In questo articolo considero la probabile relazione tra alcuni fatti, qui brevemente descritti, avanzando poi un’ipotesi che li colleghi.
- I bambini respiratori orali sono spesso soggetti a ostruzioni respiratorie di varia gravità che avvengono durante il sonno, note come OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome).
- I soggetti affetti da OSAS possono manifestare alterazioni della corteccia cerebrale in specifiche aree funzionalmente specializzate nella cognitività e nella gestione dei comportamenti organizzati (corteccia frontale e prefrontale).
- La corteccia prefrontale si sviluppa in risposta alla qualità dell’attaccamento madre-figlio che avviene entro i primi diciotto mesi di vita.
- I bambini con alterazioni della corteccia prefrontale più facilmente ricercano e persistono in comportamenti che generano dipendenza.
L’ipotesi è che:
1) Il fallimento del fisiologico attaccamento madre-figlio è il principale responsabile della crescita disfunzionale della corteccia prefrontale e rende il soggetto incline alle dipendenze.
2) Il bambino utilizza la suzione non nutritiva di dita, ciucci, labbro inferiore come surrogato affettivo del mancato attaccamento con la madre.
La suzione non nutritiva è una cattiva abitudine del bambino, ma anche il prototipo delle dipendenze con cui il futuro adulto post industriale cercherà di gestire l’emergenza percettiva e la consapevolezza del suo personale vuoto interiore.
3) Il fallimento del fisiologico attaccamento madre-figlio, tramite un meccanismo patogenetico ipotizzato da Ryke Geerd Hamer, innesca l’ipertrofia delle adenoidi, delle tonsille palatine, delle mucose nasali, e finisce con il rendere fisicamente difficile o impossibile respirare col naso.
Questo tipo di difficoltà, che già si manifesta durante il giorno, sostenuto dalle sopraggiunte alterazioni anatomiche e posturali (respirazione a bocca aperta, facies adenoidea), peggiora con la posizione orizzontale tipica del sonno.
È di notte che gli stati più o meno gravi di apnea possono contribuire a danneggiare la corteccia prefrontale, innescando un circolo vizioso con gli aspetti cognitivo-comportamentali, anatomici, neurologici, endocrini, immunologici e posturali già descritti.
In un contesto di ipossia cronica (condizione patologica determinata da una carenza di ossigeno nell’intero organismo) e di mancato attaccamento fisiologico, la suzione non nutritiva risponde efficacemente, sia innescando un riflesso che aumenta il volume faringeo (quindi aumento on demand del volume respiratorio), sia stimolando i circuiti neurologici della ricompensa (dopamina), consentendo al bambino l’autogestione delle esperienze frustranti.
È essenziale che la corteccia prefrontale di ogni individuo, che mitiga le nostre paure e le nostre passioni contribuendo a contenerne le reazioni, possa strutturarsi fisiologicamente nel corso dell’infanzia.
Perché questo accada, i genitori devono essere presenti alle temporanee crisi che seguono alle inevitabili ferite dell’infanzia. Contemporaneamente, non devono essere a portata di mano dei bambini strumenti di contenimento artificiale del senso di vuoto che segue alle ferite.
Il bambino deve imparare a gestire fisiologicamente il male di vivere, grazie alla presenza empatica, all’aiuto e all’esempio dei genitori, o almeno della mamma, fino ai due anni. Questo finché non si è strutturata sufficientemente la corteccia prefrontale, che serve a cognitivizzare le esperienze e a organizzare i comportamenti utili a gestire le situazioni frustranti in modo via via più autonomo.
Diversamente, la società si riempie di individui sempre più sociopatici, egoisti, tossicodipendenti, incapaci di controllare le proprie passioni (paura, tristezza, rabbia, vergogna, senso di colpa) e di sfruttarle per conoscere se stessi. Individui incapaci di interpretare correttamente le intenzioni e le emozioni degli altri, con ridotte capacità empatiche, vedendo nell’altro un nemico.
In una comunità di psicopatici che lottano tutti contro tutti, gli unici che ci guadagnano saranno gli oligarchi a capo della società pseudodemocratica, descritta in romanzi come 1984 di George Orwell.
I bambini nascono e la loro aspettativa naturale é quella di trovare un padre e una madre che, come frutti maturi, si sono staccati del loro albero di provenienza e hanno inaugurato insieme il loro albero nuovo e originale, che ora ha iniziato a sua volta a dare i suoi primi frutti. Tutto l’albero padre-madre dovrebbe nutrire il frutto. E invece no. Padre e madre sono frutti acerbi che ancora non si sono staccati dal loro albero di provenienza. Iniziano il loro albero senza consapevolezza e maturità e il frutto che ne esce viene lasciato a cavarsela da solo. Viene abbandonato a surrogati affettivi: ciucci, biberon, telefonini, badanti e altri generatori tecnologici di oppioidi endogeni. Mamma e papà, anche quando ci sono, è come non ci fossero: perché, ancora prima che con me, non sono mai stati nemmeno con se stessi. Questa é la storia del bambino moderno.
