Il bambino incarna una diversità radicale. Gran parte di ciò che comunemente si chiama educazione consiste nell’esorcizzare, limitare, controllare, arginare, incanalare e finalmente spegnere questa diversità.
Affinché l’opera riesca occorre che sia tacitamente condivisa la percezione del bambino come non-persona o come persona parziale: occorre, infatti, molta violenza, che sarebbe ingiustificabile ed inaccettabile se al bambino fossero pienamente riconosciuti la dignità ed i diritti di una persona.
Ad inquietare del bambino è, in primo luogo, la sua libertà. Egli si colloca all’origine, sta nella dimensione magmatica dalla quale la società è nata con una serie di progressive solidificazioni, fino a diventare il sistema di regole, di compromessi, di ipocrisie che è.
Non dà per scontato, il bambino, nulla di ciò che è scontato, ed in questo modo ci mostra quotidianamente che il mondo in cui viviamo, il mondo che abbiamo costruito o cui abbiamo dato il nostro tacito consenso, evitando di ribellarci, non è che uno dei mondi possibili: e non il migliore.
Non sa che farsene, il bambino, di cose per le quali gli adulti darebbero la vita, ed è pazzamente innamorato di cose che per gli adulti valgono meno di nulla. Per un bambino – per un bambino che non sia stato corrotto dagli adulti – non esiste lo status, quella cosa per la quale gli adulti sono disposti a fare ogni cosa.
Perché non è per il denaro che un adulto cerca il denaro, né desidera il potere per il potere. Cerca queste cose per essere riconosciuto dagli altri, affinché la sua misera persona risplenda quanto più è possibile. Diceva Hegel che nessuno è un eroe per il proprio cameriere. Deve sentirsi un po’ imbecille, al cospetto del proprio bambino, l’uomo che consuma la sua vita nell’impresa di far carriera, sacrificando tutto il suo tempo e le sue energie, accettando compromessi ed inghiottendo rospi.
Deve sentirsi imbecille, di fronte a quella vita beata, al di qua di ogni preoccupazione sociale, di quell’ansioso e insensato inseguire sé stesso. Ma è un imbarazzo che dura un attimo, presto soccorso dalla commiserazione per quell’esserino che non sa come va il mondo, e cui bisogna insegnare tutto.
Cominciando dal dovere. Anzi, dai doveri: perché c’è il dovere morale e c’è il dovere sociale. Il primo consiste nei criteri del bene e del giusto, del fare e del non fare, che i genitori consegnano con qualche trepidazione ai loro figli, sperando spesso che non li prendano troppo sul serio. L’altro, il dovere sociale, consiste nell’impegno, posto precocemente sulle spalle del bambino, di contribuire alla ricerca familiare dello status.
Dovere che si concretizza, per ora, nel dovere scolastico, che è il primo gradino del dovere sociale. Gli piaccia o no, serva o no alla sua crescita, abbia a che fare o meno con l’apprendimento, il bambino deve studiare e prendere buoni voti. Il successo scolastico è la prima forma di conquista dello status.
Un bambino che non va bene a scuola è, per una brava famiglia borghese, motivo di vergogna: uno che pianta in asso la sua famiglia, dopo tutto
ciò che essa ha fatto per lui. Il bambino che ha successo è invece un trofeo da esibire in società. Non è un caso che abbiano introdotto i voti fin dalla prima elementare.
Già il bimbo di sei anni ha da essere fiero della sua pagella piena di dieci e guardare con qualche disprezzo chi ha voti meno buoni. E’ così che gli adulti portano la guerra nel mondo dei bambini. E’ così che comincia la corruzione, l’uscita dal paradiso infantile e l’ingresso nell’inferno degli
adulti.
Il piccolo Carlo Michelstaedter raccoglie per strada un cane randagio, lo porta in casa e gli fa il bagno. E’, per lui, un modo per mettere in pratica i valori di amore e bontà che gli ha insegnato la sua famiglia. Ma qualcosa va storto: scoprendo la cosa, i genitori si arrabbiano a cacciano via il cane. Probabilmente Carlo si ricorderà di questa scena quando anni dopo scriverà, in quel capolavoro che è la sua tesi di laurea (La persuasione e la rettorica), una critica durissima dell'”educazione civile“, quel sistema di premi e castighi con il quale si fa del bambino un membro adattato ed irresponsabile (adattato in quanto irresponsabile) della società.
Il bambino è apertura al mondo. Considerarlo un organismo dedito esclusivamente alla ricerca del piacere – un piccolo mostro di egoismo – è uno dei modi per esorcizzare la sua differenza. Questo piccolo narcisista è in realtà un essere capace di guardare le cose e gli esseri con interesse assoluto: sta, etimologicamente, tra e nelle cose. Non ha ancora conquistato lo sguardo dall’alto, distaccato ed analitico, di chi domina, usa, induce a sé.
E’ un soggetto che non è emerso ancora dalla natura, non si è distaccato da essa per studiarla scientificamente e sottometterla attraverso il lavoro. Attraverso l’educazione questo essere che sta tra le cose e gli esseri imparerà l’arte del dominio, si avvertirà signore e padrone, diventerà l’homo faber che trasforma il mondo e ne fa il suo strumento.
Dominatore e al tempo stesso dominato, signore della natura ma schiavo del suo sistema sociale ed economico, manipolato in ogni istante della sua vita, costretto alla produzione ed al consumo compulsivo, riuscirà a salvarsi, forse, solo se si ricorderà di essere stato bambino.
Antonio Vigilante
samantha abis
Ho avuto i brividi leggendo ogni rigo.
Leggendo le verità, e rimboccandomi le maniche perchè il mio bimbo possa esercitare il più a lungo possibile la libertà del suo essere…libero, ti ringrazio.