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L’estinzione del pianto nel sonno dei bambini
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Il pianto “controllato” applicato per il sonno dei bambini, ossia il lasciar piangere il bambino con il proposito di farlo addormentare da solo, è un cosiddetto metodo dell’estinzione del pianto, con cui si pone fine al richiamo programmato dalla biologia dei piccoli di mammifero per chiedere aiuto, nutrimento, idratazione, sostegno e conforto fisico e affettivo.

“Vomitare un po’ non ha mai fatto male a nessuno!”

Mentre è a Philadelphia per lavoro, Gabriel va a trovare sua cugina Janet.

“Ce l’hai fatta!”, osserva Janet con gioia, e lo abbraccia con un braccio solo, nell’altro tiene suo figlio Tyler di cinque mesi.

Trascorrono due ore. Gabriel, Janet e suo marito Keith hanno molto da raccontarsi a cena e ogni tanto, durante la conversazione, Gabriel gioca a bu-bu-settete con il bavosetto di cinque mesi.

All’improvviso, Janet dice: ”Bene, sono le sette e mezza, per Tyler è l’ora della nanna.” Solleva il piccolo dalla sdraietta variopinta su cui ha trascorso gran parte della serata e lo porta verso la sua cameretta decorata ispirandosi al football.

Gabriel e Keith prendono una birra fresca e se ne vanno in soggiorno. Keith accende la TV e dopo cinque minuti Janet li raggiunge. “Bè, è stato facile”, afferma con un sorriso, poi si siede sul divano accanto a Keith, prende il telecomando e alza il volume.

Ecco che immediatamente Tyler inizia a strillare; grida al punto che nessun frastuono pubblicitario potrebbe coprire le sue urla. Potrebbe mandare un vetro in frantumi. Gabriel si alza con un sussulto e il cuore in tumulto.

“Niente paura”, borbotta Keith mentre poggia i piedi su una poltrona. “Benvenuto nella terra dell’“Imparo a dormire da solo”; il dottore ci ha spiegato che potrebbe volerci un po’ di tempo, ma Tyler deve imparare. Tanto alla fine si addormenta sempre.”

Gabriel lancia uno sguardo incredulo a Keith: “Cos’è che deve imparare per l’esattezza?”. Le urla di Tyler sottolineano ogni parola.

Deve imparare che non arriviamo ogni volta che piange. In questi primi mesi Janet lo ha viziato tantissimo”, e prosegue: “ma siamo noi che comandiamo, siamo noi i genitori, deve imparare qual è il suo posto.”

“Si chiama autoconsolazione”, aggiunge Janet, “non che mi piaccia molto, e poi non sopporto quando vomita. Ma il pediatra ci assicura che è una parte necessaria e normale dell’essere genitori.”

“Vomita?”, chiede Gabriel preoccupato.

“Abbiamo investito in tappi per le orecchie super tecnologici”, ride Keith, “e poi vomitare un po’ non ha mai fatto male a nessuno.”

“Sì, ma non sei tu che devi pulire dopo…” e Janet dà una gomitata non proprio scherzosa al marito.

Gabriel ascolta i neogenitori che giustificano la loro inazione verso il più fondamentale degli impulsi naturali e non c’è nulla che in una situazione simile abbia la pur minima parvenza di normalità. “State dicendo che lo lasciate piangere di proposito pur sapendo che vomiterà dallo stress?”, e fissa sua cugina. Lei arrossisce e si volta dall’altra parte. “Perchè non guardiamo lo spettacolo?” propone Keith con tono brusco e alza di nuovo il volume.

Trascorrono quindici minuti.

Tyler continua a piangere, ma ora è un pianto pieno di disperazione; ha abbandonato ogni speranza di ottenere una risposta dai genitori, i suoi lamenti sono disperati, sfiniti, strazianti.

Gabriel non riesce a concentrarsi: ”Devo andare”, e si alza di scatto, “sono stanco, ho una riunione presto domattina.”

“Alla prossima” gli risponde Keith in tono freddo senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

Janet accompagna il cugino alla porta: “Tutto bene?”, chiede a bassa voce.

“Senti, Tyler non è mio figlio e non ho mai fatto addormentare un neonato, ma non posso tollerare il suo pianto un minuto di più. Mi dispiace.” Gabriel si volta verso di lei: ”Ti chiamo domani”.

Mentre Gabriel si allontana, il corpicino di Tyler, madido di lacrime e sudore, è ben presto sfinito dal pianto incessante di terrore, rabbia e disperazione. Un meccanismo di autoconservazione fa sì che il suo lato cosciente venga messo a tacere e il piccolo piomba in un sonno forzato.