Anders Sunclair
Esiste un pattern (o una sindrome), ossia un modello riconoscibile, che coinvolge la maggior parte dei bambini di oggi, più spesso entro i primi cinque anni di età, nelle comunità occidentali inurbate e tecnologizzate post industriali, così tradizionalmente descritto:
- Respirazione a bocca semiaperta dovuta a un’ostruzione parziale del naso o delle vie aeree superiori, per gran parte del giorno o della notte.
- Suzione non nutritiva di dita, labbro inferiore, ciuccio.
- Sonno disturbato da difficoltà respiratorie (OSAS, apnee) o risvegli frequenti e più o meno agitati.
- Sovvertimento della dinamica della deglutizione.
- Sovvertimento della postura e della dinamica antropologica facciale (facies adenoidea) e corporea.
- Alterazioni delle capacità cognitive, comportamentali, ideative, esecutive di diversa entità e qualità a seconda degli individui.
Questo pattern, denominato adenoidismo, è stato descritto come sindrome già dalla medicina costituzionale italiana della prima metà del Novecento.
Uno dei sintomi più frequenti, l’ipertrofia delle adenoidi, rendeva ragione del termine adenoidismo, senza con questo voler significare che il fenomeno patologico fosse riconducibile alla sola ipertrofia adenoidea, come approssimativamente si tende a fare oggi.
Vorrei qui ricostruire la genesi di questo pattern, mettendo in collegamento fatti ben noti, quali:
- L’alterazione morfologica di certe aree cerebrali, alterazioni tipiche non solo di bambini con disturbi respiratori durante il sonno, ma anche di bambini con diagnosi neuropsichiatrica di ADHD.
- La suzione non nutritiva come evento di origine dell’abitudine viziata e della dipendenza da succhiamento non nutritivo.
- La disfunzione dell’attaccamento madre-figlio (Maternal-Child Attachment Loss) come origine della dipendenza dalla suzione non nutritiva e, secondo l’ipotesi di Hamer, dell’ipertrofia di adenoidi, tonsille e mucose nasofaringee cui è secondaria l’ostruzione delle vie aeree superiori che caratterizza il bambino adenoideo.
Secondo questa ipotesi il bambino adenoideo a bocca aperta, il bambino che dorme male, il bambino dipendente da suzione non nutritiva, il bambino con disfunzioni cognitivo-comportamentali o neuropsichiatriche e il bambino che subisce o che ha subito un attaccamento materno disfunzionale, sarebbero lo stesso risultato, visto da punti di vista differenti.
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Alterazione localizzata dello spessore corticale cerebrale nell’area frontale e prefrontale
L’ostruzione intermittente delle vie aeree durante il sonno, caratteristica di molti bambini adenoidei o neuropsichiatrici, ha come risultato la riduzione della pressione sanguigna di ossigeno (ipossiemia) e la frammentazione del sonno.
È frequente il riscontro, in questi bambini, di alterazioni delle capacità cognitive e comportamentali.
Essendosi constatata anche un’alterazione del volume della corteccia cerebrale, si ipotizza il collegamento tra questa e i suddetti effetti sul sangue e sul sonno, come anche il rapporto causa-effetto tra l’alterazione corticale, di cui abbiamo appena parlato, e le conseguenze cognitive e comportamentali.
Le aree cerebrali coinvolte dalla modifica di spessore corticale (che possono essere per difetto, assottigliamenti, o per eccesso, ispessimenti) sono, in particolare ma non solo, il lobo frontale e l’area o corteccia prefrontale.
Il lobo frontale è un po’ come il direttore d’orchestra del sistema corticale cerebrale. Un danno al lobo frontale è causa di problematiche oggi note come sindrome disesecutiva, che influenza sfavorevolmente le capacità cognitive dell’individuo.
Il lobo frontale è fondamentale per la funzione motoria, il problem solving, la capacità organizzativa, la memoria, il linguaggio, il controllo degli impulsi, il comportamento sociale.
Possiamo dedurre le importanti funzioni del lobo frontale dagli effetti di una operazione chirurgica, oggi fortunatamente desueta, nota come lobotomia prefrontale, la quale eliminava parte di questa struttura cerebrale per fini psichiatrici.
Secondo la definizione di lobotomia su Wikipedia, il risultato più riscontrato era il cambiamento radicale della personalità; la lobotomia era usata in passato per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come la schizofrenia, la depressione, i disturbi derivati dall’ansia.
