Di norma nessun cittadino italiano dubiterebbe mai della propria, sacrosanta libertà di uscire e di rientrare nel territorio dello Stato, essendo questa espressione di un diritto di rango costituzionale: l’art. 16 della Carta stabilisce, infatti, espressamente che “ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi salvi gli obblighi di legge”.
Questa libertà di movimento non è però così scontata se il genitore, dopo la separazione, il divorzio o la cessazione del rapporto di convivenza, omette di far fronte agli obblighi di assistenza economica nei confronti della prole.
L’art. 12 della legge 21 novembre 1967, n. 1185 e successive modifiche prevede, all’art. 3, che il genitore separato con prole minore, il quale desideri ottenere il rilascio del passaporto, debba essere munito dell’autorizzazione del giudice tutelare; l’art. 12 delle medesima legge prevede poi che “Il passaporto è ritirato quando il titolare si trovi all’estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire la prova dell’adempimento degli obblighi alimentari che derivano da pronuncia dell’autorità giudiziaria o che riguardino i discendenti di età minore ovvero gli inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge non legalmente separato (…)”.
Il diritto alla libertà di movimento, garantito dall’art. 16 della Carta Costituzionale si scontra dunque con un’altra disposizione di pari rango, e precisamente con l’art. 30, comma primo Cost., laddove è previsto che “è dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.
Il legislatore compie una scelta di campo e, nel soppesare le due posizioni, quella di chi avanza la pretesa di poter viaggiare all’estero e quella di chi, invece, richiede che questa facoltà sia subordinata al corretto adempimento degli obblighi di mantenimento per i figli, privilegia la seconda, venendo a determinare una scala di valori nell’ambito della quale il denaro a disposizione deve essere impiegato secondo un ben preciso ordine di priorità: dapprima per soddisfare le esigenze di mantenimento per la prole e, solo in un secondo momento, per soddisfare le esigenze di chi ama viaggiare.
Pertanto il genitore affidatario o collocatario della prole, al quale non venga corrisposto dall’altro genitore quanto stabilito dal Giudice per il mantenimento dei figli, potrà denegare il consenso al rilascio del passaporto in favore dell’obbligato inadempiente ovvero potrà rivolgere istanza, anche direttamente al Commissariato di P.S., affinchè provveda al ritiro del passaporto in precedenza rilasciato.
E’ evidente che se la persona ha già espatriato, potrà procedersi all’effettivo ritiro del passaporto solo in occasione del suo rientro in Italia.
Ma se il genitore inadempiente allega ragioni di salute o di lavoro a fondamento della propria esigenza di espatrio?
In questi casi occorrerà valutare l’effettiva fondatezza e serietà delle esigenze sottese alla richiesta di espatrio e l’interessato al passaporto dovrà dimostrare, con documenti alla mano, che si trova nell’impossibilità di pagare gli assegni di mantenimento a suo carico.
Fra gli strumenti a disposizione dell’avvocato per costringere il genitore obbligato a dare ciò che deve, questo rimedio è ancora poco utilizzato e sottostimato nelle sue potenzialità dannose atteso che, se è ben vero che non si traduce in un rimedio concretamente satisfattivo delle ragioni del coniuge creditore, è altresì innegabile che, per alcune tipologie di soggetti, potrà rivelarsi un efficace deterrente, laddove si consideri a quali e quante limitazioni viene sottoposta la persona alla quale viene inflitta la misura del ritiro del passaporto.
E chiaro che, se parliamo di soggetti stanziali, per nulla inclini a viaggiare, il rimedio si rivelerà del tutto innocuo e l’avvocato dovrà avvalersi degli altri strumenti di coercizione previsti dall’ordinamento; ma se ad essere inadempiente sarà un soggetto che abitualmente espatria, magari anche per ragioni di lavoro o di affari, trovarsi senza passaporto si tradurrà in una forte limitazione della personalità e potrà, dunque, costituire un valido mezzo di pressione e di induzione all’adempimento del proprio obbligo di assistenza familiare.
Avv. Paola Carrera