei loro figli, anche quello affettivo. Poi però ci si stupisce dell’aumento delle patologie affettive negli adolescenti: bullismo, anoressia, dipendenze da farmaci e alcool.
Hanno fatto credere alle donne che potessero evitare il dolore del parto come si evita un ostacolo per strada. Che fosse un loro diritto. Che fosse un aspetto annullabile farmacologicamente senza conseguenze.
Questo ha permesso che le madri pensassero di poter decidere diversamente a ciò che la natura ha già scelto per loro, incuranti degli ormoni e degli esiti di tali pratiche sia su di sé che sul bambino. Spesso le mamme non sono informate a sufficienza su questi aspetti.
Nel nostro Paese non ci sono leggi che permettono alle madri che lo desiderano di stare coi loro bambini almeno per i primi tre anni. Anzi nel nostro governo c’è chi pensa che il congedo di maternità sia un privilegio. Questo è vero se la logica è quella della produttività materiale e della normalità della separazione madre-bambino.
Certo che bisogna arrivare a fine mese, ma siamo proprio sicuri che i bisogni dei bambini siano così trascurabili? E che tutto quello che consumiamo e acquistiamo sia così necessario? Nelle culture del mondo dove le cure prossimali, cioè quelle che prevedono la vicinanza della madre al suo bambino, sono la normalità, gli adulti sono meno aggressivi e più sicuri di sé. Quindi, forse, può valere la pena rivalutare le nostre priorità sociali.
In fondo, cosa sono tre anni se considerati nell’arco di una vita intera? E guarda caso, la letteratura psicologica ci informa su come i primi anni di un bambino siano fondamentali per una sana crescita affettiva e relazionale.
Hanno sbagliato, soprattutto, a fare della maternità e della nascita una materia manageriale, un business che arricchisce le tasche di molti ed impoverisce l’umanità e la capacità di amare di tutti.
Maternità è capacità d’amare a partire dall’istinto. Ma l’istinto materno non è un’entità astratta che si ha o non si ha.. è attivabile, sostenibile e può evolversi. Casomai bisogna interrogarsi su cosa gli impedisce di emergere.
Ormai, una madre rischia di non guardare più il proprio bambino per capire se ha fame, sonno o freddo, perché sul mercato c’è sempre un attrezzo o una persona che la sostituisce: il libro con il metodo per far dormire i bambini, il dispositivo che decifra il pianto del bambino e ti dice cosa fare, il latte artificiale per tutti e ultimamente anche il libro che definisce i neonati maleducati (3), cosicché i genitori si sentano da subito inadeguati se non domano i loro figli, in dovere di non sentire ma di fare qualcosa per non viziare.
Se scorriamo gli scaffali delle librerie sembra che essere genitori sia diventato un ring di pugilato più che un rapporto basato sull’affettività! Ecco qualche titolo: “Manuale di sopravvivenza per neomamme”, “Ero una brava mamma prima di avere dei figli”, “Fai la nanna bastardo” e la lista potrebbe continuare a lungo.
Ma il bambino non è un elettrodomestico (4) che si accende e si spenge a piacimento del genitore! Non è una macchina da impostare come certe associazioni o format televisivi vogliono farci credere! Una cosa è avere un aiuto con i bambini, un’altra è delegare in toto il ruolo genitoriale verso l’esterno.
Essere madre significa, a mio parere, più saper essere che saper fare. A cominciare dal parto. Non esiste corso o libro che possa insegnare alla madre a partorire, né che le dica quando o come inizierà e si svolgerà il suo parto, quel parto!
Le madri per essere ciò che la natura ha selezionato da migliaia di anni non hanno bisogno di tanta cultura e di tante parole; non hanno bisogno di metodi uguali per tutti che ne annullino l’individualità; non hanno bisogno di chiedere l’autorizzazione agli esperti su cosa fare col proprio corpo e con il bambino.
Hanno bisogno di essere libere di scegliere e di essere informate correttamente. Hanno bisogno di un’assistenza diversa da quella che oggi sembra normale.
Michel Odent (5), in tutte le sue magistrali opere, afferma che il parto e l’allattamento, in quanto parti della vita sessuale di una donna, necessitano delle stesse condizioni in cui avviene l’incontro con il partner: intimità, calore, silenzio, non sentirsi osservate, non avere fretta. In altre parole, individualità, spazio e tempo intesi in maniera imprevedibile e non circoscrivibili da limiti stabiliti da altri.
L’ignoto del parto spesso spaventa e autorizza ad aderire a spiegazioni e deleghe che sembrano risolvere, programmare e prevedere tutto. Odent, più di trenta anni fa, nel suo ospedale vicino a Parigi, aveva tassi di cesarei bassissimi e pratiche di nascita che, ancor oggi, da noi paiono impossibili!
