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Con gli esami in arrivo, si avvicina uno dei principali momenti ufficiali di incontro, confronto e parziale condivisione fra mondo scolastico e famiglie fuori dalla scuola.
Per i genitori e i bambini in homeschooling questa occasione è spesso fonte di apprensione; per molti docenti è motivo di interrogativi importanti. Il primo fra tutti: come e cosa devo valutare? Cosa posso e devo aspettarmi da un bambino che si istruisce fuori dalla scuola?
Dopo aver affrontato la questione in un altro articolo, Nunzia Vezzola, docente e socia fondatrice di LAIF, prova ora a rispondere alle domande sulla valutazione dei contenuti: ha valore formativo? È necessario valutare per materie? Come impostare la prova? Come funziona la “maturità” in homeschooling?

Nei primi dieci anni di istruzione

Dobbiamo innanzitutto introdurre un distinguo. Il primo spartiacque è l’assolvimento dell’obbligo di istruzione: i primi dieci anni di istruzione, dai 6 ai 16 anni di età, perseguono l’obiettivo di garantire a tutti i giovani, indistintamente, la possibilità di acquisire un livello minimo di conoscenze e competenze, che è quello indicato nelle Indicazioni Nazionali dei rispettivi cicli di istruzione.
Dai 6 ai 16 anni di età ogni fanciullo ha il diritto di accedere all’istruzione in modo gratuito, democratico e libero. Questo è il dettato costituzionale e il contenuto delle norme successive.
L’esame di idoneità, se non finalizzato al rientro nel percorso scolastico, ha questo unico significato: verificare che il giovane non venga privato dell’istruzione cui ha diritto.
Se ha imparato i punti cardinali a 8 anni o a 10 anni, se li conosce tutti a 9 o solo alcuni, non è oggetto di verifica. E ciò è ribadito a chiare lettere nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo: «Gli obiettivi sono organizzati in nuclei tematici e definiti in relazione a periodi didattici lunghi: l’intero quinquennio della scuola primaria, l’intero triennio della scuola secondaria di primo grado». Il legislatore auspica tempi lunghi per garantire il rispetto dei tempi di ciascuno.
Vedremo più avanti cosa cambia invece dopo i 16 anni e dopo i 18, con il conseguimento della maturità.

Valutare i contenuti?

Perché? Quale potrebbe essere l’obiettivo di valutare se un ragazzino in homeschooling sa le stesse cose dei suoi coetanei frequentanti? Può avere un qualche valore formativo, questa scelta?
Il senso della valutazione in questo contesto sta altrove, ed è evidenziato dal D.M. 5/2021: la verifica del dovere di istruzione! E quindi, tornando alla domanda iniziale: “Cosa ci si può e deve aspettare da un ragazzino che non va a scuola?”, la risposta potrebbe essere: “Ci si potrà aspettare di trovare un fanciullo protagonista di un processo di apprendimento”. Poco importa qual è questo processo: «L’arte e le scienze sono libere. E libero ne è l’insegnamento» (art. 33 della Costituzione).
Che il giovane si appassioni ai Greci a 7 anni o a 9, che acquisisca la tabellina del 20 prima di quella del 2, o che studi la geografia viaggiando invece di stare seduto davanti a un mappamondo, fa poca differenza. Quel che conta è, ancora un volta, che sia immerso in un percorso che si inquadra negli obiettivi e nei traguardi delle Indicazioni Nazionali, ovvero che sviluppi le otto competenze-chiave per l’apprendimento permanente del Consiglio d’Europa (che le Indicazioni nazionali si pongono esplicitamente a riferimento).
Un docente di media esperienza è in grado di capire in poco tempo se un fanciullo è in apprendimento oppure no, se ha acquisito conoscenze, abilità, competenze, se è soddisfatto delle proprie scoperte, se è sereno o se viene invece privato del diritto all’istruzione.
Allorquando invece un insegnante dovesse aver bisogno di interrogarlo per ore, o per giorni, mi sentirei di poter dubitare delle sue qualità didattico-pedagogiche.

Valutare per materie?

