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Sappiamo amare i nostri figli in modo incondizionato?
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È possibile che i nostri sistemi educativi siano in contraddizione con gli obiettivi a lungo termine che ci prefiggiamo per i nostri figli, ed è possibile rilevare un’incongruenza tra i metodi […] e le nostre più profonde convinzioni. In entrambi i casi sarebbe forse utile rivedere il nostro operato nei confronti dei figli. Tuttavia l’approccio condizionato non si esaurisce nella valutazione di princìpi e presupposti, ma nel momento in cui si vanno a valutare le conseguenze reali che questo tipo di educazione ha sui bambini.

Quasi mezzo secolo fa lo psicologo Carl Rogers rispose all’interrogativo: “Che cosa accade quando l’amore di un genitore dipende dal comportamento dei figli?”. Rogers risponde che i destinatari di questo amore prenderanno a negare le parti di sé che non vengono apprezzate, arrivando infine a considerarsi degni solo agendo (pensando o sentendosi) in determinati modi. Si tratta, in sostanza, dell’anticamera della nevrosi – se non peggio. Una pubblicazione dell’Irish Department of Health and Children (diffusa e adottata presso molte organizzazioni internazionali) illustra, attraverso dieci esempi, il concetto di “abuso emotivo”. Al secondo punto, subito dopo “costanti critiche, sarcasmo, ostilità o colpevolizzazione” si legge “amore condizionato da parte del genitore, il cui affetto nei confronti del figlio dipende dal comportamento e dalle azioni di quest’ultimo”.

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Se interrogati, gran parte dei genitori risponde di amare i figli ovviamente in modo incondizionato, indipendentemente dai metodi che io (e altri autori) consideriamo problematici. Alcuni di loro arrivano persino a dire di punirli secondo tali modalità proprio perché li amano. Vorrei allora tornare su una considerazione. I sentimenti che proviamo per i nostri figli non hanno la stessa importanza del modo in cui essi vivono questi sentimenti e considerano la maniera in cui vengono trattati. Gli insegnanti ci ricordano che in classe non conta tanto cosa viene insegnato, ma quello che viene appreso. E lo stesso vale in famiglia: l’importante è il messaggio che i figli ricevono, non quello che pensiamo di aver trasmesso.

I ricercatori che si occupano di studiare gli effetti dei diversi metodi educativi hanno trovato non poche difficoltà nel trovare un sistema che individuasse e valutasse che cosa in effetti accada tra le mura domestiche. […]

Tuttavia il punto non è stabilire chi abbia ragione, pressoché impossibile quando sono in gioco i sentimenti, piuttosto definire a quale prospettiva corrispondono gli svariati effetti registrati nel bambino. […] In questa sede voglio semplicemente sottolineare che quello che pensiamo di fare (o giureremmo di non fare) come genitori non è tanto importante, in termini di effetti sui nostri figli, quanto il loro vissuto rispetto a questo.

Nel corso degli ultimi anni si è registrato un boom di ricerche sull’amore condizionato, il cui prodotto più significativo risulta essere una pubblicazione del 2004. Si tratta di uno studio che ha preso in esame oltre un centinaio di studenti universitari, a cui è stato chiesto se il bene loro dimostrato dai genitori variasse a seconda di quattro possibili fattori: se, da bambini, erano stati (1) bravi studenti, (2) molto impegnati nello sport, (3) molto rispettosi verso il prossimo, (4) bravi a reprimere sentimenti negativi quali la paura. Inoltre è stato loro chiesto se di fatto avessero la tendenza ad assumere quel genere di comportamenti (quali, ad esempio, reprimere i propri sentimenti o preparare gli esami al meglio) e come fosse il rapporto con i genitori.

La ricerca ha rivelato che il ricorso all’amore condizionato contribuiva almeno in parte a ottenere i comportamenti auspicati. I bambini che ricevevano l’approvazione dei genitori solo in base a determinati atteggiamenti finivano con maggior probabilità per assumere quegli stessi atteggiamenti – anche all’università. Tuttavia il prezzo di una tale modalità risultava molto alto: primo, gli studenti convinti di essere amati dai genitori in modo condizionato finivano più spesso per sentirsi rifiutati e, di conseguenza, per provare risentimento e avversione nei loro confronti.

È facile immaginare come, alla stessa domanda, i genitori in questione avrebbero risposto: “Non so proprio come mio figlio possa pensarla così! Gli voglio bene sempre e comunque!”. Le versioni ascoltate sono risultate loro così diverse – e scomode – solo perché i ricercatori hanno deciso di intervistare quegli “ex” bambini direttamente. Molti di loro sentivano di ricevere molto meno affetto se non riuscivano a soddisfare le aspettative dei genitori, o se non obbedivano – proprio gli studenti che avevano rapporti tesi con la famiglia di origine.

Per maggiori conferme, è stato condotto un ulteriore studio in cui si prendevano in esame oltre un centinaio di madri con figli grandi. Anche in questo caso l’amore condizionato è risultato deleterio: le madri che, da bambine, avevano percepito di essere amate dai genitori solo quando riuscivano a soddisfarne le aspettative, da adulte avevano una minor stima di sé. Tuttavia dimostravano una spiccata tendenza a riproporre gli stessi metodi una volta diventate genitrici. Quelle madri riversavano un affetto condizionato “sui figli nonostante i risvolti negativi che tale metodo aveva avuto su di loro”.

Benché si tratti – a quanto mi risulti – del primo studio a dimostrare come i metodi educativi legati all’amore condizionato vengano tramandati ai figli, ulteriori prove a conferma dei risvolti negativi di tale approccio sono state raccolte anche da altri psicologi. […] Un gruppo di ricercatori dell’Università di Denver, ad esempio, ha dimostrato come gli adolescenti che avvertono l’obbligo di soddisfare determinati requisiti per potersi guadagnare l’approvazione dei genitori spesso finiscono per non apprezzarsi. Questo, a sua volta, può spingere un adolescente a costruirsi un “falso sé” – in altri termini, a fingere di essere la persona che mamma e papà amano. La disperata ricerca di approvazione spesso comporta depressione, disperazione, e la tendenza a perdere il contatto con il proprio sé autentico. In certi casi l’adolescente arriva a non riconoscere più chi sia veramente, talmente duro è stato lo sforzo per diventare qualcun altro.

Negli anni la ricerca ha scoperto che “maggiore è il sostegno condizionato ricevuto, minore è la percezione del proprio valore”. Se il bambino riceve amore a determinate condizioni, si accetterà solo a determinate condizioni.

Per contro coloro che si sentono accettati senza se e senza ma – dai genitori o, come indicano alcuni studi, anche dagli insegnanti – si sentiranno più facilmente meglio nei propri panni, proprio come predetto da Carl Rogers.

E questo conduce noi genitori, a riflettere su un ultimo punto: nei questionari sottoposti agli adolescenti o ai giovani adulti per la valutazione dell’approccio condizionato, di solito viene chiesto di scegliere tra “sempre”, “spesso”, “qualche volta”, “quasi mai”, “mai” in risposta a quesiti quali “Mia madre mi faceva sentire il legame affettivo tra noi anche durante i nostri più accesi contrasti”, oppure “Quando mio padre non è d’accordo con me, so che mi vuole bene comunque”.

E voi, come vorreste che rispondessero i vostri figli a domande come queste, fra dieci o quindici anni – e come pensate risponderanno?

Articolo estratto dal best seller Amarli senza se e senza ma, di Alfie Kohn

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