Perciò, se siamo disposti a cambiare le nostre modalità assistenziali, le donne avranno possibilità diverse. Spesso le mamme ignorano l’esistenza di figure professionali quali le consulenti IBCLC di allattamento o le doule, perché non c’è interesse sociale, economico e culturale a diffonderne le attività.
Penso che le donne siano vittime del sistema e che non siano sufficientemente informate sulla fisiologia del periodo primale (quello che va dal concepimento al primo anno del bambino), né sulla propria libertà di scelta nell’assistenza al parto. Una cosa è scegliere di delegare in consapevolezza, un’altra è non conoscere alternative.
Maternità è anche fiducia nelle proprie sensazioni, ascolto di sé, sensibilità, libertà di movimento, regressione per sintonizzarsi meglio su di sé e sul bambino, per poi aprirsi insieme al mondo ed alla vita.
Significa anche fare i conti con il proprio passato di bambina. I bambini stessi sono specchi con i quali confrontarci. Spesso le loro difficoltà sono le nostre vissute da piccoli che ritornano. Spesso è difficile sopportare il pianto dei nostri figli e ci prende lo sconforto. Tutto questo è normale! Diciamolo!
Non esiste la mamma perfetta, o quella di serie A o B. Siamo persone! Fatte di sentimenti, gioie, paure, dubbi, difficoltà… Siamo esseri umani, non macchine da parto o da latte. Spesso ci sentiamo sole, abbiamo bisogno di sostegno anche per essere madri migliori e stare più serenamente con i nostri figli.
Le donne devono sapere che hanno un corredo ormonale potentissimo che le aiuterà e le condizionerà in ogni fase della loro vita sessuale, anche in base alle proprie esperienze passate. Perciò l’assistenza alle donne dovrebbe essere individualizzata e non protocollare. Anche dal punto di vista psicologico.
Troppo facile etichettarle come depresse! Quanti servizi dopo parto gratuiti esistono nelle nostre città? E nelle province? Quanto si chiede alle mamme in termini di “essere subito come prima del parto”? Quante donne vengono ascoltate e non inondate di consigli non richiesti, dopo che hanno partorito? Quanti si offrono di dar loro una mano in casa per lasciarle accudire i figli?
Una figura che potrebbe fare la differenza nel valorizzare la maternità è quella della doula. Quasi sconosciuta in Italia, anche se Klaus e Kennel (6) hanno pubblicato un libro importantissimo al riguardo, dove illustrano la funzione e i benefici che una donna può avere con un adeguato sostegno durante il parto ed il puerperio.
Per esempio, la lunghezza del travaglio si accorcia, i cesarei si dimezzano, diminuisce il ricorso ad anestesia, l’allattamento risulta facilitato, aumenta la partecipazione e la tranquillità del padre.
La doula potrebbe avere un valore immenso in quanto madre di tutte le madri, facilitatrice di acquisizione del ruolo materno e genitoriale, tramite fra la famiglia, la donna e le istituzioni, durante e nel periodo intorno al parto. Non si tratta di propagandare “il naturale per forza”! Credo che tutte le mamme abbiano il diritto ad un’assistenza che tenga conto della loro produzione ormonale come dell’importanza delle dimensioni relazionali e affettive nel periodo perinatale.
Già, perché si potrebbe affermare che il tesoro intero della maternità sia racchiuso e rappresentato nel parto, comunque esso si svolga. Una donna, se motivata e sostenuta, in condizioni di fisiologia, sente il suo corpo e il suo bambino comunica con lei attraverso il dolore; sa quale è il momento giusto di muoversi, di spingere, di farsi aiutare, come nessun altro può sentire! Sa quale posizione le fa sentire meno dolore e le facilita la discesa del bambino verso la luce.
E dopo che è nato, attraverso la relazione con lui, ed eventualmente, grazie ad un sostegno competente, sa quando offrire il seno e per quanto tempo. Ma bisogna assisterla con fiducia e accettazione, con libertà e disponibilità all’ascolto, così come lei dovrà fare poi con il proprio bambino, fin dai primi istanti e per tutta la vita.
E se il parto non è fisiologico, niente è perduto. C’è sempre qualche risorsa a cui appigliarsi per accettare il proprio parto anche se non si è svolto come si era previsto. E oggi è possibile partorire per via vaginale anche dopo aver avuto uno o due cesarei.
Come è possibile allattare un bambino dopo non averne allattati altri in precedenza. Le donne che vogliono farlo, possono trovare figure professionali adeguate. Ricordiamo che le donne che non possono allattare sono inferiori al 5%. Nella stragrande maggioranza delle altre donne, i problemi derivano da un mancato sostegno competente in materia, fin dalla sala parto.
