Una delle prime prove che la vita chiede di affrontare è quella della separazione tra mamma e bambino. Non mi soffermerò sulla prima separazione per eccellenza, qual è quella che avviene al momento della nascita, ma su ciò che avviene nel momento in cui la mamma, rientrando al lavoro, dovrà affidare a mani estranee il proprio figlio.
Il bebè passerà alcune ore della giornata in un ambiente non conosciuto e non familiare, quando inserito al nido o affidato ad una Tagesmutter, e si occuperanno di lui una o più persone con le quali non ha legami di parentela e rapporti affettivi.
È possibile che si occuperà del bambino la nonna o un familiare, come ad esempio una zia o una cugina, ma si tratta ancora una volta di persone “estranee” al bambino nella misura in cui ognuna di loro, vivendo in una propria abitazione, si sostituisce alla madre quando questa va a lavorare e difficilmente trascorre del tempo insieme a lei e al bambino.
Pur facendo parte della famiglia, è frequente che queste donne non abbiano tante occasioni per condividere attività quotidiane fra di loro o per stare al fianco della madre per sostenerla, a meno che non condividano l’abitazione. Nella maggior parte delle situazioni, infatti, i nonni vivono in un proprio appartamento, talvolta distante dal quartiere in cui vive il nipote. Ed è anche per questo motivo che sono presenti solo quando c’è da occuparsi del bambino, in un susseguirsi di ritmi scanditi dagli orari di lavoro: entra la nonna in casa ed esce la mamma. E alla sera, rientra la mamma dal lavoro e la nonna se ne torna a casa sua.
Il tempo condiviso è poco, anche perché la nonna avrà da occuparsi della propria casa, fare la spesa, preparare i pasti, tutto questo dopo aver avuto cura della casa di un’altra persona ed aver accudito un bebè non suo. Quando è il bambino ad essere portato a casa dei nonni, gli verrà chiesto di familiarizzare oltre che con delle persone “nuove” anche con un ambiente fisico diverso e con abitudini familiari differenti.
La “sostituta” della mamma potrà essere una baby sitter, e in questo caso mentre l’ambiente nel quale il bambino trascorrerà il suo tempo gli sarà familiare lo stesso non si potrà dire per la figura di accudimento. Anche in questo caso la compresenza sarà limitata al periodo di prova. A differenza del familiare che fa parte della vita del bambino anche quando non è più richiesto il suo aiuto, la baby sitter non rimane a lungo in famiglia. Talvolta se ne alternano più di una nell’arco di un breve periodo di tempo, ed il bambino può faticare a stabilire un vincolo affettivo con una persona dalla quale, purtroppo, si separerà presto.
In ogni caso, che sia la nonna, lo zia o la baby sitter ad occuparsi del bambino, ognuna di loro avrà ricevuto istruzioni ma raramente saprà cosa fa la mamma quando è con il suo bambino, poiché le occasioni di osservarli insieme saranno limitate in virtù della sostituzione e di quell’alternanza di figure di cui parlavo sopra, che fa sì che il bambino abbia sempre una sola persona accanto a sé.
Facciamo un passo indietro.
Nel passato questa era una situazione che si verificava raramente e la socializzazione dei bambini avveniva in seno alla famiglia allargata e al vicinato, e quindi all’interno della società. Col tempo sono venuti meno i legami di consanguineità, di parentela acquisita, di amicizia e di vicinato, attraverso i quali la famiglia era messa in rapporto. E mentre i genitori si ritrovavano sempre più isolati, sempre più dominava la concezione che il soddisfacimento dei bisogni affettivi dei membri della famiglia dovesse avvenire esclusivamente nell’ambito del nucleo familiare stesso.
A partire da una realtà nella quale i bambini avevano la possibilità di entrare in relazione con tanti adulti oltre che con i bambini più grandi, si è giunti a una realtà spesso totalmente differente.
