Guardiamo mamma gatta, sdraiata nella cesta con i suoi cuccioli, e nel cuore si fa strada la tenerezza.
È bello osservarla, così devota, così presente, così protettiva.
È così bello e così giusto, che quando invece capita di incontrare una gatta che si allontana dai piccoli lasciandoli piangere, non accorrendo al loro richiamo, la reazione è di profondo stupore. La scena di mamma gatta che se ne sta da sola in una stanza, mentre i gattini rimasti senza di lei si lamentano sempre più disperatamente, è una scena stonata. Non funziona.
Si ha il dubbio che la gatta abbia qualcosa che non va, che ci sia un problema. Perché non è normale, proprio no, che una madre stia lontana dai suoi piccoli, se non per il tempo necessario per nutrirsi. E i gattini che piangono disperati? Soli nella loro cesta che si agitano vanamente, perché non sono ancora in grado di spostarsi e andare a cercare la madre? Che sensazione suscitano? Viene voglia di andar noi a cercare mamma gatta e riportarla dai suoi piccoli. Non sente come si lamentano? Avranno fame, poveri gattini. O freddo. O paura.
Ho parlato di mamma gatta perché essendo un animale domestico è più probabile che molti di noi abbiano avuto l’occasione di vederne una con i suoi piccini, ma potremmo prendere ad esempio anche mamma cane, o mamma leonessa, o mamma gorilla.
Mamme e cuccioli del mondo animale hanno in comune la tenerezza, quel bisogno di stare vicini, il contatto pressoché continuo. Penso a qualunque tipo di scimmia, che viaggia di ramo in ramo, con il suo cucciolo addosso, perennemente attaccato. Prima al petto, poi alla schiena della mamma. Penso ai koala, mamma e cucciolo, praticamente un tutt’uno per settimane. O alla testolina del canguro che fa capolino dalla tasca della mamma. In genere sono immagini che toccano il cuore. Che piacciono un po’ a tutti, anche a chi magari non è particolarmente appassionato di animali.
Piacciono e ci convincono. Non ho mai sentito nessuno che davanti all’immagine di mamma gatta, leonessa, scimpanzé, koala, criticasse il rapporto tra madre e cucciolo. Davvero. Non ho mai sentito qualcuno sostenere che la sua gatta tenesse i propri cuccioli troppo vicini o per troppo tempo.
E fin qui, tutto bene. Tutto normale, direi.
Però una madre mammifera che viene rimproverata se accudisce normalmente la sua creatura, c’è. E avete già compreso di chi sto parlando. Purtroppo.
Lasciamo mamma gatta e osserviamo una mamma con il suo bimbo piccino. Lei lo tiene tra le braccia, forse al seno. Lui è visibilmente sereno, soddisfatto, in uno stato di profondo benessere. Chi ha l’occasione di osservarli gioisce di fronte a tanta tenerezza? Si sorprende per la profondità di una così perfetta simbiosi?
Eh, insomma. Qualche volta magari sì. Ma in molti casi, questa mamma qui, la mamma umana che ama tenere in braccio il suo piccino, non vuole lasciarlo piangere, risponde prontamente al suo richiamo (proprio come fanno le altre mamme mammifere), invece di sorrisi, sguardi di ammirazione e complimenti, riceve consigli non richiesti o addirittura critiche. E i consigli quali sono? Quelli che non ci sogneremmo mai di dare a mamma gatta: “Se lo tieni sempre in braccio poi si vizia”, “Devi abituarlo a stare giù, a stare nella sua culla/carrozzina/sdraietta”, “Guarda che gli hai dato il vizio delle braccia”, “Non devi farlo dormire con te! Devi insegnargli a dormire da solo!”.
E del bambino, del cucciolo più indifeso e vulnerabile di tutti, cosa si dice? Che è un furbetto, che è viziato, che ha preso delle cattive abitudini (!).
Allora, i micetti che piangono lontani dalla mamma non ci piacciono.
I bambini sì. Ai bambini farebbe addirittura bene. Qualcosa di profondamente innaturale, come la lontananza dalla madre, il distacco, che va contro ad ogni istinto atavico del cucciolo così come della madre, noi lo proponiamo come modello di accudimento proprio per i nostri cuccioli. Per i nostri bambini.
Signori miei, qui c’è qualcosa che non va.
Giorgia Cozza