Ci tengo a precisare che se una mamma sceglie di non allattare per motivi propri dopo un’attenta valutazione e una corretta informazione, nessuno può o deve giudicarla. Ma non si può affermare che latte materno e artificiale siano la stessa cosa. O che il cesareo non sia un intervento d’emergenza e che sia preferibile alla nascita vaginale. Si tratta sempre di un intervento chirurgico.
Un’ultima riflessione vorrei dedicarla ai padri, senza i quali nessuna madre potrebbe diventare tale. Il valore della maternità è dato anche grazie al loro ruolo di innescatori del viaggio verso una nuova vita e di condivisione di amore.
È grazie al loro sostegno e alle loro forti braccia che avvolgono nei momenti di bisogno che una madre può vivere con serenità. È grazie al loro ruolo di filtro, un po’ come l’azione della placenta nell’utero che il padre, dopo la nascita, media tra la diade madre bambino e l’esterno, proteggendo la loro unione e la famiglia. È grazie ai padri se le donne trovano la forza che spesso manca dopo le fatiche del parto e dell’accudimento di un bimbo piccolo.
Il ruolo paterno è spesso sottovalutato. Spesso i padri si sentono messi da parte, impotenti. Spesso stanno fuori casa per tanto tempo, ignari di quanto invece sia importante anche solo la loro presenza. Penso che molte coppie vadano in crisi dopo la nascita di un bambino per la mancanza di assistenza alla coppia stessa e per la diffusione di false soluzioni ai problemi coniugali legati al diventare genitori, prima fra tutte quella di attribuire una colpa al sonno condiviso! Cosa dovrebbe succedere nei tanti Paesi del mondo dove questa pratica è considerata normale? Divorziano tutti? Ovviamente no.
Qualcuno potrebbe dire che la maternità è “sacrificio” e a questo proposito vorrei citare le parole di un padre illustre (7):
«Si sacrifica un alpinista per raggiungere la cima? Si sacrifica chi studia per un concorso per diventare notaio, o chi fa pratica al pianoforte? Non stanno facendo qualcosa che li disgusta; stanno facendo quel che desiderano fare. Io non voglio scalare una montagna né essere un notaio, per questo non lo faccio.
Se volete portare vostro figlio in braccio, o dargli il seno, fatelo. Se volete smettere di lavorare per mesi o anni per crescerlo, o rifiutare una magnifica opportunità di lavoro, per stare con la vostra famiglia, fatelo. Ma solo se lo volete. Se non volete, non fatelo. Dire: “Ho sacrificato la mia carriera professionale per stare con mio figlio” è assurdo tanto quanto dire: “Ho sacrificato la relazione con mio figlio per la carriera”. Non sono sacrifici sono scelte. Chi fa quel che vuole non sta rinunciando, sta riuscendo; non si sacrifica, ma trionfa.
La sfumatura è importante perché chi fa un sacrificio lo fa malvolentieri. Non si considera appagato, crede che gli si debba qualcosa. Presto o tardi avrete conflitti coi vostri figli che potrebbero farvi dire “ Con tutto quello che ho fatto per te!” Oppure: “Per colpa tua non sono arrivato a…” Le parole una volta dette non possono essere cancellate. Le persone che avranno fatto ciò che sentivano e desideravano pensano: “che peccato che dopo tutti gli anni di gioia che mi hai dato, ora abbiamo un conflitto” oppure “grazie a te ho avuto il privilegio di essere padre”. O meglio ancora, lo dicono!»
Lavoriamo e impegniamoci quindi, perché tutti in ogni angolo della Terra, rispettino il potere e il valore della maternità, ne va del futuro dell’intera umanità.
Alessandra Bortolotti
[Questo contributo è dedicato a mia madre che mi ha lasciato due anni fa, mentre ero al settimo mese di gravidanza in attesa della mia seconda figlia: quasi un passaggio del testimone verso un’unione di donne
al di là del tempo, dello spazio e della coscienza.]
Bilbliografia:
1. De Luca E., (2006), In nome della madre, Feltrinelli, Milano.
2. Braibanti L. (1993), Parto e nascita senza violenza, red edizioni, Novara.
3. Sarti P., (2008), Neonati Maleducati, Giunti Demetra, Firenze.
4. Mieli G., (2009), Il bambino non è un elettrodomestico, Apogeo, Milano.
5. Odent M. (2008), La scientificazione dell’amore, Apogeo, Milano.
6. Klaus M.H., Kennel J.H., Klaus P.H., (1994) Far da madre alla madre, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
7. Gonzalez C., (2007), Un dono per tutta la vita, Il leone verde Edizioni, Torino.
Chiara
Articolo bellissimo e davvero esauriente!
Purtroppo oggi molte madri fanno le proprie scelte con troppa superficialità senza capirne fino in fondo le conseguenze e credo che questo sia sempre più colpa della nostra società consumistica che antepone l”avere all”essere.
