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Mamma e papà diventano grandi… e anch’io!

Pensieri e riflessioni per fiorire grazie e con i nostri bambini

Con questo articolo iniziamo un piccolo percorso che ci aiuterà a fiorire, come mamme e papà, attraverso i nostri bambini. Ogni mese rifletteremo su un tema che ci aiuterà ad “allargare lo sguardo” e ad accogliere la possibilità di diventare la migliore versione di noi stessi.

Questo processo nasce dal primo incontro con il nostro piccolo e ci accompagna in tutto il nostro cammino di genitori, anche se esistono degli “snodi” più importanti di altri, ovvero quando i bambini sembrano diventare “difficili”: “troppo” capricciosi, “troppo” lagnosi, “troppo” pretenziosi.

Quando è “troppo” è “troppo”!

In questi anni sembra che ci sia stato un aumento esponenziale di questi “troppo”. Da che cosa può essere dipeso questo fenomeno? Ci faremo guidare nelle nostre riflessioni da un pedagogista non troppo noto in Italia, ma che scrive delle cose preziosissime per chi ha quotidianamente a che fare con bambine, bambini e adolescenti: si tratta di Henning Koehler, un ricercatore tedesco che nel 1986 ha fondato un ambulatorio pedagogico terapeutico e che nel 1987 ha aperto l’Istituto Janusz Korzak a Wolfschlungen, presso Stoccarda, il quale offre un servizio di carattere sociale, terapeutico e di consulenza rivolto all’infanzia, all’adolescenza e alla famiglia.

In particolare il testo da cui prendiamo spunto è Non esistono bambini «difficili». Per una trasformazione del pensiero pedagogico (Natura e Cultura Editrice, 2008). Non è questo certamente il luogo per lavorare su complesse teorie sociologiche, ma è possibile ragionare insieme su che cosa significhi realmente educare un bambino costruendo un futuro nuovo a partire dalla sua presenza nel mondo.

L’“auto-educazione” e il ruolo dei genitori

È qui che scopriamo qualcosa di nuovo: educare non diventa solo “tirare fuori” (etimologicamente) il meglio dal piccolo, ma da noi stessi, costruendo un futuro che parte dal presente: ciò significa essere pronti a confrontarsi con le proprie debolezze, a rivedere abitudini e atteggiamenti, a lavorare continuamente su di sé e a praticare davvero quella che possiamo chiamare “auto-educazione”. Per un genitore significa anche assumere un ruolo importante che non è solo quello di amare e proteggere, ma anche di riconoscersi nel ruolo di “esperti” del processo educativo che riguarda il figlio o la figlia. Ed è proprio questo il passaggio importante: essere esperti significa anche sentirsi investiti di un compito – l’arte dell’educazione, appunto – che prevede sia una continua autocritica insieme a insospettate sorgenti creative sia alcuni momenti di crisi della creatività. “Creatività” non significherà allora “fare” il bambino, nonostante i genitori siano le persone più importanti della sua vita. Le difficoltà dell’infanzia dipendono dalla convinzione che il bambino sia “plasmabile” dall’educatore. Questo atteggiamento porta notevoli difficoltà di comprensione tra adulto e bambino. In particolare, i cosiddetti “bambini difficili” (ma in realtà tutti i bambini!) aprono possibilità immense, se comprendiamo il messaggio della loro diversità. Quindi l’unica modalità di intervento educativo sensata è lo sforzo di comprensione, che – attenzione! – non è accondiscendenza, ma quell’accettazione più ampia che permette di evolversi e crescere.

Una nuova pedagogia

Scopriremo quindi una nuova pedagogia che parte dal valore “terapeutico” (“terapeutico” si può sostituire con “pedagogico” perché hanno in sé entrambi l’idea dell’accompagnamento, laddove la pedagogia richiama all’accompagnare e al condurre un bambino) dello sguardo, uno sguardo che fa crescere chi accompagna e chi viene accompagnato.

Nella prossima puntata ci addentreremo nelle prime implicazioni pratiche di tale pensiero.


Di Marialuisa Damini

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