Il gioco è un’esperienza quotidiana per il bambino: è puro svago, scelta libera. È separato dalla realtà, ma fondante per essa. È fondamentale per lo sviluppo e ne favorisce la crescita armoniosa e sana.
Attraverso il gioco si possono ristrutturare i contenuti della realtà in maniera più libera, codificare gli apprendimenti, sperimentare nuovi ruoli, proiettare energia verso l’esterno, ma con delle regole che ne delimitano l’area.
Come un bambino gioca può rappresentare anche un ottimo punto di osservazione per capire se sta bene con se stesso e con gli altri.
Il fanciullo che vive un momento sereno, fiducioso ed è sicuro affettivamente, gioca e lo fa con piacere. Ha la capacità di cambiare in modo alternativo i dati o gli elementi che ha a disposizione (gioco creativo) e sa giocare da solo e in compagnia.
Le situazioni invece in cui si può rintracciare una qualche forma di disarmonia, anche se spesso transitoria, sono quando ad esempio il bambino ha un buon coinvolgimento di gioco con gli altri, ma non sa giocare da solo. Cerca pertanto di ricreare situazioni simbiotiche privilegiate. Oppure quando gioca isolato e sta fortemente ai margini. In questo caso ha il timore dell’altro, avverte in esso un pericolo e non la possibilità di complicità. Sono bambini che temono anche le situazioni nuove.
C’è poi la fase del “compagno di gioco immaginario“. C’è da dire che è abbastanza nella norma nella fascia d’età dai 6 agli 8 anni. Il compagno immaginario rappresenta una parte del sé, che contiene i bisogni del bambino di quello specifico momento e lo aiuta a superare eventuali situazioni difficili.
Se l’amico immaginario non è eccessivamente presente, portandolo a rinunciare alle relazioni con altri bambini reali e la situazione non si protrae a lungo nel tempo, può rivelarsi positivo. Favorisce lo sviluppo cognitivo, dando voce a punti di vista diversi, ed emotivo, perché il compagno immaginario funge da compensazione o difesa per situazioni che il bambino può vivere come conflittuali. Quando la situazione esterna al bambino risulta più tranquilla o elaborata, l’amico immaginario scompare da solo.
Ricordo molto bene che mio figlio Andrea ha avuto un amico immaginario di nome Max per qualche tempo. La comparsa di Max è coincisa con un trasloco, non solo di casa ma anche di paese, che lo ha visto costretto a rinunciare alla vicinanza di alcuni amichetti a cui era molto legato e ai nonni che vedeva giornalmente. Sempre nello stesso periodo nasceva la sorellina, dopo otto anni in cui felicemente viveva la condizione di figlio unico. Max è stato con noi qualche mese. Andrea era consapevole che fosse il prodotto della sua fantasia, ma ne aveva bisogno: lo tranquillizzava, gli faceva compagnia nella casa nuova e nel paese dove ancora non conosceva nessuno. Ringrazio Max per avere aiutato mio figlio in un momento tanto delicato della sua vita!
Poi ci può essere il bambino che non gioca o gioca troppo poco. È un’eventualità che indica inibizione, la quale si può manifestare con modalità diverse e con diverse intensità fino ad arrivare al rifiuto assoluto del gioco. Ci possono essere anche delle forme di rifiuto o resistenza per alcuni tipi di gioco, come per esempio quelli di movimento o bambini che giocano solo se stimolati da altri o ancora fanciulli che preferiscono giochi con regole fisse o vogliono giocare in maniera estremamente ripetitiva solo alcune attività.
In genere questi sono soggetti iper-controllati nelle loro funzioni, iper-adattati all’ambiente esterno (i classici “bravi bambini”). In realtà sono ragazzini che mancano di contatto con le proprie emozioni ed hanno una fantasia limitata, anche se spesso sono molto maturi sul piano intellettivo e si impegnano molto nello studio.
Può essere che alla base ci sia una mancata strutturazione della fiducia in sé, per cui il soggetto si adegua in maniera eccessiva all’ambiente esterno per essere accettato.
Poi ci sono i giocatori irrequieti, che non vanno confusi con quelli motori. Sono bambini che ricercano un ritmo del gioco sempre frenetico, si eccitano compulsivamente giocando, ma senza provare un vero piacere, tant’è che abbandonano l’attività senza portarla a compimento. Risultano essere bambini iperattivi, che nascondono una grossa dose di ansia che cercano di dominare con una costante azione non finalizzata. Cercano continuamente rassicurazione e contenimento da parte degli adulti, anche provocando punizioni. Possono presentare che disturbi del sonno.
Infine ci sono i giochi aggressivi, che sono giochi bellici con le armi. Servono ad elaborare un’aggressività subìta, alleggeriscono le tensioni interne, compensano sensazioni di debolezza, del tipo “non ci riesco”, “non sono capace”. Questo tipo di gioco può avere anche una funzione terapeutica, perché svolge un ruolo catartico, liberatorio. Permette ai bambini di vivere la propria aggressività “per finta”.
L’aggressività è una condizione che appartiene a tutti e deve trovare un modo socialmente accettabile per esprimersi, senza essere negata. Giocare con delle armi finte rappresenta la capacità di difendersi, anche da sé, per cui è positivo. Ricordo una mamma, che durante un mio incontro sul gioco, affermò di negare al figlio la possibilità di giocare con delle pistole giocattolo che lui tanto desiderava, per timore che sviluppassero la sua aggressività. In quella occasione l’avevo consigliata di lasciare vivere a suo figlio le pulsioni aggressive per permettergli di liberarsene, inibire non può mai essere una soluzione, in nessun caso e per nessun gioco.
L’aggressività agita attraverso il gioco può diventare un campanello d’allarme solo quando è distruttiva, scarsamente controllata ed eccessivamente ripetitiva. In questo caso allora è bene interrogarsi sul disagio intrapsichico che riguarda il bambino, spesso “vittima” di un ambiente iperprotettivo o eccessivamente formale.
Il gioco in definitiva può assolvere anche la funzione di importante punto di osservazione su quello che risulta essere il mondo interiore del bambino nel momento. Non ci si deve allarmare, impedendo al proprio figlio di giocare, ma interrogarsi sulla situazione che la famiglia vive ed adottare tutti gli accorgimenti necessari per superare insieme ansie, frustrazioni e cambiamenti.
Claudia Ferraroli – pedagogista clinica e autrice di libri per bambini. Curatrice del blog claudiaferraroli.it