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Cos’è il Cry-It-Out (CIO)

Se il bambino vomita è il momento più difficile nella gestione del pianto controllato e dovrete essere forti e determinati per evitare di prenderlo in braccio e consolarlo. Ma cercate di resistere, altrimenti non farete che prolungare il processo e la sua sofferenza. Cercate di essere calmi e efficienti mentre cambiate le lenzuola…non parlate al piccolo e fate in fretta, così da non alimentare la sua speranza di essere coccolato e nutrito.”

– Dott.ssa Caroline Fertleman e Simone Cave, Your Baby Week by Week: The ultimate guide to caring for your new baby.

È certo che, come cultura, facciamo ben poco per sostenere i neogenitori. Enormi equivoci e pregiudizi abbondano anche fra i professionisti a proposito di quali dovrebbero essere i normali ritmi di sonno nei neonati e nella prima infanzia. Non esistono congedi parentali federali e l’intera popolazione adulta è afflitta dal superlavoro e dalla carenza di sonno. Non meraviglia che “insegnare a dormire” a neonati e bambini ai primi passi sia diventato un fenomeno tanto popolare. Come per i dibattiti sulla circoncisione, le punizioni corporali e le vaccinazioni, la questione se lasciar piangere o meno i bambini con lo scopo di “insegnar” loro a dormire da soli è motivo di profonda divisione fra i genitori americani.

Il “pianto controllato” è un “metodo dell’estinzione”, con cui si “estingue”, si pone fine al richiamo programmato dalla biologia dei piccoli di mammifero per chiedere aiuto, nutrimento, idratazione, sostegno e conforto fisico e affettivo. Reso popolare dal dottor Richard Ferber nel suo libro del 1985, Solve Your Child’s Sleep Problem, il metodo del pianto controllato era sostenuto però già da prima. Nel suo classico del 1946, Baby and Child Care (molto diffuso e noto anche in italia – N.d.T), il Dr. Benjamin Spock consigliava ai genitori di “dare la buonanotte in modo affettuoso ma fermo, uscire dalla stanza e non tornare sui propri passi.”

Questo approccio del “non tornare sui propri passi” descrive in modo perfetto il pianto controllato nella sua forma tutt’ora inalterata di “estinzione totale”. Alcuni pediatri, sostenitori del metodo, consigliano ai genitori di chiudere la porta del neonato o del bambino molto piccolo e di non aprirla di nuovo finché non siano trascorse buone dodici ore. L’unico avvertimento è quello che prevede di assolvere ai propri doveri notturni di genitori nel caso in cui il piccolo sia malato. Tuttavia, vomitare a causa dello stress dovuto all’abbandono notturno non costituisce un segnale di malessere fisico e i genitori sono esortati a pulire con prontezza senza toccare il bambino o far mostra delle proprie emozioni.

Nella sua forma modificata, il metodo del pianto controllato prevede che i genitori lascino piangere il bambino da solo finché non si addormenta, ma facendo capolino nella sua stanza a intervalli regolari e sempre meno frequenti. L’intento di tali visite è quello di persuadre il piccolo, a parole o con un contatto fisico minimo, che la manifestazione notturna di sofferenza, sete o paura non porterà al conforto desiderato.

In entrambe le varianti del metodo il neonato o il bambino piccolo vengono lasciati ripetutamente da soli per addormentarsi. Col tempo, man mano che la relazione di attaccamento con i genitori o chi si prende cura di loro si deteriora, imparano a non segnalare più il proprio disagio. I sostenitori del metodo fraintendono la condizione di distacco che ne risulta con un apprendimento all’“autoconsolazione”, il che è palesemente falso.

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Studi recenti, condotti dall’Univesità del North Texas, mostrano in modo chiaro che i livelli di cortisolo dei neonati lasciati soli a piangere fino allo sfinimento restano innaturalmente alti anche giorni dopo aver imparato a smettere di piangere per chiedere aiuto. D’altro canto, i livelli di cortisolo delle madri – alti in modo abnorme quando il bambino piange – tornano alla normalità con il silenzio. A questo punto, la madre ha perduto la propria sincronia biologica con il figlio, pertanto suppone che tutto vada bene e interpreta il silenzio del bambino come prova che il piccolo abbia imparato ad autoconsolarsi. Eppure, per la fisiologia del neonato l’autoconsolazione è impossibile. Il pianto controllato gli insegna piuttosto a vivere il proprio terrore in silenzio e a distaccarsi dalle persone in cui per natura avrebbe dovuto riporre la propria fiducia.