Monica Colella
Beh, grazie. Grazie di aver scritto im maniera cosi chiara e convincente cose che mi porto dentro e delle quali ho paura , perche mi rendono diversa , additabile e criticabile . E quando c”e” qualcuno che ha la chiarezza , la forza di esprimerle e” come una assoluzione da tutti i peccati, un gran sollievo. Grazie e auguri .
nicol
grazie e condivido su facebook grazie perchè hai incarnato ciò che penso e pratico con mio figlio
con amore e tenerezza semplicemente
nina
Grazie! ho trovato questo articolo per caso, mentre in un momento di sconforto e frustrazione cercavo una risposta…
grazie, perchè fino a questo momento mi son sentita un UFO, sulla terra e, ammetto è snervante e frustrante.
Essere mamma è la responsabilità e il compito più grande e importante di una donna.
E’ un dono. Ma nei paesi occidentali, e tantopiù in Italia, sembra una punizione, un fastidio uno stress.
Bisogna delegare tutto: le cure, l’allattamento, l’educazione, la crescita e le gioie delle prime scoperte .. le coccole. Al nido il prima possibile perchè deve imparare ad essere indipendente… se dico mi piace allattare, sono una pazza che creerà un mammone, se dico vorrei poter rimanere a casa almeno fino ai 3 anni di mio figlio…allora sono una mamma chioccia.
Come scrive lei, ho subito un cesareo a 41+1, dopo ore di travaglio, senza avere avuto una spiegazione precisa di cio’ che era successo…. siamo stati dimessi con ‘la giunta’ di artificiale perchè il mio bimbo aveva avuto un calo di peso. Il latte di fatto non arrivava, ho tenuto mio figlio al seno per ore quasi, e mi si diceva che non andava bene :10 minuti di qui, 10 min di la (in fabbrica forse si mangia in 10 minuti) eppure, nonostante abbia vuto la montata, non scherzo, 15 gg dopo la nascita, sono riuscita ad allattare mio figlio. Solo grazie alla determinazione di mio marito e mia mamma che mi sono stati vicini con tatto. E ancora allatto il mio bimbo di ormai 21 mesi, pure 2/3 volte di notte e nel lettone con noi. Ammetto che è stancante, ma vedo che a mio figlio piace, lo cerca proprio e come dice lei cerca anche il contatto, questo ogni giorno mi da la forza e il coraggio di andare avanti, nonostante le critiche, e le prese in giro. La tenerezza che ne deriva, è indescrivibile e se nn la si prova, non la si puo’ capire.
Persino la ginecologa mi ha invitato a smettere di allattare dopo il 6′ mese, perchè ‘troppo non gli fa bene’, poi al mio chiederle perchè, non ha saputo rispondere.
Al lavoro, è una vera e propria lotta per difendere il mio diritto a poter essere mamma. I ‘riposi per allattamento’ ( e meno male che il mio contratto li prevede) devono seguire i tempi del lavoro più che quelli del bambino. Ho dovuto tirarmi il latte al rientro e anche qua, non le dico le critiche e quanti mi hanno invitato a smettere perchè ormai a 6 mesi è una coccola, un vizio, ormai il latte è acqua, il tiralatte è doloroso … è stato uno stress, e squallido andare a tirarsi il latte in bagno, mi son veramente sentita una mucca e snaturalizzata. Per contro, quando dopo 4 ore mi tiravo il latte col tiralatte era un sollievo e mai ho provato dolore.
Si, mi rendo conto che ci sono tantissimi luoghi comuni e privi di fondamento scentifico. Ad ogni critica ho imparato a chiedere perchè non va il mio comportamento e mai ho ottenuto una risposta scientifica, a volte nemmeno con i medici. Questo mi fa andare avanti.
Mi è stato detto che allattare tanto il bambino lo rende ‘mammone’, sarà l’eccezione che conferma la regola… ma mio figlio è il meno mammone dei figli delle mie colleghe (su 4 non ce n’è una che ha allattato oltre il 3′ mese, sembra che io sia l’unica che ha avuto il latte..). Sono l’unica che si è fatta coraggio e ha chiesto 2 mesi di facoltativa, x stare con mio figlio almeno fino al 6’mese. L’unica che ha chiesto il part-time, e ora viene considerata quella che non ha bisogno di lavorare (e per la cronaca son quella che guadagna di meno..) Invece per la mia famiglia è un sacrificio economico enorme. Mi sgomento, e spesso, ma torno a casa e stare gran parte del pomeriggio con mio figlio e potermi occupare di suo padre vale ogni decurtazione del mio misero stipendio.
Ci sono stati momenti difficili, ma poi vedo il mio bimbo che è gioioso, sano e pieno di energie e mi dico che ne vale la pena.