Il termine “bonding” indica quel legame profondo che si stabilisce tra madre e figlio subito dopo il parto, che permetterà alla donna di comprendere all’istante il suo bambino. Un “rito di passaggio” fondamentale quindi per favorire un buon attaccamento, ma che spesso non viene garantito.
Beatrice Sapori, mamma e referente certificata Il Parto Positivo e Babybrains, definisce il bonding neonatale e spiega perché è fondamentale che questo avvenga nelle prime ore di vita del bambino, soffermandosi sul rispetto, in primis quello per il corpo nostro e degli altri, che ognuno di noi dovrebbe avere.
Bonding: significato e definizione
“Bonding”, “pelle a pelle”, “skin to skin”, “ora d’oro”, sono tanti i modi in cui lo sentiamo chiamare, sono molte le strutture che lo enumerano nelle loro brochure tra i servizi proposti o nell’elenco servizi del loro sito (come fosse un’opzione aggiunta), ma che cos’è questo “bonding”?
Il termine nasce negli Stati Uniti e deriva dall’inglese to bond, che letteralmente significa “attaccare”, “connettere”, “collegare”, ed esprime perfettamente e sinteticamente quel processo indispensabile, quel legame profondo che si stabilisce tra madre e figlio subito dopo il parto, che permetterà alla donna di comprendere all’istante il suo bambino.
Eppure, nonostante l’importanza, questo “rito di passaggio” rimane una sorta di surplus, non sempre garantito: «Solo cinque minuti» raccontano spesso le mamme, le più fortunate.
Come siamo arrivati a strutture ospedaliere che lo annoverano come una procedura “garantita”, come un servizio extra? Quando abbiamo dovuto iniziare a chiedere il permesso per abbracciare nostro figlio?
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L’importanza delle prime ore
E poi è un attimo e il bambino è fuori, tenero e umido come un mollusco sgusciato fuori dal ventre materno che sul ventre fa ritorno. Eccolo, è lì. Silenzio. Non disturbate. Non interferite. Avvicinatevi in punta di piedi come i pastori di Betlemme. Questo grumo di carne è un miracolo vivente. Dategli tempo per aprirsi alla vita. Nessun tocco è abbastanza delicato per lui in questo momento. Nessun suono è abbastanza lieve se non il soffio della voce paterna. Dategli tempo, lui viene dall’eternità.
Elena Balsamo
Immaginiamo che nostro figlio di 2, 5, 7 anni venga ricoverato (e noi con lui) in pediatria, per esempio per una gastroenterite. A un certo punto, senza dire niente, il pediatra lo prende e lo porta via, senza dirci dove e senza curarsi del pianto spaventato del bambino. Lo porta in sala visite, gli misura la temperatura, gli testa l’addome, lo spoglia per pesarlo, aspira il muco, già che c’è fa una punturina, collirio agli occhi, e poi finalmente torna.
Cosa avete sentito? Ci sembra impossibile, una situazione surreale, lontana. E lo è fortunatamente; lo è se nostro figlio ha 2, 5, 7 anni, nessuno infatti si permetterebbe di comportarsi così: chiederebbero il permesso a lui e a noi, ci spiegherebbero dove va il bambino e tendenzialmente noi li seguiremmo.
Ma per il neonato no: il neonato nasce, se è fortunato rimane qualche minuto in braccio e poi via, perché ci sono cose importanti da valutare (quanto pesa, quanto è lungo, la circonferenza, le procedure mediche).
Eppure la letteratura scientifica è concorde a riguardo: Il neonato sta meglio sulla sua mamma; l’allattamento ha maggiore probabilità di avviarsi e di durare più a lungo, il battito cardiaco migliora, la saturazione anche; questo primo contatto pelle a pelle, poi, non ha solo benefici a breve termine.
I bambini ai quali è stato concesso di stare con le loro madri nelle prime due dopo la nascita, hanno mostrato una migliore interazione madre-figlio a un anno di vita e un migliore attaccamento successivamente. Solo queste affermazioni dovrebbe bastarci a rifiutare che nostro figlio, ovviamente se in condizioni di fisiologia, venga allontanato da noi dopo la nascita, e potrebbero farci riconsiderare tutti i «Posso?» che siamo solite chiedere al personale sanitario.
Non sto, ovviamente, istigando alla maleducazione o alla presunzione, ma da quei primissimi attimi di vita dipende l’aspettativa di vita che nostro figlio avrà.
Il neonato impara secondo il modo in cui lo trattiamo e così tratterà il mondo.
Se al neonato fosse “permesso” di fare quello che farebbe se non ci fossero interferenze dal mondo adulto, rimarremmo sconcertati dalle sue competenze; rimarremmo sconcertati dalla facilità con cui potrebbe avvenire il secondamento (l’ultima fase del parto) e con cui potrebbe partire l’allattamento, dalla sua capacità, appena venuto alla luce, di strisciare sul petto della madre fino a trovare autonotomamente il capezzolo, solo, senza aiuti.
Il ruolo dell’ossitocina
L’ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore” che gioca un ruolo chiave nell’organismo per quel che riguarda la riproduzione, i legami affettivi, le interazioni sociali, i processi di guarigione e, più in generale, la capacità di mantenere uno stato di calma e rilassamento, raggiunge le più alte concentrazioni nel sangue materno dopo mezz’ora dal parto, stimolando comportamenti di accudimento.
È un ormone potente che “lavora” già in gravidanza e permette al cervello della mamma di cambiare (e di cambiare così tanto da poter determinare se una donna è in gravidanza dalla sua risonanza magnetica cerebrale) per consentirle di essere più vicina ai bisogni del nuovo arrivato, di capirlo, di entrare in sintonia: insomma, il famoso “istinto materno” esiste!
E se non è possibile l’attaccamento?
Se qualcosa non va per il verso giusto? Se il bambino ha bisogno di cure?
In questi casi ricordiamoci che il papà è una figura che il neonato può già riconoscere e che può stare accanto al bambino finché non potrà raggiungerlo anche la madre.
È molto importante che i genitori possano vedere il bambino e entrino in contatto con lui, toccandolo, accarezzandolo, facendo sentire la loro voce, il loro odore. E poi ci vorrà più fatica, più pazienza, più perseveranza, più coccole perché il bonding dovrà essere rimandato.
Il periodo sensibile per l’attaccamento c’è ed è appena dopo la nascita. Questo non significa che al di fuori di questo momento tutto è perduto, ma l’acquisizione di determinate competenze sarà più faticosa. Sarà una strada in salita, più lungo, ma l’amore vince e la croce si trasforma.
Ossitocina
L’ormone dell’amore, della calma e della guarigione
Un libro che descrive le innumerevoli funzioni dell’ossitocina: un ormone finora poco studiato ma che gioca un ruolo chiave nel nostro organismo.
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di Beatrice Sapori
Referente certificata Il Parto Positivo e Babybrains, cura il sito Venire al mondo, dare alla luce.