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Bambino difficile e strategie per aiutarlo a vivere meglio
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Nella parti precedenti di questa intervista, pubblicate le scorse settimane, la dottoressa Probst aveva sottolineato la necessità di considerare ogni bambino “difficile” nella sua unicità, per quanto bizzarra o impegnativa

, e di creare la migliore intesa possibile fra i suoi tratti caratteriali e l’“ambiente” che lo circonda, comprese le personalità dei genitori.

Quindi, prima di temere che nostro figlio sia vittima di qualche disturbo, è bene escogitare strategie pratiche che lo aiutino a gestire i tratti più inusuali o estremi della sua personalità e a soddisfare i suoi bisogni, anticamera per una migliore armonia di vita.

Una delle cose più efficaci che i genitori possono fare è modificare il proprio linguaggio. Descrivete vostro figlio, a voi stessi e a lui, come organizzato anziché ossessivo, curioso della vita anziché uno che si distrae facilmente. Anziché considerarlo schizzinoso, potreste dirgli: “Tu sì che sai quello che ti piace!”. Invece di testardo: “Non sei uno che si arrende!”. È utile per non farlo sentire solo pieno di difetti e rendervi più disponibili e positivi, il che diminuisce la tensione nella relazione a beneficio di tutti.

Si può utilizzare il linguaggio anche per stabilire dei confini ai comportamenti problematici: “Sei il tipo di persona per cui è molto difficile sopportare la delusione (o l’attesa, le pressioni o le tante regole da seguire per fare una certa cosa)”. Così si stabilisce un luogo ben preciso, circoscritto e concreto dal quale iniziare, anziché far sentire il bambino tutto sbagliato e pieno di difetti.

Se, ad esempio, un tratto come la scarsa adattabilità può creare problemi, se ne può parlare in anticipo; citarlo in modo esplicito, fare previsioni e mostrare una curiosità rispettosa per aiutare il bambino a elaborare una strategia: “Ti dà molto fastidio quando gli altri bambini cambiano le regole di ‘ruba bandiera’. Non ti piacciono i cambiamenti, ti sembra che rovinino il gioco. Allora cosa pensi di fare oggi se succede? Hai qualche idea?”

Se vostro figlio ha avuto un’esperienza positiva nell’affrontare situazioni analoghe in passato, ricordategli i successi trascorsi e consideratelo un’esperto in materia: “Ti ricordi come hai affrontato bene le cose quella volta che la pizzeria era chiusa? Qual è stato il segreto del tuo successo?”

Se invece non ha ancora mai reagito bene, offrite suggerimenti come fosse un esperimento. Collaborate con lui in veste di detective o scienziati a caccia di informazioni: “Sai, conosco una strategia che di solito aiuta le persone che amano far restare le cose come sono, vogliamo provare e poi mi dici se ti aiuta?”

Dite a vostro figlio: “Ti piace davvero decidere per conto tuo!”, considerate la questione in anticipo anziché punire il bambino per aver messo in atto il suo desiderio di comandare. Coinvolgetelo nella decisione sul modo di pulire, ad esempio, prima che sia venuto il momento di farlo.

Questo tipo di approccio pratico e rispettoso è molto più efficace del tentativo di mettere in piedi un complicato sistema basato su premi e punizioni! Ricordate che vostro figlio fa sempre del suo meglio date le circostanze e i limiti delle sue risorse personali. Non è questione di premi o punizioni, bensì del potere che dà la conoscenza di sé. L’obiettivo ultimo è aiutarlo a essere felice e realizzato in virtù di ciò che è.

Esistono alcuni principi nodali che sono alla base delle numerose strategie pratiche possibili. Uno di questi è quello di agire d’anticipo e in modo concreto per creare un accordo sulle strategie future. Ad esempio, un bambino che ha difficoltà a percepire il tempo avrà bisogno di un modo per organizzare all’esterno ciò che non riesce a organizzare all’interno. Ditegli:”ancora due discese dallo scivolo”, ossia un’unità di misura basata sull’azione, anziché:”altri cinque minuti e poi andiamo”.

Un bambino che non sia in grado di tollerare il disappunto ha bisogno di un piano d’emergenza preparato in anticipo; ad esempio: “Il mio piano B se non c’è il gelato gianduia è la stracciatella”. Il piano può essere immaginato prima ancora di salire in auto per andare in gelateria, scritto su un foglietto e messo nella tasca del bambino. Le delusioni inaspettate sono le più difficili da tollerare ma la strategia del piano B sarà accolta con maggior favore se la si è già praticata in altre circostanze.

Un bambino con una capacità attentiva di dieci minuti avrà bisogno di una pausa pianificata dopo otto minuti.

A un bambino che abbia bisogno di stare al comando e che si arrabbia quando non può farlo serve un modo per esercitare al sicuro il suo potere entro confini spazio-temporali ben precisi. Su cosa è in grado di esercitare un controllo? Possiamo dargli una monetina magica da “spendere” ogni giorno per qualcosa di cui può essere il “capo”? Questo gli insegnerà a compiere delle scelte e a saperle rispettare. Ricordate: se il solo potere concesso a un bambino dalla volontà forte è quello del rifiuto, lo userà di certo.