Lo psichiatra britannico Maurice Partridge, che ha analizzato gli esiti della lobotomia su più di trecento pazienti, affermava che i miglioramenti derivanti da questa pratica dipendevano da una riduzione della complessità della vita psichica dell’individuo.
Per definire la lobotomia prefrontale e i suoi risultati, l’americano Walter Jackson Freeman II, che tra gli anni ’40 e gli anni ’50 praticò numerosi interventi di questo tipo, coniò il termine di infanzia indotta chirurgicamente.
Freeman optò per questa terminologia perché era convinto che, dopo l’intervento, i pazienti tornassero ad acquisire una personalità infantile. Sempre secondo le idee di Freeman, la regressione della personalità era il punto di partenza per la guarigione: è più facile, infatti, influenzare e correggere i comportamenti di un bambino che non quelli di un adulto. Nella maggior parte dei casi, la lobotomia comportava un calo della spontaneità, della reattività, della consapevolezza di sé, dell’autocontrollo e dell’iniziativa, un assopimento dell’emotività e una restrizione delle capacità intellettive.
L’area prefrontale partecipa alla funzione organizzativa, all’attenzione, allo sviluppo della personalità.
Ricordo qui brevemente, per utilità e completezza, le nove funzioni dell’area prefrontale da un punto di vista psichico ed emotivo:
- Equilibrio del SNA (Sistema Nervoso Autonomo) nei suoi distretti simpatico e parasimpatico
- Comunicazione con gli altri esseri umani
- Regolazione delle emozioni
- Flessibilità nella scelta delle possibili risposte a uno stimolo
- Empatia
- Autoconsapevolezza
- Soppressione della paura
- Intuizione, ossia conoscenza al di là del ragionamento logico
- Moralità, ossia comportamento basato sull’empatia
L’area prefrontale continua la sua maturazione fino almeno ai vent’anni di età (secondo altri, fino ai venticinque), per cui un suo danno precoce può destabilizzare il pieno sviluppo cognitivo, con danni alla capacità di prendere decisioni e usare il pensiero critico.
Lesioni dell’area prefrontale nell’emisfero sinistro portano più spesso ad apatia, isolamento, disinteresse per lo scambio sociale e difficoltà nell’elaborazione del linguaggio. Al contrario, le lesioni nell’emisfero destro sono associate a disinibizione emotiva, comportamento sessuale inappropriato e reazioni immediate agli stimoli.
Esistono sotto-aree dell’area prefrontale che, se interessate, possono differenziare il comportamento neurodisfunzionale: i danni alla corteccia prefrontale dorsolaterale sono associati a incapacità di pianificare e risolvere problemi complessi, rigidità cognitiva e difficoltà a svolgere attività motorie; mentre i danni alla orbitofrontale causano disinibizione, aggressività e incapacità di adattarsi alle norme sociali; infine, i danni alla cingolata anteriore portano all’apatia e alla mancanza di iniziativa e di comportamento spontaneo.
Si riconosce che la sindrome frontale o disesecutiva si manifesta in forma acquisita per lesioni e ictus; secondo alcuni studiosi degli effetti collaterali delle vaccinazioni, questo tipo di pratica medica, poi, potrebbe procurare lesioni cerebrali in grado di motivare tali (e altri) sintomi neuropsichiatrici. D’altro canto sono molto più frequenti le lesioni procurate da un attaccamento materno non fisiologico, tipico di una società come la nostra, in cui moltissimi sono gli stimoli sociali e i suggerimenti mediatici pretestuosi per sconsigliare addirittura la maternità stessa.
Oltre alla corteccia prefrontale si sono osservati coinvolgimenti atrofici alla corteccia parietale, responsabile dell’integrazione multimodale delle afferenze sensitive.
Si sono riscontrate anche conseguenze al lobo temporale, anch’esso coinvolto nel linguaggio, e al tronco cerebrale, vitale per la regolazione cardiovascolare e respiratoria.
Le alterazioni cerebrali, comportamentali e del sonno come manifestazioni comuni a bambini con diverse diagnosi
È importante sottolineare che non tutti i bambini con OSAS dimostrano alterazioni dello spessore della corteccia cerebrale, né tantomeno disfunzioni cognitivo-comportamentali. Questo deve farci riflettere sul fatto che le alterazioni cerebrali più o meno visibili, coincidenti talvolta con disfunzioni cognitivo-comportamentali, non sono necessariamente la causa di queste ultime, e che le alterazioni cerebrali sono piuttosto una manifestazione secondaria a un alterato rapporto tra il bambino e chi se ne occupa.