Nelle Indicazioni Nazionali si legge che la divisione del sapere in materie è “convenzionale” e che gli stessi autori del documento ne auspicano il superamento, a vantaggio dell’unitarietà del sapere.
Quando si impara in modo informale, non esiste la suddivisione per materie, è una sovrastruttura non funzionale all’apprendimento. Alcuni bambini calcolano la percentuale per sapere a quanto ammonta uno sconto al supermercato, senza rendersi conto che stanno facendo “matematica”. Oppure leggono e scrivono senza chiamare questa attività “italiano”.
Tutti i bambini, inoltre, approcciano la letto-scrittura in tempi diversi. Ciò è riconosciuto dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, le quali non prevedono dei traguardi o degli obiettivi in questo senso prima degli 8 anni.
Sottoporre i bambini a prove scritte prima degli 8 anni, mi pare quindi persino discutibile dal punto di vista legale, oltre che incoerente sui piani pedagogico, didattico e psicologico. Potrebbe, anzi, dovrebbe essere possibile pensare a una prova strutturata in modo lungimirante, inclusivo, innovativo e rispettoso del percorso personale (cioè che tenga veramente conto del progetto didattico-educativo).

Come impostare la prova?

Chi impara fuori dalla scuola spesso fa soltanto i “compiti di realtà”, cioè apprende prevalentemente in modo informale. E questa è una grossa risorsa, ma anche un approccio all’apprendimento che lo rende difficile da quantificare. Ecco l’origine dei dubbi di molti docenti!
Per legge (D.M. 254/2012, Indicazioni nazionali, cap. Valutazione), ogni verifica deve essere coerente con il percorso di apprendimento che, nel caso dell’homeschooling, non è di tipo scolastico.
La legge affida inoltre ai docenti, nella loro professionalità e autonomia, l’onore e l’onere di progettare prove che tengano conto del progetto didattico-educativo presentato dalla famiglia (D.M. 5/2021). Ecco, quindi, che è esclusa la possibilità di utilizzare le verifiche dell’anno scorso o di fotocopiare quelle predisposte per la propria classe. Qui entra in gioco la professionalità, per una nuova sfida.
So di bambini che hanno sostenuto l’esame presentando alla commissione (o all’insegnante esaminatore o al dirigente) i propri manufatti o i giochi che avevano creato, le storie che avevano inventato. So di altri cui l’esaminatore ha letto una storia, seduti in cerchio, e ha chiesto loro di raccontare cosa gli aveva fatto venire in mente o di fare un disegno.

Nell’ultimo triennio delle scuole superiori

Dopo dieci anni di istruzione il ragazzo ha acquisito un bagaglio di base e ha assolto al dovere di istruzione. Negli ultimi tre anni si prepara alla maturità, quindi a un relativo grado di approfondimento di alcune discipline caratterizzanti un determinato indirizzo.
Esiste il dovere di formazione dai 16 ai 18 anni. Infatti, durante il secondo biennio, i giovani sono ancora considerati in istruzione parentale, dopo i 18 anni diventano invece direttamente privatisti, ovvero persone che si preparano a un esame privatamente (mediante tutor o precettore), per il conseguimento di un titolo di studio.
Nel secondo biennio la valutazione dei contenuti comincia a entrare in gioco. Naturalmente, non i contenuti affrontati in una classe che il ragazzo non ha frequentato, da un docente che non conosce nemmeno, ma quelli che lui ha trovato nel suo percorso e che ha elencato nella programmazione presentata alla scuola. Il riferimento sono, ancora una volta, le Indicazioni Nazionali specifiche per il rispettivo percorso di studi, non il programma svolto in una determinata classe.
A rigor di logica, ciò dovrebbe valere anche per l’esame preliminare alla maturità. Purtroppo c’è da rilevare l’abitudine dei collegi docenti di richiedere un adeguamento a un programma stabilito da loro, bypassando direttamente le Indicazioni Nazionali. In questa fase del percorso di studi, di prassi si fa riferimento alle materie scolastiche, salvo poi richiedere agli studenti di mostrare la capacità di stabilire collegamenti fra le differenti tematiche e discipline.

L’esame come occasione

Non è sempre facile, eppure sarebbe davvero importante vivere questo momento come un’opportunità di reciproca conoscenza e di avvicinamento. Sarebbe opportuno che i docenti approcciassero tale esperienza con curiosità e che le famiglie si liberassero dalle paure. Sarebbe utile che tutti affrontassero la prova scevri da preconcetti, in un atteggiamento di reale apertura. Altrimenti si sarebbe persa un’occasione di aver svolto un esame coerente sul piano concettuale, pedagogico e didattico, oltre che corretto dal punto di vista normativo. Ma soprattutto si vedrebbe sfumare un’occasione di dialogo, di quel tipo di dialogo che fa cadere le barriere e avvicina le persone.


di Nunzia Vezzola
Autrice, docente di scuola superiore e socia fondatrice di LAIF Associazione Istruzione Famigliare.

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