Una volta afferrato il concetto che tutto dipende dal tipo di bambino che abbiamo di fronte, diventa molto più semplice essere efficaci.

Un altro principio importante è quello del mostrare al bambino che abbiamo capito. Non cercate di farlo sentire meglio dicendogli “non è niente!” perchè per lui le cose non stanno così, tantomeno negando ciò che sente. La realtà e il temperamento di un bambino che si sente ferito o arrabbiato quando viene ignorato e respinto devono essere rispettati. Se negate o ignorate il suo vissuto penserà che state mentendo o che non vi importa di lui, o entrambe. È meglio dire: “So quanto ti faccia soffrire”.

Tenete in considerazione il suo temperamento. È il tipo di persona che sta meglio tuffandosi in nuove attività o restando da solo in uno spazio tranquillo? Tende a rimuginare e perciò ha bisogno di un diversivo per interrompere il circolo vizioso o è incline a seppellire i propri sentimenti e ha bisogno di aiuto per portarli in superficie?

Troppo spesso, purtroppo, finiamo per ricompensare un bambino per non essere stato se stesso. Chi ha bisogno di muoversi e toccare, ad esempio, potrebbe essere lodato quando non lo fa, anziché escogitare un modo sicuro per venire incontro ai suoi bisogni di movimento e contatto. E poi ci sorprende il fatto che lo stesso bambino diventi ansioso, depresso o ostile.

Bisogna prendere le mosse dal punto in cui è fattibile un’azione di successo e iniziare a costruire da lì. Abbassare la dose necessaria con gradualità può essere un modo efficace per aiutare un bambino a gestire il suo bisogno di muoversi, essere lodato, comandare e via dicendo.

Certo, esistono bambini le cui difficoltà vanno al di là di un inusuale tratto caratteriale o di una scarsa sintonia fra temperamento e ambiente. Ignorare una situazione seria sarebbe altrettanto sbagliato che eccedere con le diagnosi. Se definiamo “bipolare” ogni adolescente umorale o consideriamo affetto da deficit di attenzione ogni bambino irrequieto della scuola materna, non facciamo che sminuire la reale e intensa sofferenza di coloro che meritano di fatto queste etichette.

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Decidere se un bambino abbia delle difficoltà persistenti che oltrepassano i confini delle particolarità caratteriali è un processo complesso. Ricordiamo, peraltro, che non esistono test oggettivi per nessuna di queste diagnosi, non siamo di fronte a patologie come l’asma o il diabete; la determinazione è sempre di natura soggettiva. I criteri di giudizio si affidano in modo pesante a definizioni quali ”frequentemente” o “spesso”, nonché a questionari compilati dagli adulti anziché a una relazione fatta dal punto di vista del bambino.

Ma se le difficoltà persistono nonostante le strategie per ridurre lo stress e massimizzare l’adattamento, se si presentano in una vasta serie di corcostanze e causano disagi e impedimenti significativi, potrebbe essere sensato cercare una valutazione esterna.

È anche importante ricordare che un bambino potrebbe aver bisogno di aiuto pur non rientrando nei criteri di una diagnosi ufficiale per disturbo mentale.

Lavorando con lui è spesso più significativo concentrarsi sui tratti distintivi del problema anziché sul tipo formale di diagnosi effettuata, tratti che non sempre corrispondono a voci specifiche sulla lista ufficiale dei sintomi. Ad esempio “non ha la percezione del tempo” e “è un perfezionista” non sono sulla lista di nessuna delle categorie mentali o educative, pur essendo problemi comuni.

È di vitale importanza continuare a contestare l’assunto per cui “difficile” o “diverso” voglia dire “disturbato”! È necessario rifiutare l’idea che ogni bambino faticoso da gestire o che non si adatta abbia un problema psichiatrico.

Molti bambini attraversano periodi difficili o sembrano estremi, eccentrici, provocatori e immaturi in diversi momenti del loro sviluppo, ma questo non vuol dire che abbiano una malattia che va curata, che debbano ricevere farmaci o che la loro personalità debba essere ridotta solo a tali aspetti.

Dobbiamo porci le domande giuste. Anziché tentare di immaginare se un bambino abbia un deficit di attenzione, la sindrome di Asperger o un disturbo bipolare, è bene tenere da parte le etichette, focalizzarci sulla comprensione di ogni aspetto e individuare dei luoghi specifici in cui il cambiamento sia possibile.

È necessario identificare la causa del problema (di solito bisogni insoddisfatti, squilibri e disarmonie anziché qualcosa di intrinsecamente sbagliato o mancante nella costituzione del bambino) prima di cercare la soluzione in approcci generici. Dobbiamo perfezionare tutte le strategie a misura dei tratti e bisogni specifici del bambino, prendendoci la responsabilità anche delle nostre necessità di adattamento. Non possiamo chiedere ai bambini di fare tutto il lavoro.

Traduzione dell’inglese di Michela Orazzini

tratto da www.theattachedfamily.com

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