Sarah Ockwell-Smith, psicoterapeuta, doula e autrice del libro di prossima pubblicazione nel Regno Unito The Gentle Sleep Book: A Guide for Calm Babies, Toddlers and Pre-Schoolers, afferma che il tentativo errato di indurre un neonato all’autoconsolazione svii moltissimo i genitori. Scrive: “Quello che è certo nel modo più assoluto è che non state lasciando il vostro bambino a “consolarsi”, bensì a disperarsi, anche se è solo per non più di due minuti per volta…è possibile insegnare a un neonato o a un bambino piccolo a non chiamare i genitori quando ne sente il bisogno? Sì, è possibile, ma non è certo compatibile con un bambino felice, tranquillo e confortato.”

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Dire basta al pianto controllato è un imperativo morale

I bambini nascono con un cervello sviluppato solo al 25%. Nei primi due anni di vita il cervello dei neonati cresce rapidamente, fino al 70% della sua misura da adulto. Si stabiliscono centinaia di migliaia di miliardi di connessioni neurali e si sviluppano miliardi di cellule nervose. È un’orchestrazione biologica magistrale che richiede grandi quantità di sonno REM. I neonati trascorrono gran parte delle ore notturne nella fase di sonno REM (molto più degli adulti) e questo contribuisce ai frequenti risvegli e ai noti schemi di sonno leggero. Per quanto possano essere frustranti per i genitori, questi schemi sono in realtà salutari per il bambino. Durante il sonno REM vengono sintetizzate alcune proteine chiave cruciali per la formazione delle cellule nervose, nello stesso tempo il flusso sanguigno verso il cervello raddoppia. Pensate che i bambini prematuri trascorrono il 90% del loro sonno in fase REM.

…Pur non ricordando a livello conscio come siamo stati trattati nei primi anni di vita, i primi tre anni sono vitali per lo sviluppo di quella memoria implicita su cui si fonderà il nostro sentire in relazione ai rapporti con gli altri, alla fiducia e all’amore. Di fatto, l’85% dei percorsi neuronali legati al modo in cui rispondiamo al mondo e lo interpretiamo si formano nei primissimi anni del nostro sviluppo. Una genitorialità attenta e sensibile, soprattutto nei primi tre anni, è correlata al successo e alla felicità future nella vita sociale e professionale. Eh già, il modo in cui i neonati e i bambini piccoli vengono trattati importa, e importa moltissimo!

…Nel numero del luglio 2014 della rivista “Parents magazine”, si diceva ai lettori che “qualsiasi metodo per addormentare i bambini fosse per loro il più comodo, sarebbe andato senz’altro bene.” Tuttavia, ai genitori spetta la responsabilità di essere certi che le pratiche cui si affidano non siano dannose per i propri figli. Un crescente numero di studi rivisti dalla comunità scientifica internazionale asserisce con chiarezza che il pianto controllato danneggia il normale sviluppo cerebrale e lede la capacità del bambino di sviluppare un attaccamento sicuro, condizione essenziale per poter coltivare l’empatia, comportamenti altruisti e relazioni future sane e di lunga durata. Il pianto controllato è quindi tutto tranne che un bene.

…Tutto nella fisiologia del neonato lo lega alla madre o a chi se ne prende cura. Le ricerche condotte dal professor James McKenna dell’Università di Notre Dame analizzano il sonno condiviso fra madri e neonati, nonché la loro relazione di allattamento nel corso della notte. I neonati si rivolgono in modo naturale alla madre, non solo per essere allattati, ma anche per regolare il respiro, il battito cardiaco e il proprio benessere psicofisico.

Scrive McKenna: “Se possono scegliere, i neonati preferiscono di gran lunga il corpo della madre al contatto solitario con un materasso foderato di cotone”.

Essere separato in modo forzato dai suoni, dagli odori e dalla presenza dell’unico habitat che un neonato abbia mai conosciuto già di per sé innesca la paura. Ma è una vera tortura essere ignorato quando i segnali di sofferenza si ripetono fino al punto in cui per poter sopravvivere il suo corpicino fisiologicamente viene messo a tacere.
…l’augurio è di riuscire a far sì che un giorno l’estinzione del pianto sia considerata alla stessa stregua dell’antica pratica cinese dei Gigli d’oro (la deformazione delle ossa del piede nelle bambine): arcaica, dannosa e relegata solo alle pagine di storia.

Traduzione dall’inglese di Michela Orazzini

tratto da Philly Voice e scritto da Amy Wright Glenn

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