Il cambiamento è conseguenza di una diversa strutturazione della comunità: gli altri membri della famiglia sono spesso assenti e i rapporti con il vicinato sono ridotti. I nonni sono spesso lontani fisicamente ed anche quando sono vicini la differenza di età fra loro e i nipoti è aumentata, al punto che spesso non c’è la possibilità di assumersi un impegno fisico così esigente come quello richiesto dalla cura dei bambini.
Al giorno d’oggi è evidente che solo raramente i bambini partecipano, come nel passato, alla vita quotidiana degli adulti. Ed è altrettanto evidente come siano aumentate le proposte di attività specificamente rivolte solo ai bambini, anche a quelli molto piccoli, per favorirne la socializzazione. Carlos Gonzàles (2014) osserva come “Alla fine del ventesimo secolo è stata suggerita l’idea secondo cui il modo migliore per far socializzare un bambino è separarlo dalla società e dalla famiglia, e metterlo in una stanza con altri dieci bambini che non parlano e un unico adulto (di solito una donna) che dice solo cose per bambini” (1).
Mi auguro che la lettura di questo articolo possa offrire un’occasione di riflessione sull’argomento.
Il compito degli adulti è quello di sostenere la crescita dei bambini per favorire il loro futuro benessere.
Oggi è riconosciuta l’importanza cruciale del primo periodo della vita rispetto al successivo sviluppo di ogni essere umano. Evidenziando l’originalità di ogni individuo, si cerca di favorire nei bambini lo sviluppo delle proprie capacità in base ai propri ritmi e all’interno di un percorso del tutto personale. Per questo motivo è importante offrire al bambino la possibilità di fare esperienza di un ambiente che possa sostenere adeguatamente lo sviluppo sensomotorio, affettivo e cognitivo.
Come scrive Grazia Honegger Fresco (2007) “Il compito di un educatore della prima infanzia è quello di saper vedere in tutti i suoi aspetti la peculiarità della crescita iniziale, senza la quale si rischia di perdere di vista l’esistenza umana”(2)
Prima di affidare i propri bebè ad altre persone, indipendentemente dal fatto che siano membri della famiglia o meno, i genitori potranno chiedersi se riconoscono il carico di responsabilità di chi si occuperà del bambino durante la loro assenza.
Può essere utile, per il genitore che deve scegliere la persona alla quale affidare il proprio bambino, conoscere l’importanza assunta dall’ambiente e dalle persone presenti in quell’ambiente nel determinare la realtà interna di un neonato. Un ambiente che deve essere, come scrive Winnicott (1976) “sufficientemente buono”(3), ovvero deve assicurare quegli aspetti della fiducia, della sicurezza e della continuità che secondo Grazia Honegger Fresco (2007) “nel bambino si costruiscono come vissuti profondi attraverso la percezione ripetuta del fare degli adulti che hanno cura di lui”(4).
Separarsi dalla madre per essere affidato ad un’altra persona non è una scelta del bambino, dal momento che la decisione è presa dai genitori ed è esclusivamente loro il compito di assicurare al figlio un’esperienza che non gli procuri sofferenza.
Affinché il bambino possa vivere al meglio il fatto di essere lontano da casa e affidato a mani estranee è fondamentale non avere fretta e non cercare di accelerare i tempi. Far proprio l’ambiente dal punto di vista biologico, psicologico, emotivo, sensoriale e cognitivo, è una prova pesante per un bambino ed è importante riconoscere la grande fatica che egli vive anche nella situazione migliore. Ben venga, quindi, tutto ciò che può favorire un nuovo ambientamento.
Per concludere, ricordiamoci sempre che, come scrive Isabelle Filliozat: “Un bambino non è un pacchetto da depositare e poi riprendere, è una persona che ha il diritto di esprimere le sue emozioni”(5).
Erika Vitrano
Note:
1. Carlos Gonzàles, Genitori e figli insieme, Il leone verde, 2014
2. Grazia Honegger Fresco, Un nido per amico, Edizioni La Meridiana, 2007
3. D. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, 1976
4. op. cit.
5. Isabelle Filliozat, Le emozioni dei bambini, Pickwick 2014