È interessante notare che analoghe disfunzioni cognitivo-comportamentali possono essere condivise sia dai bambini affetti da OSAS, sia da bambini con diagnosi di ADHD (o disordini neuropsichiatrici funzionalmente analoghi), sia dai bambini adenoidei.
È altrettanto interessante sottolineare che sia gli OSAS sia gli ADHD sono bambini a bocca aperta tanto quanto gli adenoidei; ma anche che, tradizionalmente, la sindrome adenoidea annovera tra i propri sintomi il sonno disturbato con russamento e i disordini cognitivo-comportamentali.
L’ipotesi che spontaneamente emerge è che si stia parlando di bambini con diverse manifestazioni di una stessa problematica, inseriti riduzionisticamente in caselle diagnostiche diverse, sulla base dei sintomi prevalenti.
Il bambino affetto da una data patologia ha maggiori probabilità di essere esaminato dallo specialista che si occupa dei sintomi di tale patologia.
Questo “specialista sintomatico di competenza” assegnerà una diagnosi e una terapia sintomatica. Quanto più la diagnosi sarà “sintomatica”, tanto più il percorso terapeutico sarà orientato non a risolvere le cause ma a contenere i sintomi; i rimedi sintomatici spesso danno dipendenza (vedi il recentissimo caso Fentanyl) e presentano non pochi effetti collaterali, come da bugiardino.
Mentre gli individui adulti affetti da OSAS vanno incontro a un deficit delle capacità organizzative che non può essere semplicisticamente imputato alla sonnolenza (ciò si manifesta indipendentemente dalle capacità visive e verbali, che possono rimanere pressoché normali), nei bambini affetti da OSAS si manifesta ed è misurabile una ridotta capacità di inibizione e di autoregolazione di stati emozionali e di eccitazione. Lo stesso schema comportamentale si osserva nell’ADHD. Alterazioni residue delle capacità organizzative si notano anche nei soggetti trattati con la CPAP, ossia la ventilazione meccanica a pressione positiva continua con cui si può superare artificialmente l’incapacità di respirare efficacemente durante il sonno.
È interessante notare che la corteccia prefrontale (quella, lo ripeto, che partecipa alla funzione organizzativa, all’attenzione, allo sviluppo della personalità, e che continua a organizzarsi fino almeno ai vent’anni) sembra essere la regione corticale maggiormente in uso durante la veglia, per cui ha bisogno del massimo riposo per ricaricarsi durante il sonno, durante il quale si disconnette da collegamenti funzionali con altre aree cerebrali.
Esperimenti sulla deprivazione del sonno effettuati su adulti testimoniano che la corteccia prefrontale va incontro a cambiamenti metabolici e neurochimici se, appunto, non può ricaricarsi.
Esistono comunque differenti effetti clinici delle OSAS a seconda delle età: i bambini sono maggiormente coinvolti da comportamenti iperattivi e poco controllati (tipo ADHD), ma questo effetto tende a svanire nell’adulto OSAS, trasformandosi in sintomi di disattenzione e di ridotta capacità di giudizio riguardante le conseguenze future di azioni attuali. Questo tipo di disfunzioni cognitive portano più facilmente l’adulto a una condizione oggi nota come analfabetismo funzionale, definito nel 1984 dall’UNESCO come la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare, e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.
Dato per assodato quanto sopra, i medici specializzati nei disturbi del sonno dovrebbero verificare, o quantomeno richiedere a uno psicoterapeuta, dati riguardanti l’efficienza psicologica e cognitiva del paziente affetto da OSAS, soprattutto se bambino. Al di là della sonnolenza diurna, andrebbero indagate le capacità organizzative che dovrebbero essere quantificate direttamente, anziché impiegare test per la valutazione cognitiva di base, o test come quelli d’intelligenza, che valutano solo indirettamente dette capacità organizzative.
Allo stesso modo, pazienti pediatrici che presentano difficoltà esecutive, organizzative, deficit di attenzione e concentrazione, iperattività, impulsività, labilità emotiva ecc, dovrebbero essere valutati quanto a qualità e quantità del sonno, con particolare attenzione alla capacità di respirare con il naso a bocca chiusa e silenziosamente di giorno e, soprattutto, di notte.
Qualora si presentasse una comorbidità tra disordini neuropsichiatrici-cognitivi e disturbi respiratori del sonno, questi ultimi non possono non essere considerati e trattati, come normalmente succede, dal neuropsichiatra. Non sono pochi i bambini che hanno migliorato sensibilmente o risolto disturbi cognitivi e comportamentali dopo aver migliorato la qualità della respirazione e del sonno.
di Andrea Di Chiara
Odontoiatra, agopuntore, perfezionato in occlusione e postura in chiave kinesiologica, promotore e Presidente dell’Associazione Italiana per la Prevenzione della Respirazione Orale – AIPRO.
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L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici.